L’intervista è stata realizzata prima dell’emergenza Covid-19, ma i temi restano attuali. Inoltre, luoghi come l’hotel diffuso «Zallinger» (nell’immagine di copertina) possono rappresentare per i vacanzieri nuovi poli attrattivi, dove è possibile mantenere una maggiore distanza dagli altri turisti ed essere più vicini alla natura
Insieme a Lukas Rungger, Stefan Rier è uno dei fondatori dello studio noa* – network of architecture di Bolzano. Un’avventura nata nel 2011 e partita da Milano. «La nostra specializzazione è l’alberghiero e ora da questo settore deriva l’80% del nostro fatturato», racconta Rier a YouBuild. «Siamo strutturati in maniera tale da riuscire a fornire un servizio completo. Offriamo sia la parte dell’architettura sia l’interior design, disegnando noi stessi i prodotti, come divani o lampade».
Come è nato noa* e qual è la sua storia?
È nato a Milano, dove ho lavorato nello studio di Matteo Thun dal 2007 al 2009. Dopo la crisi, il mio socio Lukas Rungger ha lasciato Londra per venire a lavorare anche lui da Thun. Lì ci siamo conosciuti. Nel 2010, visto che stavo progettando la mia casa di Bolzano, gli ho chiesto se voleva partire con me per lavorare insieme al progetto e per cercare altri clienti.
Quindi per un periodo avete lavorato insieme da Matteo Thun.
Abbiamo lavorato insieme nello studio per circa due anni, di cui l’ultimo, nel 2010, abbiamo iniziato a progettare la mia abitazione. Dopo quell’esperienza ci siamo detti che era il caso di tornare a casa e aprire un ufficio insieme a Bolzano, da dove veniamo entrambi. Così è nata la nostra avventura: a settembre 2010 eravamo già in Alto Adige per gettare le basi di quello che sarebbe diventato lo studio noa*. Uno dei primi clienti è stato mio zio, che ci ha dato la possibilità di portare a termine il nostro primo hotel, il «Valentinerhof», concluso nel 2011. Si tratta di un progetto di circa 3 milioni e mezzo, con 14 camere e una wellness, per cui abbiamo vinto quello che si chiamava lo Sleep Award, ovvero il premio londinese dell’hospitality, nella categoria ampliamento di un albergo esistente. Lo spingere sugli Awards e sul marketing è molto importante per noi e deriva sia dall’approccio londinese di Lukas sia da quello di Matteo Thun. È una strategia che ci ha dato la spinta per nuovi progetti.
Quali sono i vostri clienti principali in Italia e all’estero?
La nostra specializzazione è l’alberghiero e ora da questo settore deriva l’80% del nostro fatturato. Nel 2018 abbiamo aperto anche una seconda sede a Berlino, ma al momento la maggior parte dei nostri progetti sono in Alto Adige, o tra il Lago di Garda e il Lago Maggiore. Poi stiamo seguendo sei progetti in Austria e alcuni in Germania. Stiamo pian piano spingendo per diventare più internazionali.
Come mai la scelta di aprire la seconda sede proprio a Berlino?
È stata dettata dal fatto che ci serviva un hub internazionale dove i nostri clienti potessero raggiungerci all’estero. Londra è stata esclusa per il fattore Brexit, mentre Milano era già vicina da dove siamo noi. Il mercato italiano riusciamo a servirlo da Bolzano, mentre abbiamo scelto Berlino per il mercato tedesco e internazionale.
La maggior parte del vostro fatturato è nell’alberghiero. Come definireste il vostro approccio progettuale in questo settore?
Siamo strutturati in maniera tale da riuscire a fornire un servizio completo. Offriamo sia la parte dell’architettura sia la parte dell’interior design, disegnando noi stessi i prodotti, come divani o lampade. Ma siamo anche strutturati in modo tale da attrarre all’interno del nostro network una serie di specialisti ideali per la realizzazione dei diversi alberghi. È anche per questo che ci chiamiamo noa* network of architecture. L’obiettivo è produrre non solo un’architettura, ma una narrazione che riesca a essere abbastanza forte da portare ospiti al cliente. Un esempio, per l’hotel «Ulrichshof» che abbiamo costruito in Germania nel 2013 abbiamo coinvolto uno psicanalista. Ci ha dato una mano nella realizzazione dell’interior design, perché la nostra idea è stata quella di utilizzare delle fiabe per realizzarci attorno il progetto, e nel farlo il professionista ci ha aiutato a creare un’atmosfera di armonia negli ambienti.
