Milano. Due o tre cose che so di lei, ciò che ho visto e ciò che vedo.
Non lasciatevi trarre in inganno dal titolo dal sapore scanzonato, il libro – scritto dall’architetto urbanista Alberto Secchi – non è una simpatica fotografia in parole di Milano. Piuttosto è un ritratto severo, a tratti impietoso, di come la città sia cambiata nel tempo. Segnando in alcune aree, naturalmente secondo Secchi, una vera e propria involuzione che ha snaturato quartieri e angoli tradizionali.
Mi sono laureato in architettura nel 1959 e mi sono sposato. Con Amelia, che era prossima alla laurea, lavoravo in casa, nella nostra casa presa in affitto, facendo disegni, prospettive, modelli in balsa di architetture disegnate da altri.
Un libro denso di passione per la città
Inizia così il racconto che, poche righe dopo, diventa un’attestazione di passione per l’urbanistica che a Secchi pareva consentisse un rapporto più diretto e utile con i problemi delle persone e che fosse in grado di confermare il mio interesse per un’azione concreta, anche politica.
Nel confronto fra la Milano di allora e quella odierna, l’autore sente tradita la vocazione sociale dell’urbanistica. La qualità è stata sacrificata sull’altare della quantità e anche gli interventi delle archistar che hanno modificato lo skyline milanese diventano meri esercizi di stile. Pose che non offrono chance al tessuto sociale, mortificato e annullato; non lasciano spazio al verde, considerato un semplice contorno stitico e poco fruibile.
Uno sviluppo senza progettualità
Nella Milano moderna Secchi vede il fallimento delle basi politiche e sociali sulle quali poggiava il Prg del 1980 di cui fu uno degli estensori. La città dalle maniche arrotolare simbolo del lavoro indefesso stava lasciando spazio alla Milano da bere. Una trasformazione che era difficile da comprendere e da interpretare attraverso la crescita urbanistica. Una trasformazione che richiedeva attenzione assidua per mantenere un equilibrio sano fra sviluppo e relazioni sociali, fra costruzione e ambiente, fra necessità moderne e cultura da preservare.
Allo sguardo del tecnico, nelle pieghe del libro, si alterna quello del cittadino innamorato della propria terra. Innamorato, non infatuato, e quindi lucido nelle proprie valutazioni. Un cittadino deluso dal una politica che ha consegnato le chiavi urbaniste di Milano ai tecnici, svuotando l’azione di stesura dei piani di sviluppo di quella componente fondamentale: l’anima.
Abitanti anzichè cittadini
Gli abitanti di Milano – si legge – coinvolti in una frenetica vita competitiva, non conoscono più la loro città. Della città in cui vivono, che si trasforma continuamente, non più una vera conoscenza: percorrono in auto rapidamente il tragitto per andare nel luogo di lavoro e dei quotidiani acquisti in struttura in cui, con una ricerca frettolosa, si trova tutto quello che serve. Io che vivo nella parte ovest della città non so più cosa succede ad est.
In discussione c’è la vivibilità di Milano, intesa nella sua accezione umanamente più profonda, ma anche la concezione che tanti milanesi ormai hanno della loro città. Luogo di scambi puramente economici e finanziari, luogo di lavoro, luogo di studio, luogo di soggiorno: non luogo di vita.
È la fine della capitale economica d’Italia?
Secchi chiude il suo libro con una nota positiva e un auspicio. Ammette che in fondo a Milano non va tutto male, elenca molte note positive che meritano di essere sottolineate: la pulizia delle strade, l’illuminazione, i trasporti, la cura del verde e dei beni pubblici… Poi lancia la sfida che non è tecnica, ma rappresenta la strada da intraprendere per ridare a Milano un volto umano.
Un impegno corale
I problemi creati da questo sistema economico non sono solo quelli delle disuguaglianze sempre più estreme e diffuse, che ci sollecitano solo ad incrementare il nostro reddito per risolvere individualmente problemi materiali sempre più urgenti, ma hanno molte altre facce, riguardano profondamente la nostra capacità di vedere, di pensare, di capire in definitiva impoveriscono la nostra cultura, quella cultura che ci rende diversi l’uno dall’altro, ma che ci da anche la capacità di capire non solo il problema che ci sta davanti agli occhi ma l’intero spettro dei problemi che coinvolge tutti e ci indica che occorre mettere insieme le forze per reagire a una sudditanza umiliante.
Tornare ad essere cittadini, nel profondo dell’anima, innamorati della città, cooperanti per una sua crescita che non lasci alcuno dietro sé, inclusivi e pronti a mettere in comune quelle peculiarità che – come in un puzzle – consento di compiere l’opera solo unendosi.
Il libro pubblicato da Planum Publisher Milano è disponibile online gratuitamente.
Recensione di Donina Zanoli