A fronte della crescita demografica mondiale e della conseguente futura necessità di costruire edifici e infrastrutture, con una stima di circa 230 miliardi di metri quadrati entro il 2060, lo studio Skidmore, Owings & Merrill (Som) ha proposto un approccio alla costruzione delle città alternativo a quelli diffusi oggi, responsabili di inquinare l’atmosfera.
La risposta attorno a cui ruota l’idea di Som ipotizza uno scenario futuribile in cui l’ambiente costruito rappresenta la soluzione alla crisi climatica, anziché contribuire a esacerbare lo stato di emergenza in cui ci troviamo. Secondo Chris Cooper infatti, partner a Som, è passato il tempo di ragionare sulla carbon neutrality e, secondo lui, per contrastare efficacemente il cambiamento climatico, occorre fare un passo oltre.
Urban Sequoia è una visione, presentata alla Cop26 di Glasgow lo scorso novembre, che immagina che cosa succederebbe se gli edifici, prendendo ispirazione da processi ed ecosistemi naturali, agissero come alberi, catturando anidride carbonica, purificando l’aria e rigenerando l’ambiente.
Proponendo il concept design per una torre, una Sequoia Urbana, Som invoca la costruzione di città come foreste, ovvero come ecosistemi in grado di assorbire le emissioni carboniche ad una velocità senza precedenti.
Nelle Urban Sequoia, l’applicazione di tecnologie ad hoc e nature-based solutions permette, da un lato, di risarcire l’ambiente grazie all’uso di materiali bio, come i bio-mattoni, i cementi di canapa, il bio-calcestruzzo, il legno ed altri, che riducono le emissioni in fase di costruzione fino al 50% rispetto a quelle rilasciate da edifici in cemento e acciaio. Allo stesso tempo, permette di estrarre carbonio dall’atmosfera, grazie per esempio all’utilizzo di particolari alghe, per re-inserirlo all’interno di specifici circuiti produttivi, creando cos un mercato attivo della CO2 per i settori industriali.
Gli schemi che illustrano il funzionamento del primo prototipo di Urban Sequoia lavorano su un impianto circolare organizzato in porzioni radiali ampie 45 gradi, un ottavo del totale. Ogni modulo così concepito offre la possibilità di prefabbricazione attraverso una chiara definizione delle componenti invarianti, come le strutture portanti, la distribuzione e le canalizzazioni.
Tutti questi elementi sono concentrati nel nucleo dove, grazie all’effetto camino, avviene il processo di estrazione della CO2, attraverso tecnologie basate sulla fotosintesi. L’aria filtrata è rilasciata nell’atmosfera, mentre il carbonio è catturato in apposite tubazioni che alimentano una rete di distribuzione diretta ai siti industriali che necessitano di carbonio.
Sulle colonne perimetrali, così come in altre parti, sono integrate alghe e biomasse per produrre biocombustibili utilizzabili per riscaldare l’edificio, azionare motori di automobili e aeroplani e
alimentare cicli produttivi industriali.
Si stima che il prototipo immaginato da Som abbia la capacità di assorbire fino a 1.000 tonnellate di carbonio all’anno, equivalenti a 48.500 alberi. Dopo sessant’anni questa Urban Sequoia avrà estratto il 400% delle emissioni prodotte per la sua costruzione. Se applicati a scala più vasta su interi distretti urbani, i concetti enucleati in Urban Sequoia hanno il potenziale di contribuire a rivoluzionare il modo in cui anche le infrastrutture possono essere progettate e mantenute.
Se il carbonio e le biomasse estratte venissero usati come biomateriali per costruire strade, pavimentazioni e condutture, insieme al contributo di altre soluzioni verdi, Som ha calcolato che quelle che prima erano infrastrutture grigie potrebbero sequestrare fino a 120 tonnellate di carbonio per chilometro quadrato all’anno. Nell’ipotesi di estendere queste azioni a parchi e altri spazi aperti, incluse le coperture degli edifici, per esempio, la quantità di CO2 sottratta all’ambiente potrebbe salire a 300 tonnellate per chilometro quadrato annue.
di Gerardo Semprebon, Politecnico di Milano (da YouBuild n. 22)
LA SCHEDA
Progetto: Skidmore, Owings & Merrill (SOM)
Anno: 2021
Web: www.som.com