In questi ultimi dieci anni si è notata una più capillare diffusione di architetture contemporanee. Questo vento fresco, fortunatamente, non è rimasto confinato nelle sole città di notevoli dimensioni, ma ha raggiunto anche i centri minori delle nostre Province. La presenza di queste piccole gemme è quanto mai importante, soprattutto in questi contesti, in quanto incide maggiormente sull’immaginario collettivo e contribuisce, in modo determinante, alla diffusione della cultura del progetto toccando un pubblico più vasto ed eterogeneo.
A Modigliana, comune con meno di 5 mila abitanti in provincia di Forlì-Cesena, lo studio ellevuelle architetti ha progettato e diretto il recupero di un’archeologia industriale da lungo tempo abbandonata o sottoutilizzata. Il complesso, noto come il Filandone, è un opificio di inizio Novecento, si trova al limite dell’abitato, ma in posizione doppiamente strategica, sia logisticamente, in quanto ben servito da parcheggi di interscambio e comunque prossimo al centro storico, sia simbolicamente, perché ai piedi della fortificazione fiorentina del XIII secolo, nota come la Roccaccia, che domina la valle del torrente Tramazzo.
La struttura è composta da un lungo edificio a due falde, disteso sul fronte principale verso piazzale Berlinguer. Sul retro di questo corpo si osservavano una serie di annessi minori, frutto di aggiunte progressive, un coacervo di volumi privi di un disegno organico. Il complesso ha nel suo insieme un aspetto semplice e austero, che nel minuto tessuto cittadino come una presenza volumetrica molto ben riconoscibile. Il prospetto più pubblico, lungo più di 100 metri, è scandito da un serrato ritmo di aperture rimarcate da un semplice apparato decorativo di lesene e trabeazioni. Internamente si riconoscono i moduli di facciata sottolineata dal passo regolare delle capriate metalliche.
La rigenerazione del Filandone è un fortunato esempio di partnership pubblico-privato, che ha dato vita a un nuovo contenitore in grado di accogliere varie funzioni che lo rendono fruibile e vivo in tutte le stagioni e ore del giorno. L’operazione risulta ancora più interessante se si valuta l’età dei progettisti, classe 1984, che alla data dell’affidamento della ideazione avevano poco più di trent’anni.
Nell’edificio si trovano un auditorium, un ufficio postale, uno sportello bancomat, un bar/ristoro, locali commerciali e direzionali, tutti spazi riconducibili a una funzione di interesse pubblico. I progettisti hanno operato scelte nette e coraggiose: salvaguardare e rivitalizzare il volume puro del Filandone, demolire e sostituire integralmente gli annessi disomogenei per forma e metodiche costruttive.
A cerniera fra vecchio, mantenuto, e nuovo, rimodulato, si trova il grande atrio a doppia altezza che funge da snodo di tutte le nuove funzioni. La centralità orditrice di questo elemento distributivo è ulteriormente enfatizzata nella visione notturna: grazie ad ampie superfici vetrate, presenti anche in copertura, diviene una vera e propria lanterna. I due fronti sono trattati in modo diverso. Le finestre del corpo originario sono state convertite in ampi portali rimarcati da elementi in acciaio patinato. Nel volume ricostruito, invece, si è introdotto un ordine gigante con una teoria ravvicinata di setti in calcestruzzo lasciato a vista.
Una composizione che ricorda molto da vicino alcune architetture monumentali del ventennio razionalista. Si leggono anche dei possibili rimandi ai pregevoli interventi di Fernand Pouillon, architetto purtroppo sottovalutato e misconosciuto, di cui si ricordano fra gli altri la Residence du Parc a Meudon-la-Forêt o le architetture coloniali di Climat de France a Algeri. Si potrebbe pensare che questa sia una scelta compositiva scontata e finalizzata a raggiungimento di un facile esito enfatico e retorico. Invece, si tratta di un espediente molto ragionato ed estremamente collegato al contesto. Infatti, tramite gli ampi infissi si ha una privilegiata visione della Roccaccia e ciò permette un sofisticato gioco di rimandi fra interno e esterno e fra vecchio e nuovo.
Lo sviluppo planimetrico è quindi molto semplice e leggibile, scelta quanto mai opportuna in una architettura di servizio per facilitare l’utenza senza necessità di particolari espedienti segnaletici. Il grande atrio centrale accoglie gli utenti e li distribuisce alle varie funzioni poste su due piani. L’auditorium è senz’altro lo spazio principale e più scenografico. Fra platea e galleria è in grado di ospitare fino a 232 spettatori, le sedute, peraltro, sono totalmente removibili garantendo una buona flessibilità di utilizzo.
L’andamento della copertura, a doppia falda con struttura portante metallica, è a vista, manifestando fin da subito la matrice industriale dello spazio. L’eco della presenza delle macchine dell’antico opificio rimane quindi sempre ben presente, ma non risulta mai invadente.
L’uso di colori e materiali è discreto, ma mai anonimo. Le capriate in acciaio, ricostruite, ma fedeli al disegno originario, sono trattate con vernici intumescenti bianche, le pavimentazioni sono in cemento spolverate con quarzo chiaro, i parapetti sono in vetro, alcuni complementi e superfici sono in parte rivestiti con elementi lignei in larice naturale. In generale, non si ravvisa in questi giovani progettisti compiacimento nell’uso dei materiali, ma una elegante consapevolezza, che rende tutto molto accogliente. Anche la morbidezza della luce, naturale e artificiale, contribuisce in modo determinante ad infondere una atmosfera soffusa e rilassata.
di Ilaria Bizzo e Stefano Cornacchini (da YouBuild n.20)
LA SCHEDA
Cliente: Stu Il Filandone
Progetto: ellevuelle architetti (Giorgio Liverani, Luca Landi, Michele Vasumini, Matteo Cavina) con Eleonora Festa, Andrea Cirillo e Giacomo Diolaiti
Strutture: Angelo Sampieri
Impianti elettrici: Riccardo Berti
Impianti meccanici: Massimiliano Gramellini
Acustica: Fabio Lelli
Impresa edile: Nov.edil
Info: www.ellevuelle.it
Realizzazione: 2015 – in corso
Fotografie: courtesy ellevuelle architetti