Questa visione del network è molto interessante. Può indicare altri esempi di figure professionali che avete coinvolto nei vostri progetti?
Sì, per un hotel sul lago di Garda, non ancora realizzato, abbiamo coinvolto un terapeuta. Perché gli ospiti dell’albergo saranno genitori single con i propri figli. Senza partner. Con il nostro cliente abbiamo infatti notato che c’è sempre più necessità di strutture che possano dare una mano in questi momenti. Così, per l’albergo di Sirmione abbiamo iniziato a progettare una serie di trattamenti, come beauty o spazio terapia per bambini e per adulti, in modo tale che possano riuscire a superare quelli che sono momenti difficili per entrambi. Un altro esempio è a Innsbruck, dove vorremmo coinvolgere dei ragazzi che fanno videoproiezioni e musica. L’albergo ospita 50 camere dove hanno vissuto personaggi famosi come Mozart, Massimiliano I d’Asburgo, Caterina de Medici, Federico II. Abbiamo preso i tratti più folli del loro carattere per generare l’interior design, dove poter venire a contatto con queste figure. Qui entrano in gioco le videoproiezioni che fanno apparire i personaggi, come Mozart che prima entra nel bagno e poi ne esce con una cresta da punk. Si tratta di un piano elaborato con una ragazza che fa marketing e illustrazioni, insieme a tre-quattro professionisti che producono installazioni sonore e videoproiezioni.
Il progetto di Innsbruck è già stato realizzato?
No, siamo ancora in fase di cantiere: è un prodotto non solo di architettura, ma che racchiude una storia in grado di attrarre ospiti all’interno dell’albergo. Adesso siamo in cantiere e abbiamo molto da fare, anche perché ogni due giorni viene la Soprintendenza delle arti monumentali a controllarci. Stiamo lavorando, infatti, su un edificio storico ed è un bene che ci sia questo controllo.
Problematiche burocratiche e politiche si riscontano di più in Italia o in Germania?
Soprattutto in Italia. Per esempio, abbiamo un progetto a Francoforte dove stiamo lavorando all’interno dell’Unesco World Eritage, e nel giro di mezzo anno abbiamo risolto tutta la trafila. La politica comunale, insieme a quella provinciale, è sempre stata molto propositiva, ragionando insieme a noi per portare avanti il progetto. Questo coraggio, a volte, non lo trovo in Italia, incluso l’Alto Adige. Un altro esempio è l’«Ulrichshof», vicino a Monaco di Baviera, un albergo di 35 mila metri cubi per cui siamo riusciti a terminare tutta la fase di approvazione nel giro di due mesi. Ma lì la zona non era tanto sviluppata. Infatti, la densità degli agglomerati edilizi italiani è maggiore rispetto ad altri luoghi, e questo potrebbe essere una delle cause che concorrono ad aumentare la burocrazia.
Quanto è importante il Bim nella progettazione moderna?
Sta diventando importante e i progettisti stanno trovando pian piano delle vie per utilizzarlo bene. Noi, all’interno dell’ufficio, lavoriamo solo con programmi Bim e ci troviamo bene, anche se inizialmente c’è sempre da fare un po’ di prove con i tecnici specializzati. Ma credo che questo sia il futuro. Da quando abbiamo aperto, nove anni fa, ho potuto notare uno sviluppo incredibile all’interno del nostro ufficio per quanto riguarda la modalità di rappresentazione del progetto. Mentre cinque anni fa realizzavamo rendering, tre anni fa abbiamo iniziato con i primi video, e adesso tutte le presentazioni che facciamo contengono dei filmati in modo tale che il cliente possa girare intorno al suo progetto. Alcune realizzazioni non sarei neanche io riuscito a elaborarle senza l’aiuto dei programmi giusti. Per esempio, casa mia, «Messner House», non sarebbe mai stata finita senza il Bim. Già lo statico ci ha messo tre mesi per la struttura. Solo il fatto di far capire ai tecnici quello che l’architetto pensa è un passaggio di estrema importanza, e questo è possibile grazie al Bim, in modo semplice e immediato.
