Tra le novità tecnologiche che possono interessare chi si occupa di costruzione dell’architettura, paradossalmente vi è proprio lo sviluppo delle interfacce virtuali. Rappresentazione virtuale ed edificazione effettiva, infatti, sembrano essere strettamente correlate nel processo di progettazione e di realizzazione di un manufatto in cui svolgere funzioni umane, siano esse di vita domestica, di lavoro, di svago.
Siamo abituati a considerare i due mondi, reale e virtuale, in opposizione, dove la stessa parola realtà virtuale, che qualche decennio fa sulla rivista Wired Nicholas Negroponte si interrogava se considerarla un ossimoro o un pleonasmo, ha un margine di ambiguità che non ci consente di comprendere di che cosa effettivamente si tratti. Pochi sanno che, come spesso avviene, è nata prima la cosa che la parola, ovvero che se alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso il primo casco VR è stato sperimentato, grazie alla proposta sperimentale di un giovane ricercatore americano, Ivan Sutherland, che ha messo a punto un sistema di navigazione interattivo chiamato The Sword of Damocle.
Come la spada narrata nella celebre leggenda pendeva dall’alto, così il copricapo elettronico, messo a punto in questo caso, era ancorato al soffitto, e attraverso due lenti adeguatamente predisposte, permetteva all’utente di vedere uno spazio modellato in 3D come se si trovasse al suo interno. Il modello era in realtà abbastanza astratto, con una struttura reticolare a fil di ferro luminoso, non essendoci ancora algoritmi di rendering, da non permettere di identificare il sistema con qualcosa che avesse a che fare con il termine realtà. Solo vent’anni dopo il termine ossimorico sarà coniato da un giovane programmatore e compositore musicale, Jaron Lanier, che avrebbe creato una società ad hoc per lo sviluppo di sistemi VR, con caschi edatagloves a controllo numerico.
Nonostante i costi altissimi del sistema, la resa finale di questo sistema di virtualizzazione realtime lasciava a desiderare, con i problemi di perdita di equilibrio e nausea generati in chi provava il sistema, dopo appena qualche minuto. Ci sarebbero voluti alcuni decenni per consentire di elevare la qualità dei visori, stabilizzare l’immagine e associare in maniera adeguata lo spostamento reale dell’osservatore con il movimento nello spazio virtuale generato dal computer, così da superare l’astrazione grafica di un tempo per consentire un’altissima resa qualitativa in termini di verosimiglianza.
Molti studi professionali oggi possono utilizzare la realtà virtuale per visitare virtualmente l’edificio in fase di progettazione per controllare aspetti spesso difficili da immaginare. Interfacce semplificate e sistemi low cost forniscono attrezzature adeguate per consentire a tutti di cogliere aspetti percettivi prima solo ipotizzati: la scelta di un materiale piuttosto che un altro, il comportamento della luce in differenti periodi del giorno, la percezione dell’inquinamento sonoro in un determinato spazio, grazie al rilevamento dei rumori, oltre che delle caratteristiche metriche e cromatiche di un contesto, consentono di realizzare quel cosiddetto digital twin che sembra essere la caratteristica dominante dei nostri tempi.
La clonazione digitale, infatti, costituisce l’ossatura di chi si occupa di edilizia soprattutto, come abbiamo già scritto, per ciò che riguarda la modellazione informativa Bim, che si basa proprio sul concetto di replicare un artefatto reale nella forma digitale, sia nell’atto della prefigurazione digitale, sia nel momento delicato del controllo manutentivo condotto ex post, in cui si deve controllare lo stato dell’arte dell’opera nel corso del tempo.
Ecco, allora, che la virtualizzazione in VR può essere uno strumento d grande utilità per il progettista, che riesce a controllare il lavoro nel suo farsi. Ogni fase di costruzione può essere facilmente monitorata a distanza e presentata a chiunque si occupi del processo ideativo e realizzativo dell’opera: l’architetto, l’ingegnere, il direttore dei lavori, l’impresa, il committente, i referenti degli uffici tecnici che devono accertare la conformità della stessa alle normative tecniche, ma anche la cittadinanza tutta, se si tratta di opera di interesse collettivo, magari coinvolta nel processo partecipativo, cosa sempre più richiesta per garantire quell’attività di verifica a priori di un progetto. Tutti possono, anche a distanza, entrare nello stesso ambiente virtuale e vivere lo spazio prima di verificarne le dimensioni reali dopo la costruzione.
Ma un’altra frontiera è lì ad attenderci, già in corso di sperimentazione in alcuni studi avanzati: quella di progettare indossando il casco di realtà virtuale e utilizzando i controller impugnati a mano come strumenti per modellare in 3D. Lo studio londinese della scomparsa Zaha Hadid, ora diretto da Patrik Schumacher, ha sviluppato primitive grafiche di alta complessità geometrica associandole ai pulsanti di questi particolari joystick da lavoro, in modo da modellare uno spazio trovandosi all’interno di esso. In questo caso l’aspetto ludico di un dispositivo per adolescenti diventa uno straordinario utensile performativo, che non può che riportare alla mente i giochi froebeliani con cui Frank Lloyd Wright ha trascorso la propria infanzia e che, come egli stesso ha dichiarato, sono stati indispensabili per formare la propria inclinazione verso l’architettura.
di Alberto Sdegno, Direttore del Master in Building Information Modeling presso l’Università di Udine (da YouBuild n. 25)