La protezione dall’acqua è una delle sfide più impegnative che si deve affrontare quando si costruisce un manufatto edilizio. Che si parli di un’abitazione, di un negozio, di un luogo di lavoro oppure semplicemente di un deposito, preservare lo spazio interno dalla presenza di acqua o più in generale dall’umidità è fondamentale per creare le condizioni necessarie a renderlo idoneo alla propria destinazione d’uso.
Quando si parla di spazi esterni, la situazione diviene ancora più complessa, in quanto non ci si deve concentrare tanto sul “tenere l’acqua fuori”, bensì sulla capacità di conservare il bene realizzato nel tempo quando lo stesso è inevitabilmente a contatto in maniera continuativa con l’acqua.
È il caso, per esempio, delle pavimentazioni esterne: rappresentano uno dei punti più delicati dal punto di vista costruttivo in quanto elementi di finitura (talvolta anche di grande pregio) soggetti a un livello di utilizzo intensivo e nel contempo perennemente esposti all’azione degli agenti atmosferici.
Acqua battente, cicli di gelo e disgelo, irraggiamento solare diretto sono fattori potenzialmente distruttivi su qualsiasi manufatto, soprattutto se prolungati nel tempo.
È necessario, pertanto, agire con grande scrupolosità per preservare l’integrità di quanto realizzato e non rischiare di compromettere rapidamente il proprio lavoro. Quando parliamo di pavimentazioni esterne è necessario, innanzitutto, effettuare una prima classificazione tipologica suddividendole in due macrocategorie:
Pavimentazioni continue: cioè caratterizzate da una superficie di calpestio omogenea
Pavimentazioni discontinue: cioè caratterizzate da una superficie di calpestio non omogenea, nella maggior parte dei casi modulare. Le pavimentazioni discontinue poi, si diversificano in funzione della modalità di posa: a secco o incollate.
Pavimentazioni continue
Le pavimentazioni continue sono caratterizzate generalmente dall’applicazione di un materiale fluido in un determinato spessore, che a volte può costituire nello stesso tempo sia la struttura sia la finitura della pavimentazione stessa. È il caso delle pavimentazioni stradali che possono essere realizzate con getti di calcestruzzo armato o in conglomerato bituminoso (asfalto) senza soluzione di continuità.
In queste situazioni il tema delle impermeabilizzazioni passa in secondo piano: nelle pavimentazioni in calcestruzzo il tutto è costituito da un unico materiale monolitico, con un grado di finitura basso, che non necessità di particolari protezioni per aumentarne la durabilità del tempo e, soprattutto, non porta con sé il rischio di fenomeni di distacco superficiale del supporto superficiale, in quanto non presente.
Nel caso delle pavimentazioni in conglomerato bituminoso, l’obbligo di protezione dall’acqua viene meno, in quanto la stessa pavimentazione ha spesso proprietà drenanti: la stratigrafia con la quale è costituita prevede la presenza di elementi che lascano filtrare l’acqua piovana attraverso la pavimentazione stessa in maniera uniforme, fino a che la stessa si disperda nel terreno sottostante.
L’adesione tra lo strato di finitura superficiale e la sottofondazione (toutvenant) è garantita da specifici primer particolarmente resistenti all’umidità. Laddove la pavimentazione fosse concepita con un conglomerato solo parzialmente drenante, le acque vengono generalmente convogliate ai lati della strada in apposite reti fognarie di raccolta.
All’interno delle pavimentazioni continue ritroviamo anche alcune derivazioni molto specialistiche, quali le pavimentazioni ad uso sportivo e le antitrauma (utilizzate soprattutto nelle aree giochi con presenza di bambini).
Si tratta di soluzioni che riprendono sempre il concetto di applicazione di materiali fluidi in getto con proprietà drenanti, proprio per ridurre al massimo i rischi di distacco in presenza di acqua. In questo caso, inoltre, il drenaggio ha anche una funzione essenziale per la fruibilità della pavimentazione stessa.
Pavimentazioni discontinue
Le pavimentazioni discontinue sono invece quelle che presentano le maggiori criticità in termini di durabilità nel tempo: il concetto stesso di discontinuità materiale, infatti, apre potenzialmente le porte al rischio di infiltrazioni. Da sempre i punti di contatto tra materiali diversi necessitano di una particolare cura e verifica della compatibilità tra gli stessi, ciò avviene in maniera particolare quando si lavora in ambienti esterni, laddove gli agenti atmosferici sono maggiormente aggressivi.
La modalità di posa a secco è quella che scavalca il problema in maniera netta, in quanto non prevede uno strato di adesione diretta tra l’elemento di finitura e il sottofondo. In questo modo, l’acqua è libera di scorrere e/o filtrare attraverso la pavimentazione, senza arrecare danno. Un tipico esempio sono le pavimentazioni in masselli autobloccanti cementizi che vengono generalmente utilizzate per cortili, strade o piazzali (vedi Dettaglio 3).
