Ciò che oggi possiamo ammirare dell’ex Cotonificio di Crespi d’Adda, dal 1995 parte del patrimonio Unesco quale miglior esempio di villaggio operaio del XIX secolo, rischia di essere percepito quale rovina o archeologia industriale. Bisogna avviare una riqualificazione urbana superando la fascinazione estetica di questo tempo sospeso della rovina, «la percezione di questo scarto fra le due incertezze, le due incompiutezze, è la ragione essenziale del nostro piacere» (Marc Augè, Rovine e macerie), non possiamo non considerare come questa visione sia non solo debole ed incompleta, ma sia soprattutto antistorica.
Qual è la storia di una città? Dipende da chi la racconta, e da chi la ascolta. Le discrepanze fra le storie ufficiali e quelle non ufficiali sono moltissime
La vita segreta delle città, Suketu Metha
Oggi, mentre la fabbrica trascende alle ragioni del proprio essere e passa da fatto produttivo a fatto culturale, siamo più che mai consapevoli della necessità di riscrivere il luogo e di riportare il lavoro, come mezzo culturale, al centro del racconto. Ogni abitante del villaggio trovava nella struttura della fabbrica la propria collocazione sociale. Venuta meno la struttura del lavoro, Crespi d’Adda ha visto progressivamente dissolversi il senso di comunità. Oggi è percepita, dai nuovi abitanti, come una sorta di Gated Community, un non luogo dove tutte le dinamiche sociali e urbane sono pressoché assenti.
È facilmente intuibile come la partita che si sta per svolgere non riguardi unicamente l’ex cotonificio, ma si deve leggere all’interno di processo di riconversione dei siti industriali che sta diventando un’emergenza anche nel nostro Paese. Come ricordato da Bauman, nel passaggio da una società che produce a una che consuma, la nostra preoccupazione è rivolta ad «evitare che le cose si trattengano oltre il dovuto… La sindrome consumista si basa sulla velocità, sull’eccesso e sullo scarto» (Zygmunt Bauman, Liquid Life).
La riqualificazione urbana di un patrimonio Unesco
Ci si deve interrogare quindi se anche il paesaggio, l’urbanistica e l’architettura, abbiano anch’esse una data di scadenza, siano dei prodotti a termine oppure possano, trasformati, rientrare in un nuovo processo evolutivo. Esiste un nuovo modello possibile? Come ogni luogo presuppone un osservatore affinché diventi paesaggio, in generale ogni «fatto in sé» esiste, solo, in quanto viene narrato.
L’esigenza di nuovo storytelling di Crespi non è tanto un espediente narrativo o un’imposizione intellettuale, ma è un preciso intento progettuale: il progetto esiste (solo) se è parte dello storytelling del paesaggio, se ne fa parte attraverso una lettura critica del fatto in sé. Una narrazione architettonica, questa proposta per un nuovo modello, costruita attorno ai tre fattori «P»: Paesaggio, Programma, Progetto.
Detto ciò, si può pensare, e proporre, che una narrazione «liquida» possa giungere a una conclusione definitiva? Contrariamente alla cultura modernista nella società liquido-moderna tutto è in perenne movimento: all’unità originaria Fabbrica-Villaggio, un’unità spaziale delimitata da un contorno esatto (a basso livello di entropia), si propone il realismo di un paesaggio in divenire, stimolato da un’azione congiunta di urbanistica, architettura e paesaggio capace di creare nuove porosità ed intrusioni.
Il progetto di riqualificazione urbana dovrà aumentarne il livello di entropia, introducendo programmi che siano capaci di rendere porosa e permeabile la Fabbrica, che possano destrutturare il recinto tra Fabbrica e Villaggio. Il programma dovrà essere liquido, continuamente aggiornabile. Questo scenario presuppone che il progetto torni a svolgere un ruolo politico, che ha progressivamente perso o di cui si sono smarrite le tracce.
È un’assunzione di responsabilità in cui le scelte, poiché il progetto è il luogo delle scelte, si compiono nella piena consapevolezza della vicenda complessiva. Il ruolo politico del progetto, e di conseguenza del progettista, è inteso come luogo in cui coesistono gli interessi della città, «luogo dei molti», con quelle del cittadino, «l’io individuo».
Mauro Piantelli, socio fondatore dello studio DE8 architetti, si occupa della riqualificazione del patrimonio storico-architettonico, di progettazione architettonica e di allestimenti museali. È stato premiato in 2 progetti europan 8; nel 2010 vince il concorso per Social Housing a Milano Figino, nel 2011 riceve una nomination al “Mies Van Der Rhoe Award”, il premio OAB ed il premio Pida per gli Hotels. Con la realizzazione del water front di Lovere ha ricevuto una nomination per il 2016 Public Space Award del Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona. Con Tobia Scarpa realizza il Kursall di San Pellegrino Terme e si occupa del progetto di Crespi d’Adda (patrimonio Unesco).