Per fortuna c’è lui, il Pnrr. Tra stop e proroghe ai bonus, ostacoli alla cessione del credito, rincaro dei materiali, guerra e inflazione, il Piano nazionale di resilienza appare come un miraggio agli occhi di centinaia di progettisti e imprese di costruzioni. Non che manchino le difficoltà e gli impicci, che fanno parte della cultura italica, ma i numeri confortano gli ottimisti: l’Italia ha affisso il cartello «lavori in corso».
I dati relativi al primo trimestre dell’anno sono inequivocabili: sono stati registrati in gara lavori per oltre 20 miliardi, cifra che equivale al triplo di quella nell’analogo periodo 2021. Ed è un numero che, è bene sottolinearlo, aveva già rappresentato un notevole incremento (6,7 miliardi) rispetto al passato. Non è tutto: secondo i dati raccolti dal Cresme, da gennaio a marzo le aggiudicazioni di gare hanno raggiunto i 9,3 miliardi. Anche se la cifra, per una serie di ragioni, è di poco inferiore a quella del 2021 (9,6 miliardi), rappresenta un notevole traguardo.
L’Osservatorio opere pubbliche del centro di ricerca ha esaminato i dati sui bandi di gara, comprese concessioni e appalti di servizi, e l’effetto del Pnrr è apparso evidente: per le infrastrutture il presidente del consiglio, Mario Draghi, ha valutato in 41 miliardi le aggiudicazioni nel 2021. Per superare le difficoltà burocratiche (e ideologiche), il governo ha inoltre avviato la semplificazione dell’iter (il decreto legge 77/2021), che consente di attivare l’appalto per le opere che sono accompagnate da un progetto preliminare, scivolo rafforzato con le linee guida messe a punto dal ministro alle Infrastrutture Enrico Giovannini. Grazie alle modifiche introdotte, per gli appalti del Pnrr è ora anticipato il momento della gara rispetto al progetto definitivo o esecutivo. Una volta portata avanti la pratica amministrativa, in sostanza, si passerà agli altri livelli di progettazione. La soluzione ha dei pro e dei contro, in effetti, ma dovrebbe velocizzare l’iter complessivo, anche perché un disegno di legge prevede un massimo di sei mesi fra aggiudicazione e consegna lavori.
L’attenzione mediatica, in ogni caso, rimane alta, anche perché si concentra sui grandi appalti, come il Terzo valico ferroviario, l’Alta velocità Brescia-Padova o la ferrovia Napoli-Bari. Ma in realtà, secondo L’Ifel, Fondazione dell’Anci, nel 2021 gran parte degli appalti pubblici ha riguardato lavori di interesse locale: i Comuni hanno dato il via a opere per 9,3 miliardi di euro, con un aumento del 44,4% rispetto all’anno precedente. Insomma, l’accelerazione è evidente se si considera che nel 2017 i bandi locali erano stati di 5,18 miliardi. Rispetto a quattro anni prima, insomma, l’incremento è stato di quasi l’80%.
Secondo la statistica, inoltre, i pagamenti in conto capitale alle imprese, che liquidano l’avanzamento lavori, sono saliti a 11,2 miliardi, con un incremento del 14% rispetto al 2020 ma, soprattutto, del 34% sul 2017. Premesso questo, il Pnrr indirizza direttamente ai Comuni circa 40 miliardi entro il 2026, fondi che si aggiungono ai 10 miliardi delle politiche di coesione per il periodo 2021-27.
L’Anci (l’associazione dei Comuni) fa bene a sottolineare il peso degli appalti a livello locale. Ma è bene ricordare anche che quando si parla di Comuni si intende una realtà variegata. Non tutti hanno, diciamo così, la stessa capacità (o volontà) di spendere i fondi a disposizione. Un’indagine di Regione Toscana e Irpet (Istituto per la programmazione economica della Toscana) sugli appalti realizzati fra 2007 e 2021, offre un panorama che conferma le due o tre velocità a cui viaggia l’Italia. Al Sud, per esempio, il Pnrr riserva 86 miliardi, il 40,8% dei 222,1 a disposizione. Peccato che, secondo la ricerca, la realizzazione delle opere pubbliche nel Mezzogiorno impiega in media un tempo superiore del 22% di quella registrata a Nordovest e del 21% con quella del Nordest.
Morale: ci sono un sacco di soldi da spendere, il problema è spenderli. Per raggiungere l’obiettivo di velocizzare gli appalti è stata introdotta anche una piattaforma ad hoc, dal nome beneaugurante di Easy, che unisce informazione (modelli standard, schemi di atti, casi reali d’investimento già realizzati da usare come esempi, informazioni sulle risorse e le regole, lezioni online) e aiuto su misura, sotto forma di risposta ai quesiti e di contatti diretti tramite call center. Basterà?
