Parco della Cultura Urbana di Verona: intervista a Gian Arnaldo Caleffi di Architer

Gian-Arnaldo-Caleffi-ARCHITERGian Arnaldo Caleffi, direttore tecnico e legale rappresentante di Architer, ha vinto il primo premio per la progettazione del nuovo Parco della Cultura Urbana di Verona, da inserirsi nell’area adiacente a Porta San Zeno. In questa intervista a YouBuild spiega i criteri che stanno alla base del progetto.

Avete vinto il primo premio. Qual è stata l’idea principale di questo progetto?

È stato un risultato di grande soddisfazione, anche per la composizione del gruppo di lavoro che è stata determinante proprio per sviluppare l’idea del progetto. Infatti, l’idea è stata data dal bando, molto preciso ed articolato, che ha formulato una domanda complessa, ma chiara, ha individuato un problema. Un progetto è la risposta al problema, alla precisa domanda. Se la domanda è chiara anche il progetto può svilupparsi con chiarezza, viceversa ad una domanda confusa la risposta sarà un progetto confuso. La nostra risposta è stata volta al ripristino della connessione paesaggistica-architettonica tra fronte fortificato della Cinta Magistrale e spazi marginali esterni di pertinenza destinati al Parco su più dimensioni: percettiva (diradamento della vegetazione) funzionale (pubblica fruibilità del sistema mura) riattivazione dei percorsi di sortita interno-esterno, valorizzazione monumentale (illuminazione scenografica notturna). Ciò determina la riqualificazione dell’utilità funzionale degli spazi marginali esterni con attività ludico-sportive e di pubblico godimento in sicurezza per riposo-tempo libero, la riorganizzazione del verde con mitigazione dell’impatto visivo e acustico dell’asse di via Galliano, il recupero degli esemplari arborei con caratteristiche fito-sanitarie e strutturali idonee per sicurezza e funzionalità. Il gruppo di lavoro, con tutte le professionalità che contiene, ha arricchito la domanda di altri temi. La conoscenza della storia delle fortificazioni austriache, la conoscenza delle pratiche sportive, le competenze illuminotecniche, acustiche, sulle barriere architettoniche, geologiche hanno dato precisione e sostanza tecnica alle idee. Architettura e paesaggio sono stati integrati grazie anche alle capacità del paesaggista, che ha saputo vedere le piante nel paesaggio, oltre che nell’ambiente. Ho dedicato molto lavoro al coordinamento delle professionalità degli altri, un compito impegnativo, ma che mi è piaciuto molto.

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Che obiettivo vi siete dati nel concepirla?

Verificare come fosse possibile ottimizzare tutte le componenti del progetto (paesaggistiche, storiche, sportive, naturalistiche, tecnologiche) in un progetto di architettura assolutamente fattibile e concreto.

C’è un aspetto del progetto che la convince più di altri?

La sua concretezza.

A marzo 2020 è iniziato il lockdown. Come ha influito questo cambiamento nel flusso di lavoro?

Ha influito molto. Abbiamo sviluppato tutto, ma proprio tutto il progetto in smart working. Alcuni di noi si sono riuniti solo l’ultimo giorno di lavoro per limare i file da consegnare. Comunque, abbiamo abitudini di lavoro in comune, eccetto per uno dei progettisti, Stefano Maurizio di Venezia, uno dei più qualificati esperti in barriere architettoniche: non l’ho mai incontrato. Lo conosce personalmente solo Giusto Variara, che l’ha introdotto nel gruppo. Nessun altro lo ha mai incontrato di persona. Eppure, abbiamo lavorato benissimo insieme! A volte mi sono chiesto se Stefano Maurizio esista davvero. Sto scherzando, naturalmente.

Nella relazione che accompagna le tavole, si definisce la matrice dell’ovale come paradigma spaziale morfologico. Che ruolo ha per lei la forma nella definizione di uno spazio?

Come ho imparato dal mio maestro Aldo Rossi, se la forma ha un significato culturale è descrivibile, viceversa è un esercizio astratto. I nostri ovali sono descrivibili, sono l’identificazione e la
riconoscibilità degli spazi di pertinenza delle singole attrezzature sportive. L’ovale principale esiste già: era una vasca per la raccolta delle acque.

