Rigenerazione urbana, un business di colore verde

Business di colore verde

Rigenerazione urbana in varie città d’Italia, a Roma ci sono progetti come la Metro C – Piazza Venezia, l’Expo Solar Park o il nuovo parco di Centocelle. A Milano sono previsti il Parco  Romana, le riqualificazioni dello Scalo Farini e dell’ex Scalo San Cristoforo, per non parlare del nuovo quartiere UpTown.

A Torino sono in pista il Parco della Salute, della Ricerca e dell’Innovazione, oltre alle aree inutilizzate delle Ferrovie, in tutto 12 chilometri quadrati tra aree dismesse, inutilizzate e da trasformare, il 9% del territorio comunale. Ma, in realtà, l’elenco delle superfici urbane interessate da progetti di recupero e rigenerazione è molto più lungo.

Il bilancio

Non tutte le idee presentate dalle amministrazioni locali, va detto, si trasformano poi in opere compiute. Altre arrivano faticosamente al traguardo solo dopo anni di ripensamenti e caccia ai fondi necessari. Ma il trend della rigenerazione urbana è conclamato.

In circa dieci anni, tra il 2014 e il 2023, le azioni di rigenerazione messe in atto sul territorio italiano hanno interessato la trasformazione di circa 312 chilometri quadrati di territorio, con lo sviluppo e trasformazione di 117 milioni di metri quadrati e 160 miliardi di euro di valore. Tutte le grandi città (ma anche le piccole) sono coinvolte.

Tanto che nella capitale del design, che per inciso è anche la città principale della Lombardia, il Comune ha creato un assessorato ad hoc alla Rigenerazione urbana e urbanistica.

Il trend

Qual è oggi la situazione? Una risposta arriva dal Primo Rapporto nazionale sulla rigenerazione urbana, curato da Scenari Immobiliari in collaborazione con Urban Up-Unipol, e presentato a Roma nel corso del convegno Future Cities.

La ricerca ha quantificato il fenomeno: in Italia la rigenerazione urbana, da qui al 2050, può coinvolgere 920 chilometri quadrati di suolo, circa l’1,6% della superficie urbanizzata nazionale, per 350 milioni di metri quadrati di superfici immobiliari realizzabili, con un conseguente fatturato industriale da 2.300 miliardi di euro in 27 anni.

Questa catena di operazioni immobiliari, se realizzata, porterà anche un beneficio alle finanze pubbliche, con entrate stimato tra 20 e 25 miliardi di euro di gettito aggiuntivo annuo. Infine, in questo quadro ottimistico, sono compresi 100 mila nuovi posti di lavoro tra costruzioni e servizi.

L’impatto

Altri dati incentivanti: secondo i calcoli di Scenari Immobiliari, la rigenerazione potrebbe mettere in moto 700 miliardi di ricadute dirette sul comparto del real estate dalle aziende fornitrici, dalla filiera e dai servizi, più altri 850 miliardi di ricadute indirette e 750 miliardi di indotto.

Gli interventi di rigenerazione, che nel 2023 hanno interessato quasi 28 chilometri quadrati di territorio per una superficie lorda superiore a 10 milioni di metri quadrati, ha portato a un valore aggiunto immobiliare di poco superiore ai 13 miliardi di euro. Insomma, rigenerare sembra la classica operazione win win.

A maggior ragione se si tiene conto che nella ricetta della riqualificazione il sapore forte è quello dato dalla salsa green: nessun progetto può prescindere anche dall’impatto ambientale.

Le incognite

Il conteggio, per la verità, non tiene conto di fattori legati all’economia, che sono imponderabili: inflazione, disponibilità di capitali, emergenze, tensioni geopolitiche, amministrazioni che si susseguono, piani regolatori che si sfaldano, decreti legge che cambiano le carte in tavola dall’oggi al domani (leggi: superbonus). Ma, anche se il quadro dipinto da Scenari Immobiliari dovesse rivelarsi con dimensioni più modeste, resterebbe pur sempre tanto lavoro da fare.

A Milano, per esempio, è stato appena presentato da Coima e dallo studio Piuarch il progetto di riqualificazione dell’area ex Isotta Fraschini, tra San Siro e Citylife: interessa una superficie di circa 14 mila metri quadrati per 12 piani fuori terra, con circa 1.400 metri quadrati di terrazze panoramiche, oltre a spazi polifunzionali e retail: diventerà un centro direzionale con forte connotazione di design.

E, dal punto di vista dell’efficienza, sarà un passo in avanti: oltre il 65% del fabbisogno energetico dell’edificio ristrutturato sarà coperto da fonti rinnovabili. Nella zona centrale di Porta Nuova, invece, il progetto di Lombardini22 interessa un immobile con una superficie complessiva di circa 35 mila metri quadrati. A fine lavori, nel 2025, l’edificio ospiterà uffici con standard di sostenibilità certificati Core&Shell Leed Platinum, Well Platinum, Breeam Excellent, Wiredscore Platinum. Sarà un nZeb (Nearly Zero Energy Building), edificio a energia quasi zero. Due esempi tra i tanti.

Ritorno al futuro

«Il futuro del mercato immobiliare è nel suo passato. La crescita con consumo di suolo è finita e bisognerà lavorare sempre di più con i tanti vuoti che il passato ha lasciato», è l’analisi di Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari.

