Se dal punto di vista economico la pandemia del 2020 porterà conseguenze rilevanti, va anche sottolineato come dal punto di vista sociale l’effetto quarantena ha fatto rivedere molti modelli, non solo di consumo, ma di organizzazione stessa delle città. Così oggi assistiamo nelle grandi metropoli europee a nuovi progetti di revisione della mobilità urbana, a partire dalle esperienze più innovative di Parigi e della strategia dei 15 minuti promossa dalla sindaca Anne Hidalgo, ovvero l’idea di costruire un sistema di servizi di prossimità che permetta di trasformare la Ville Lumiere anche nella ville du quart d’heure, ovvero la città post-auto dove si possa trovare tutto ciò di cui si ha bisogno a pochi minuti da casa.
Secondo Hidalgo «questa è la condizione per la trasformazione ecologica della città che migliorerà al contempo la vita quotidiana dei parigini». Un progetto nato da Carlos Moreno, professore alla Sorbonne che ha elaborato la sua proposta, poi fatta propria dalla sindaca rieletta qualche mese fa alla guida della capitale di Francia, su ispirazione del lavoro innovativo sulle metropoli di Jane Jacobs.
Liberare le città dalle auto è una delle strategie messe in campo dalle metropoli europee più avanzate in termini di progettualità green e di focalizzazione sulla città come luogo sociale. I casi di Amburgo e di Oslo sono certamente i più eclatanti, senza ovviamente dimenticare Copenhagen o, per restare in aree vicine a quelle italiane, Ljubljana che nel 2016 è stata Capitale verde europea proprio per la sua lotta al traffico e la liberazione e pedonalizzazione delle aree centrali della città.
Ma se è difficile pensare le nostre città senza auto, dato che siamo ancora fortemente ancorati al modello novecentesco di sviluppo urbano e di uso privato degli spazi pubblici, le esigenze della nuova economia circolare e della sostenibilità come driver dello sviluppo futuro, impongono di rivedere le nostre scelte sulla mobilità, che sono poi scelte che riguardano il modello d’uso delle città e, quindi, anche gli impatti sociali che esse generano.
Durante il confinamento per coronavirus abbiamo potuto constatare che è possibile vivere in modo diverso, al punto che c’è stata una vera e propria riscoperta dei negozi di vicinato. Per esempio, oltre alle forti esigenze di spazi verdi e di luoghi di qualità. Perfino i dati sul traffico raccontano questa incredibile e per certi aspetti fantascientifica azione collettiva che ha portato in quel periodo sulla rete stradale nazionale ad abbassare del 94% il traffico fino ad azzerarlo del tutto il 12 aprile, secondo i dati pubblicati da Mobility data lab su piattaforma Infoblu e Octo Telematics.
Si potrebbe dire che tutto ciò che gli ambientalisti hanno predicato per anni e che Greta Thunberg ha messo a fuoco nel 2019, con il grande impatto mediatico della sua protesta, diventata poi proposta operativa perfino sui banchi dell’Onu, oggi avrebbero certamente meno rilevanza se non avessimo potuto vedere con i nostri occhi cosa significa, per fare un esempio, aria pulita e acque pulite, dalle strade di una Milano deserta ai canali di Venezia con l’acqua trasparente.
E sulla scia di quanto accaduto alcune città italiane non sono state a guardare, ma hanno velocizzato i processi di cambiamento paradigmatico dei modelli di mobilità. In Italia la città che
più nel passato aveva lavorato in questo senso e che oggi si presenta ancora una volta come città e metropoli innovativa è Milano, al punto che perfino Greta Thunberg ha elogiato pubblicamente le politiche per il dopo covid-19 intraprese dalla nostra unica metropoli di respiro europeo.
Mobilità urbana sostenibile: il progetto Strade Aperte di Milano
I progetti di mobilità sostenibile introdotti dal Comune di Milano hanno avuto riconoscimento mediatico, che si basa su una serie di scelte e di azioni che la giovane attivista ha commentato con la seguente frase: «Milano sta introducendo uno degli schemi più ambiziosi d’Europa, riallocando lo spazio stradale dalle auto al ciclismo e al camminare, in risposta alla crisi del coronavirus».
Tutto nasce dall’annuncio del Comune di Milano della trasformazione, nel corso dell’estate, di 35 chilometri di strade in strade ciclabili e pedonali, che saranno trasformate con una rapida espansione sperimentale in tutta la città. Il piano si chiama Strade Aperte e comprende piste ciclabili temporanee a basso costo, marciapiedi nuovi e ampliati, limiti di velocità di 30 chilometri orari e strade prioritarie per pedoni e ciclisti.
Il vicesindaco di Milano, Marco Granelli, ha argomentato questa scelta dicendo che «se tutti guidano un’auto, non c’è spazio per le persone, non c’è spazio per muoversi, non c’è spazio per attività commerciali al di fuori dei negozi. Certo, vogliamo riaprire l’economia, ma pensiamo che dovremmo farlo su una base diversa rispetto a prima. Pensiamo di dover reimmaginare Milano nella nuova situazione. Dobbiamo prepararci; ecco perché è così importante difendere anche una parte dell’economia, supportare bar, artigiani e ristoranti. Quando sarà finita, le città che hanno ancora questo tipo di economia avranno un vantaggio, e Milano vuole essere in quella categoria».