Trovo inoltre molto interessante la declinazione semantica della nozione di smartness applicata alla città quale «capacità di garantire la massima inclusione sociale». Può raccontare il suo punto di vista su questo tema?

Tutto il parco è completamente fruibile da tutti a cominciare da chi si sposta su ruote: roller, pattini, skate, carrozzine, triride, bici, scooter elettrici. Abbiamo fatto nostri i sette principi dell’Universal Design. Sono inseriti facilitatori per migliorare la partecipazione anche a chi ha esigenze particolari. La collocazione di sensori al di sotto delle piastre Lve permetterà alle persone non vedenti di accedere alle informazioni vocali. La segnalazione facilitata e le linee di intercettazione del percorso consentiranno a tutti di identificare la tabella tattile con le scritte in rilievo, ad alto contrasto (bianco su fondo blu), ai non vedenti di costruire mappe mentali che permetteranno di percepire, capire, orientarsi facilmente all’interno del parco. Una linea guida condurrà ad un pannello informativo touch con indicazioni in rilievo sul bordo informazioni, anche verbali, su uso delle strutture, orari, riferimenti delle associazioni che gestiranno le attività. La nostra convinzione  è sulla necessità non di superare le barriere architettoniche, ma di non avere barriere architettoniche. Tutto il nostro Parco della Cultura Urbana è accessibile a tutti, non ci sono percorsi privi di barriere architettoniche perché non ci sono barriere architettoniche. Anche questa è inclusione sociale.

La rigenerazione urbana di ambiti degradati è un tema importante in questo progetto, che è affrontato attraverso il disegno di uno spazio aperto pubblico. Che ruolo hanno secondo lei gli spazi aperti pubblici nella città contemporanea e nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana?

Sono le leve per rigenerare le parti degradate delle città. L’architettura rigenerata o le sostituzioni edilizie non sempre hanno un interesse architettonico in sé, ma l’ampliamento e la riqualificazione degli spazi aperti, soprattutto se resi pubblici, sono in grado di trasformare un ambito degradato in un pezzo di città interessante. Ovviamente se il progetto è di qualità.

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Il vostro progetto si sviluppa dalla necessità di valorizzare l’opera fortificatoria di Verona, nel tratto compreso tra Porta Palio e Porta San Zeno. Il sistema di terrapieni, bastioni e mura ha uno sviluppo ben più ampio di quello considerato dal concorso: qual è la sua idea per questa parte di città?

In realtà è già espressa nel progetto, in particolare nel master plan che ne è stata la prima fase. La connessione tra i vari frammenti della cinta muraria attraverso il sottopasso davanti a Porta San Zeno, la passerella che riconnette i vani sanmicheliani di Porta Palio con il bastione sono alcuni elementi di cucitura di una cinta muraria che ha perso la propria unitarietà. Continuiamo con il recupero delle alberature esistenti e l’inserimento di nuove alberature rustiche e resistenti, compatibili con il paesaggio ed efficaci per l’assorbimento di inquinanti, con l’utilizzo di arbusti sulla sommità del terrapieno favorendo l’habitat per la biodiversità vegetale e animale. Con attenzione alle visuali panoramiche verso il vallo e diradamento selettivo della vegetazione, il visitatore potrà osservare la spazialità architettonica-fortificatoria con originali effetti scenografici nelle ore notturne coadiuvato da una illuminazione funzionale e destinata a garantire in sicurezza l’accesso e l’utilizzo degli spazi del Parco. I due tipi di illuminazione sono stati reciprocamente armonizzati per aderire alla sequenza notturna prevista dal Piano di Illuminazione della Cinta Muraria. La componente di illuminazione paesaggistica-monumentale può essere ridotta al minimo per non mettere in conflitto visivo il Parco della Cultura Urbana con il vallo ed il fronte delle Mura.

Gerardo Semprebon, Politecnico di Milano (da YouBuild n.18)

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