La rigenerazione degli architetti
Architetti e ingegneri al lavoro. I progetti di rigenerazione urbana a matrice culturale. Il Pinqua, programma per la qualità dell’abitare lanciato dal precedente governo giallorosso, è poi confluito nel Pnrr e prevede una serie di opere di rigenerazione urbana italiana nelle città di medie dimensioni. Metà dei progetti e degli investimenti finanziati, infatti arrivano da centri urbani che non sono Milano, Torino, Napoli o Roma: su 159 progetti, 73 riguardano città come Brescia, Ascoli, Lamezia, Caserta, L’Aquila, Perugia, Livorno, Pesaro, a cui sono stati assegnati oltre 1,2 miliardi su 2,8 a disposizione. A Novara, per esempio, l’ex caserma Passalacqua è diventata un «hub di innovazione sociale» con un investimento di 3 milioni di euro. A Bari, il quartiere degradato San Paolo è stato recuperato con un progetto di rigenerazione urbana del Comune che ha prodotto 15 murales di artisti di fama internazionale. A Volterra nel Carcere della Fortezza di Volterra, dove il regista Armando Punzo lavora da 34 anni e ha creato la Compagnia della Fortezza di Volterra, sarà creato un Teatro stabile. Al Nord, a Pavia, lo studio Supernova ha vinto il premio Inu nella categoria Rigenerazione ambientale, economica e sociale per il recupero di 11 ettari di territorio e di aree dismesse nel cuore della città storica, dove c’è l’area ex Necchi. E a Verona lo stesso studio ha ottenuto il Premio Urbanistica dell’Inu per la categoria Nuova qualità dell’abitare e del produrre, con l’idea di una rigenerazione per collegare la città all’area fieristica passando per la futura stazione dell’Alta velocità.
Il problema dei costi
Il Pnrr è il paradiso delle costruzioni? Non c’è rosa senza spine. E le punture, molto dolorose, in questo caso si chiamano costi. È vero che il governo si è applicato nel presentare norme che oliano gli ingranaggi (in senso buono) degli appalti. Ma nel frattempo sono arrivati prima i rincari determinati dal rimbalzo post covid e poi i carri armati di Vladimir Putin. Secondo l’Ance, per esempio, il 72% dei progetti legati al Pnrr sono stati presentati con costi aggiornati a un anno fa. Praticamente in un altro mondo. Il rischio è, insomma, che le imprese non possano più fare fronte a quanto avviato. Attraverso l’Ance le aziende appaltatrici hanno fatto sapere che il costo aggiuntivo per il rincaro dei prezzi dei materiali e dell’energia è di circa 3 miliardi fino al 2023. Per questo il governo è stato costretto a scendere in campo con un fondo con nove zeri per tamponare gli aumenti dei costi, ma è tutto da verificare se basteranno, dato che il meccanismo di compensazione finora non ha funzionato: solo nel primo trimestre di quest’anno è arrivato il pagamento per il primo semestre 2021. Tempi inadeguati per le imprese, che hanno chiesto una norma di legge per accelerare i rimborsi. Anche se qualche committente ha già ritoccato i numeri in campo. Per esempio, la Rete ferroviaria italiana, stazione appaltante con la quota maggiore di appalti del Pnrr, ha ritoccato i prezziari: dopo l’aumento del 18% a gennaio, ne ha applicato un altro con adeguamento dei prezzi di circa il 25%. Ma gli adeguamenti «spontanei» sono casi rari.
Progetto spazzatura
Uno degli obiettivi del Pnrr riguarda la sostenibilità. Ma non solo per quanto riguarda costruzioni e trasporti. Un altro aspetto interessante per le imprese riguarda il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, che ha come obiettivo raggiungere gli obiettivi assegnati dall’Europa in materia di riciclo, quota che dovrebbe salire a quota 65% entro il 2035, con la contemporanea riduzione del materiale in discarica, fissato a un tetto del 10% entro il 2035. È uno dei tasselli per arrivare all’economia circolare tanto invocata, ma tanto difficile da raggiungere. I progetti che riguardano la gestione dei rifiuti comprendono differenti ambiti. Per esempio, 1,5 miliardi sono destinati a realizzare ex novo o ampliare infrastrutture per la raccolta differenziata e impianti di trattamento rifiuti, colmando il divario tra regioni del Nord e quelle del Centro-Sud. Avvertenza: il progettista che vuole concorrere deve sapere che nella scelta ha un ruolo rilevante il principio Dnsh (non arrecare danni significativi all’ambiente) che promette di tagliare fuori varie tipologie di impianti.
Le opere extra
Non si vive di solo Pnrr. Le grandi opere di cui ha necessità l’Italia sono state sintetizzate nel Def Infrastrutture, cioè il documento con il quale il governo periodicamente fa il punto sul programma di spesa. Secondo il documento (290 pagine), che è allegato al Def, per l’Italia servono 70,4 miliardi per le infrastrutture di trasporto, dopo i 209 già acquisiti fra Pnrr, Piano nazionale complementare, prime quote dei fondi strutturali Ue 2021-27, fondi del bilancio nazionale. In particolare, il focus è centrato sulla Statale 106 Jonica, per la quale il Def Infrastrutture chiede 3 miliardi per terminare l’opera. C’è, poi, il completamento della Catanzaro-Crotone (1,8 miliardi), la Crotone-Sibari e il collegamento a Reggio Calabria. Per le città, servono altri 3,8 miliardi per le metropolitane, altri 2 miliardi per le piste ciclabili, a cui si aggiungono 7,7 miliardi per la gestione idrica e 1,5 miliardi per completare il finanziamento del programma di rigenerazione urbana. Dove si troveranno questi soldi? Tutto dipenderà dalle prossime leggi di Bilancio: sarà il Parlamento, come sempre, a decidere come spendere i soldi.