Oltre ai 35 chilometri di strade cittadine riservate a bici e pedoni, il progetto prevede solo mezzi pubblici elettrici entro dieci anni, con notevole risparmio di CO2 e, dunque, minore impatto sull’aria cittadina. Ma l’impatto di queste scelte, che per voce del sindaco Beppe Sala sono destinate ad ampliarsi in futuro, avranno una conseguenza diretta sulla qualità della vita, che a Milano è anche qualità dello spazio pubblico e della nuova edilizia che, in questi anni post Expo, ha cambiato il volto della città.
Il cambiamento di passo, nella scelta amministrativa post covid-19, è pensare che una delle soluzioni alla mobilità urbana non è fare più piste ciclabili, ma aprire le strade già esistenti all’uso delle due ruote e all’uso pedonale, riducendo progressivamente l’uso delle auto, ovvero andando verso quel concetto di città lenta che potrebbe sembrare antitetico in una metropoli come Milano, ma che invece assume proprio per il suo carattere innovativo post pandemia un significato molto più esteso. Nel senso che la lentezza è piuttosto sinonimo di riappropriazione, di uso condiviso, ma soprattutto di uso consapevole della città.
Peraltro, in una città che oggi per il 70% dei suoi cittadini deve svilupparsi sempre più verso pratiche green al punto che l’amministrazione, conscia di questa opportunità, ha promosso lo slogan «se vivi a un chilometro dal tuo ufficio, cammina o vai in bicicletta. È buono per noi e per te». Ma non è solo un tema legato alla mobilità dolce e lenta delle biciclette, quanto una trasformazione che porterà anche le auto e gli scooter elettrici a svolgere un ruolo fondamentale, grazie all’installazione di stazioni di ricarica per veicoli a batteria e parcheggi riservati.
Il punto di partenza per la realizzazione di questo piano, che fa ampio ricorso a Zone 30 per limitare la velocità delle auto e in genere la creazione di aree dedicate a pedoni, ai ciclisti e alla micromobilità, sono i centralissimi corso Buenos Aires e corso Venezia, ai quali seguiranno interventi volti a favorire un diverso tipo di trasporto, con nuove aree pedonali e ciclabili, anche viale Monza, via Sardegna, via Buonarroti e viale Zara.
Il tema della mobilità è uno dei temi più importanti nella gestione delle città, soprattutto nelle fasi post covid-19, perché all’uso dei mezzi pubblici, per motivi di maggiore sicurezza sanitaria, potrebbero essere preferiti i mezzi privati, l’auto su tutti. Dunque impostare una azione di post emergenza come quella milanese potrebbe avere un senso non solo per riorganizzare l’approccio culturale alla mobilità urbana dei cittadini, che a Milano tuttavia già da anni sono abituati a utilizzare i mezzi pubblici, soprattutto metropolitana o i sistemi innovativi di carsharing e bike sharing.
Ma se a queste azioni già positive si aggiungono barriere fisiche all’uso dell’auto, ciò potrebbe portare, assieme allo sviluppo e al sostegno della cosiddetta mobilità attiva (pedonalità e ciclabilità) e della micromobilità, un ripensamento dell’intermodalità, tema non nuovo a Milano.
Lo sviluppo sostenibile oggi deve guardare sempre più all’integrazione delle soluzioni rispetto alle funzioni, anche per iniziare a costruire quel sistema urbano innovativo già presente in molte città europee basato sul concetto di ecoquartiere, ovvero un quartiere che esprime il senso della qualità della vita, dello sviluppo equo e di lungo periodo e dell’uso equilibrato delle risorse, ivi comprese quelle ambientali e legate all’uso del suolo, che nelle grandi città come Milano significa anche affrontare il tema della permeabilità e del drenaggio, per evitare inondazioni, come la storia recente ci illustra con troppa frequenza.
La mobilità è uno dei tasselli fondamentali del nuovo urban design, che ricomprende il nuovo disegno dello spazio pubblico, delle relazioni tra gli edifici, del rapporto tra vuoti urbani e vuoti edificati (pensiamo a tutto il tema del dismesso), degli spazi sociali e dei luoghi di appartenenza che costituiscono la vera identità di una città, la sua immagine ma anche la sua capacità di essere attrattiva per le nuove generazioni e dunque perpetuare se stessa.
Milano è una città contemporanea e lo sarà sempre di più in futuro se saprà proseguire sulla strada dell’innovazione e del rinnovamento, lavorando sulle reti materiali e immateriali che garantiscono un uso armonico e equilibrato della città, puntando non solo sul recupero degli spazi, azione che in questi anni ne ha decretato il successo come capitale immobiliare d’Italia, ma anche sul recupero dell’ambiente urbano come luogo dove i cittadini possono muoversi con facilità.
Se Parigi ha puntato sul diventare la metropoli del quarto d’ora, Milano potrebbe essere in futuro la risposta italiana ai modelli dei five minutes disctrict, ovvero dei quartieri dove in 5 minuti si raggiungono tutti i servizi utili al cittadino, dai negozi al parco pubblico, puntando sulla digitalizzazione come elemento di connessione tra cittadini, amministrazione e città, anche per condividere e coprogettare la futura qualità della vita, che è la battaglia che da molto tempo in molti proponiamo e che Greta ha così ben saputo condensare nella sua battaglia per la sostenibilità, una battaglia che Milano può e deve vincere, per essere di esempio a tutte le altre città italiane.
di Federico Della Puppa (da Youbuild 17)