A Bolzano siete molto sostenibili. Sotto questo aspetto, quali sono i materiali più innovativi che avete utilizzato in un vostro progetto?
Non parlerei di materiali innovativi quanto di materiali tipici, come il legno. Per esempio, in occasione dei campionati mondiali 2020 di Biathlon, ad Anterselva, ci hanno chiesto di realizzare la «Südtirol Home». Il 3 dicembre dell’anno scorso abbiamo iniziato a progettare l’interior design della casa, mentre la struttura esterna veniva realizzata in legno. Il 5 febbraio è stata inaugurato il tutto. Nel giro di un mese e mezzo è possibile fare tantissimo con il legno, perché è una costruzione a secco. Il cantiere, poi, è molto pulito perché si riesce a prefabbricare tutto. Il progetto l’abbiamo realizzato insieme alla Rubner, che l’ha montato nel giro di due settimane: il prezzo è più alto, ma le tempistiche del cantiere sono estremamente vantaggiose.
Qual è una vostra realizzazione che vi ha particolarmente entusiasmato?
Sicuramente l’albergo «Zallinger» sull’Alpe di Siusi. È stato uno dei progetti più duri, perché abbiamo realizzato 24 camere, sauna, cucina e ristorante a 2.000 metri di altezza. Ci abbiamo messo tre anni per far approvare il progetto, per poi realizzarlo in sei mesi. Si tratta di una costruzione in legno in un posto meraviglioso. Il progetto è molto particolare perché porta il concetto di sostenibilità a un livello successivo: abbiamo infatti ragionato insieme al cliente su come riuscire a non costruire un parcheggio a quella quota. La zona è Unesco World Eritage, un parco naturale, per cui esistono tutta una serie di circostanze che prevedrebbero di non costruire affatto, ma lì c’era già un albergo, dove le macchine parcheggiavano d’estate. Abbiamo subito pensato che all’interno di questo parco naturale non ci sarebbero dovute essere automobili, e il cliente era d’accordo: siamo quindi andati al Comune, abbiamo parlato con il sindaco e ci siamo impegnati a costruire insieme un garage a 3 chilometri e mezzo di distanza dall’albergo, dove gli ospiti possono arrivare e da lì essere trasportati con degli shuttle fino alla struttura. Inoltre, la classificazione delle stelle obbliga a realizzare una camera di minimo 30 metri quadri per un 4 stelle, ma sia a noi sia al nostro cliente non importava: ci siamo accontentati di 3 stelle e abbiamo costruito delle camere di 21 metri quadri andando comunque a chiedere un prezzo proporzionato alla struttura. In questo modo abbiamo evitato di costruire circa 40 metri cubi di volume in più per camera. Meno costruzione, meno impatto sul territorio. Infine, l’albergo è certificato KlimaHotel: non ci sono emanazioni di radon o di formaldeide e abbiamo cercato di ridurre l’inquinamento luminoso al minimo. Non ci sono infatti illuminazioni esterne in tutta l’area, ma gli ospiti per raggiungere le camere utilizzano torce caricate con chiavette usb nell’edificio principale. Sono fiero di questo progetto per il fatto che siamo riusciti a coinvolgere una serie di istituzioni per realizzare qualcosa di unico.
Secondo lei come sarà l’albergo del futuro?
Il turismo del futuro deve confrontarsi con una serie di tematiche importanti per la sostenibilità, come il trasporto. Cioè: in che modo un ospite arriva in albergo e da lì come si muove? Inoltre, il turismo del futuro si dovrà confrontare con la storia del luogo. Immagino che gli ospiti non siano più quelli degli anni Novanta, che si chiudono all’interno di un resort e non vogliono uscire, ma desiderano conoscere il territorio, il cibo, le tradizioni. Vogliono essere coinvolti all’interno della cultura del luogo dove sono in vacanza, e vogliono scoprire qualcosa in più anche rispetto alla storia dell’albergo stesso.