«Dalle fabbriche dismesse alle aree ferroviarie e poi i complessi a uffici anni Sessanta non più adatti alle nuove esigenze. Le città del futuro, come già successe nell’undicesimo secolo, devono recuperare intramoenia le funzioni necessarie.

Non solo le normative, ma anche l’etica impongono di non consumare, se non in casi eccezionali, il terreno verde, ma di operare e trasformare per funzioni economiche o sociali le aree urbanizzate non più utilizzate o abbandonate.

Un principio fondamentale, che va coniugato con i costi di intervento, come le bonifiche, e con le prospettive del mercato che hanno logiche discontinue. È una sorta di campo di gioco più importante per il nostro futuro, dove le aspettative pubbliche devono confrontarsi con le prospettive del mercato e dei finanziamenti». Insomma, un ritorno al futuro, urbanisticamente parlando.

Pubblico & privato

Come incentivare i progetti? La risposta sta nel coniugare l’obiettivo della rigenerazione con il business, dato che un investimento va remunerato. E, in questa chiave, è necessaria una sinergia con le amministrazioni pubbliche.

«La cooperazione virtuosa tra pubblico e privato è oggi imprescindibile per avviare una rigenerazione urbana sostenibile e dare nuove identità e nuovo slancio alle aree dismesse attivando scambi destinati a premiare la collettività», è il commento di Massimiliano Morrone, amministratore delegato di UnipolSai Investimenti Sgr.

«È stato questo l’approccio che ci sta guidando nel ripensare le aree periferiche di proprietà del Gruppo nell’ambito del Comune di Milano, dove abbiamo attivato una traslazione di volumetrie da aree edificabili ubicate a sud della città verso altre aree edificabili a nord con grandi potenziali di sviluppo (Bruzzano e Stephenson). Questa traslazione di diritti edificatori, che ha comportato la rinuncia da parte del Gruppo di circa 120 mila metri quadrati di superficie libera, ha coinvolto superfici fondiarie per circa 450 mila metri quadrati a sud della città, aree verdi che manterranno la loro vocazione agricola».

Due poli

In ogni caso, secondo Francesca Zirnstein, direttore generale di Scenari Immobiliari, il trend della rigenerazione tenderà a polarizzarsi: «Da un lato le grandi trasformazioni continueranno a riguardare i maggiori centri urbani, le città metropolitane, quello che resta dei vasti complessi dismessi, edifici e aree pubbliche di varia natura, scali e superfici ferroviarie, grandi spazi commerciali e logistici, terziario e ambiti residenziali spesso prodotti di sperimentazioni. Dall’altro, saranno essenziali per le realtà provinciali le piccole trasformazioni, puntuali e reticolari, in gran parte insistenti sul sito di attività andate in disuso e spazi pubblici sottoutilizzati».

Coinvolgimento

Dipenderà molto anche da come gli interventi urbanistici sapranno coinvolgere i residenti, non sempre entusiasti di abbandonare vecchie abitudini, paesaggi urbani e, non bisogna dimenticarlo, spesso anche le proprie abitazioni quando il progetto coinvolge edifici residenziali.

Un esempio è quello del progetto di rigenerazione di piazzale Loreto, a Milano, un’area che sarà completamente rivoluzionata.

Nhood Italy, uno dei principali attori del real estate italiano, per confrontarsi con i residenti nella zona ha inaugurato uno spazio apposito: l’hub Loc 26, uno spazio informativo e di ascolto su Loc – Loreto Open Community, in compartecipazione con Arcadis Italia, Metrogramma Milano, Studio Andrea Caputo, Mic-Hub, Land e Temporiuso.

Anche perché il bando internazionale Reinventing Cities è stato vinto proprio esasperando il tema della rinascita dell’area, oggi occupata da un endemico ingorgo di traffico. Per far digerire il ribaltamento urbano nell’hub si svolgono workshop, seminari ed eventi pubblici con professionisti ed esperti per spiegare il senso della rigenerazione-rivoluzione urbana. Perché la città, in fondo, è di chi ci abita.

Chi rigenera di più

Dove si focalizza la rigenerazione urbana? Il Rapporto di Scenari Immobiliari ha stimato che dei 920 chilometri quadrati di superficie potenzialmente rigenerabile, il 21% si trova in Lombardia.

Seguono il Veneto (19%), Emilia-Romagna (17%), Piemonte (14%) e Lazio (7%). Sul fronte dell’edificabilità, nelle stesse regioni è distribuita la maggior parte dei 350 milioni di metri quadrati di superficie lorda, con Lombardia in testa (23%), Veneto (22%), Emilia-Romagna (18%), Piemonte (16%) e Lazio (6%).

La stessa classifica, ovviamente, risulta se si considera il valore immobiliare correlato a interventi di rigenerazione urbana: dei 700 miliardi di euro potenzialmente impegnabili da qui al 2050, il 26% si concentrerà in Lombardia, il 21% in Emilia-Romagna, il 20% in Veneto, il 14% in Piemonte e il 7% nel Lazio. Milano, Torino, Roma e Bologna sono, tra le principali aree metropolitane più interessate, ma la rigenerazione urbana interessa porzioni di territorio più ampie, per esempio, città di provincia come Verona, Treviso, Brescia, Piacenza, oltre all’area di Venezia.

di Franco Saro

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