A Milano l’acqua torna a far parte di una città che rinnova la sua immagine negli spazi pubblici, apportando principi e condizionamenti per introdurre un modo diverso di abitare e riconsiderare il tempo di percorrenza delle distanze grazie a piste ciclabili e alla navigabilità urbana per migliorare la qualità ambientale. Questo è l’obiettivo del progetto di riapertura dei Navigli milanesi, che rimane nei programmi dell’amministrazione di Palazzo Marino, anche se ha ricevuto uno stop dalla Regione Lombardia. Il consiglio regionale ha, infatti, bocciato un emendamento al bilancio che stanziava 50 milioni di euro per il triennio 2019/2021. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, dice comunque di voler andare avanti, ma il sogno di andare in battello verso il Duomo è ora più difficile.
Dalla chiusura dei Navigli, iniziata nel 1929, quando il mito della velocità rappresentava l’idea del Futuro, siamo arrivati ai giorni nostri: “Milano città d’acqua” è la proposta coordinata da Antonello Boatti ed elaborata tra il 2013 e il 2015 per un importante progetto pubblico di trasformazione urbana che affronta il tema dell’acqua come una sorta di ritorno alle origini, individuando nel tempo lento la nuova chiave per la fruizione degli spazi urbani e della loro percezione. La velocità si sposta sui binari della linea metropolitana M4 e in superficie arriva l’immagine di una Milano con i battelli che percorrono i Navigli carichi di visitatori e milanesi che guardano le bellezze monumentali della città.
La proposta definisce un ritrovato punto di vista dall’acqua che sposta le condizioni di percezione dello spazio urbano e delle sue architetture. Questo è possibile non solo perché si crea quella misura di distanza utile e necessaria ad una visione oggi inedita e altrimenti impossibile, che non può appartenere al passo veloce e distratto del pedone che attraversa la circonvallazione e neppure all’automobilista in coda alla quota dell’asfalto, ma anche perché si propone una misura del tempo della percorrenza urbana che concede lo spazio e invita lo sguardo all’attenzione per poter vedere, da un altrove, quello che è sempre stato presente. Si scopre una Milano turistica che pur mantenendo il suo carattere severo, che la rende così speciale, non rinuncia ad una certa gioiosa leggerezza, necessaria componente del tempo dello svago e della visita.
I Navigli tra aspettativa e memoria
Non solo il ricordo della sua bellezza, ma anche il suo sviluppo produttivo legano Milano all’acqua: dalle marcite al sistema dei canali di irrigazione, dalla immagine della navigazione dei barconi al trasporto dei marmi per la costruzione del Duomo. Per questo la riapertura dei Navigli crea molte aspettative toccando l’immaginario insieme alle radici e alla memoria di Milano. Proprio in questo forte argomento di legittimazione esiste, per l’intero progetto, il rischio di non corrispondere a quell’immagine nostalgica, condizionata dalle immagini da cartolina di una Milano che non ci sarà più.
È cambiata la consistenza edilizia degli edifici intorno, vanno rispettate le accessibilità carrabili e garantita la sicurezza, la soluzione idraulica della navigabilità interna impone in alcuni punti una significativa profondità del livello dell’acqua per mantenere gli attraversamenti a raso esistenti, da cui consegue anche il raddoppio del numero delle conche… Tutto questo comporta una certa congestione in alcune delle sezioni proposte alla verifica della fattibilità del progetto, con una ampiezza del Naviglio molto ridotta rispetto all’originale e con un respiro dello spazio urbano molto più compresso, a cui si associa un’inevitabile riduzione della velocità di navigazione. Del resto non si tratta di una ricostruzione dei Navigli così come erano, per stessa chiara e ribadita dichiarazione dei progettisti che ne hanno proposto e studiato la fattibilità, ma della concretizzazione di un’opportunità per rigenerare l’ambiente urbano, aprire nuove prospettive di sviluppo economico e migliorare la qualità ambientale.
Utopia concreta
La chiara comunicazione del progetto è dunque necessaria perché si possa arrivare a comprendere e condividere le proposte attuali valutando anche costi e benefici di alternative possibili come variazioni o varianti di questa stessa “utopia concreta” (Gabriele Pasqui). Si tratta non solo di poter sostenere pienamente gli obiettivi più generali – navigabilità interna o no, riapertura totale o no, completa connessione territoriale navigabile tra Locarno e Venezia oppure no – e confrontarsi con le relative conseguenze sul disegno e sull’uso degli spazi urbani, ma anche di entrare nel merito delle proposte di soluzione architettonico-spaziale che possono essere di molto diverse anche in relazione alla possibilità di forzare ulteriormente le limitazioni al traffico e le garanzie di accessibilità. E tutto questo può avvenire solo attraverso la partecipazione e l’ascolto, anche delle critiche, come è richiesto dagli stessi sostenitori di questo progetto dal forte carattere collettivo e interdisciplinare.
Un progetto immaginato e studiato da circa 20 anni con appassionato entusiasmo da Antonello Boatti con Marco Prusicki, entrambi del Dipartimento DASTU del Politecnico di Milano, insieme a molti professionisti, istituti di ricerca e associazioni, che oggi è diventato anche impegno politico per il sindaco Giuseppe Sala, che ne è convinto sostenitore. In attesa degli esiti di un prossimo referendum cittadino, va sottolineato che la sola apertura del Naviglio della Martesana su Via Melchiorre Gioia “arrivando possibilmente sino a San Marco” costituirebbe, come sostiene Stefano Boeri, un intervento di dirompente impatto positivo sulla struttura morfologica dello spazio pubblico della città, soprattutto nelle sue parti meno di valore e più degradate.
La prospettiva del sogno
Certo è che una realizzazione parziale del progetto di riapertura dei Navigli ne mortificherebbe il coraggio, l’ambizione e il sogno, ma continuerebbe a portare grandi vantaggi ambientali. Potrebbe essere comunque realizzato un complessivo riordino idraulico ovvero la separazione delle acque del Seveso dalla Martesana in due condotti di adeguate dimensioni, con il conseguente miglioramento della qualità dell’acqua e con l’effetto di un contenimento del rischio di esondazioni urbane del Seveso, per quanto sostanzialmente risolvibili solo con la costruzione di appropriate vasche di laminazione. Verrebbe comunque indotta una inevitabile e strutturale riduzione del traffico veicolare interno alla città e si darebbe vita a nuovi microclimi urbani a favore di una migliore fruizione dello spazio pubblico.
Si avrebbe inoltre, per la configurazione ed estensione geografica dell’intervento, anche se la realizzazione fosse asimmetrica o non totale, un’importante occasione per trasformare un’opera che insiste principalmente sul centro, ma non solo, in una sorta di manifesto di equità del trattamento dello spazio pubblico, promettendo dettagli, completezza e finiture che percorrono tutto il corso del Naviglio, in centro come in periferia. La continuità lineare dell’immagine dello spazio pubblico potrebbe costituire una sorta di messaggio subliminale materializzato nel concreto dei dettagli costruttivi e dei materiali utilizzati e generare così, come conseguenza, una “naturale” consuetudine a praticare una uguale attenzione nel trattamento dei luoghi urbani a prescindere dalla loro maggiore o minore distanza dal Duomo.
(Monica Manfredi)