Laddove però si desideri raggiungere un risultato estetico maggiormente appagante, soprattutto per spazi pedonali, terrazze, lastrici solari allora è necessario ricorrere a delle soluzioni differenti, molto più assimilabili a quanto si utilizza per gli interni. Si tratta cioè di applicare elementi modulari (piastrelle) di varie dimensioni su un supporto adeguatamente planare e con le idonee pendenze per il convogliamento delle acque piovane.
Se dal lato estetico la tipologia di materiale scelta segue le attuali tendenze di mercato in cui è il gres porcellanato a farla da padrone, dal punto di vista funzionale ed esecutivo sono fondamentalmente due le modalità di posa utilizzabili: flottante o mediante collanti.
Flottanti
Le flottanti sono quelle pavimentazioni discontinue in cui la posa della piastrella avviene a secco in sopraelevazione rispetto al sottofondo, mediante appositi piedini regolabili. Il piano di scorrimento dell’acqua piovana, pertanto, non è la piastrella stessa bensì al di sotto di essa, in quanto l’acqua penetra attraverso le fughe delle piastrelle stesse che non sono stuccate bensì distanziate.
L’impermeabilizzazione, pertanto, è posizionata sul sottofondo e non è prevista un’adesione diretta tra lo stesso e la piastrella. Con le ì pavimentazioni flottanti gli interventi di manutenzione sono molto semplici in quanto eventuali cause di infiltrazioni possono essere verificate in maniera rapida, mediante la semplice rimozione del pavimento, che avviene senza rischio di intaccare l’integrità delle guaine.
Allo stesso modo, una periodica pulizia dell’intercapedine presente tra pavimento e strato di protezione dall’acqua è vivamente consigliata, in quanto lo spazio tra le fughe consente il passaggio di sporcizia che a lungo andare potrebbe influire negativamente sul normale deflusso delle acque.
Le pavimentazioni flottanti sono utilizzate anche in ambienti interni, laddove è richiesta flessibilità nelle partizioni interne (per esempio: uffici, spazi commerciali): l’intercapedine presente sotto piastrella infatti può essere sfruttata in questi casi per il passaggio di linee impiantistiche di varia natura.
Posa incollata
Per ottenere un risultato estetico più raffinato è necessario ricorrere alla posa incollata: la piastrella cioè viene fatta aderire direttamente sul sottofondo mediante appositi collanti cementizi e le fughe stuccate in maniera completa, in modo da creare un piano di calpestio e di scorrimento delle acque piovane omogeneo.
Le pavimentazioni discontinue incollate sono le più delicate se applicate in spazi esterni, in quanto il rischio di rapido deterioramento è molto concreto se non si presta la necessaria cura a livello esecutivo. Il fenomeno di degrado più evidente è il distacco delle piastrelle, quello che spesso non è noto è che il punto critico nella maggior parte dei casi non è la piastrella in sé, realizzata con materiali molto resistenti (per esempio: gres porcellanato) ma le fughe presenti tra di esse: anche se adeguatamente sigillate con materiale apposito, esse non garantiscono mai completa impermeabilità.
Il risultato è che, anche se in maniera non visibile dall’esterno, l’acqua penetra andando a bagnare il sottofondo cementizio su cui le piastrelle sono state posate, non riuscendo poi ad evaporare rapidamente e qui ristagnando. Un sottofondo bagnato è la principale causa di degrado di una pavimentazione esterna incollata: i cicli di gelo e disgelo nella stagione invernale determinano una variazione di volume dell’acqua presente nel sottofondo, con un conseguente decadimento della sua consistenza ed una progressiva disgregazione.
L’aspetto da curare sempre, quindi, la realizzazione di un’impermeabilizzazione tra piastrella e sottofondo, che ha lo scopo principale proprio di proteggere quest’ultimo e di mantenerlo asciutto. È rappresentato un ipotetico camminamento esterno, poggiante su terreno.
È rappresentato anche un elemento aggettante (balcone, loggia, lastrico solare): tecnicamente in questo caso la stratigrafia presenta una doppia impermeabilizzazione. La prima in materiale bituminoso applicato a caldo (o in teli di pvc termosaldati) che è a protezione diretta del solaio, la seconda sotto piastrella.
Come per tutte le impermeabilizzazioni, la regola fondamentale in fase applicativa è di prevedere un adeguato risvolto sulle pareti perimetrali, in particolar modo laddove sono presenti delle soglie d’ingresso verso ambienti interni: lì è dove risiede il maggior rischio di possibili infiltrazioni di acqua.
Il resto lo fa una corretta pendenza (minimo 1%) per il deflusso delle acque meteoriche ed un adeguato numero di scarichi in funzione della superficie di pavimentazione interessata (minimo n. 1 scarico diam. 100 mm per ogni 80 mq).
di Matteo Cazzaniga