Il piano casa sembra un puzzle da risolvere

In Italia mancano case. Nonostante l’indice demografico segni lo zero pneumatico, specialmente i giovani hanno difficoltà ad acquistare o affittare un’abitazione. Senza contare la pressione che arriva dal flusso migratorio.

Solo il 50% delle famiglie under 40 può comprare casa perché il loro reddito medio è pari solo al 67% di quello della media nazionale, secondo l’Istat. La soluzione, insomma, sarebbe realizzare tante nuove abitazioni a prezzi accessibili, ma anche poter suddividere facilmente quelle grandi e recuperare le inagibili: si chiama piano casa.

Il deficit

Le cause di questa situazione sono diverse. La principale riguarda il costo degli immobili rispetto al reddito. Per comprare casa a Milano ci vogliono 50,3 anni, secondo il calcolo iperbolico di Ener2Crowd.com, piattaforma e app italiana di lending crowdfunding ambientale ed energetico.

Secondo questo calcolo, anche le altre città italiane non sono messe meglio, anzi, c’è chi sta peggio come Lucca (51,3 anni) o Savona (55,6 anni), fino a Bolzano (63,1 anni). Per la verità bisogna aggiungere che altre analisi riducono di molto questa proporzione, anche di dieci volte.

Secondo una ricerca di Tecnocasa, per esempio, in Italia mediamente nel secondo semestre del 2021 per comprare una casa nelle grandi città servivano in media 6,9 annualità di stipendio, ma a Milano si saliva a 12,8 anni. E non si parla di abitazioni di lusso. Certo, Tecnocasa fa intermediazione immobiliare e non ha interesse a esasperare il concetto.

In ogni caso, basta l’esperienza individuale per mettere a fuoco il problema, che riguarda soprattutto le grandi città. Un altro aspetto della crisi abitativa è quello della scarsa o nulla disponibilità di abitazioni in affitto, sempre nei grandi centri: un deficit esasperato dal fenomeno Airbnb, con gli affitti brevi per i turisti (ma non solo). Il rischio, per le città più gettonate, è quello di trasformarsi in parco giochi mordi e fuggi.

Rimodulare

Una delle soluzioni, accanto alla costruzione ex novo di edifici, che però deve fare i conti con i valori di mercato, è la riqualificazione dell’esistente, che prevede anche la rimodulazione degli spazi per suddividere o ampliare gli immobili già presenti sul territorio. Insomma, il piano casa che periodicamente si ripropone sui banchi del Parlamento.

Nel passato, in realtà, dietro la definizione di piano casa, con lo slogan di «pace edilizia» è passata anche una più o meno larga sanatoria per gli abusi. Con risultati discutibili non solo per il paesaggio, ma anche per la sicurezza, come testimoniano casi come la frana che tempo fa ha travolto Ischia.

In ogni caso, di una nuova iniziativa di governo per fronteggiare l’emergenza abitativa se ne è iniziato a parlare nell’ottobre scorso: «Per un nuovo piano casa, da amministratore pubblico, ho il dovere di trovare il denaro per sistemare e riutilizzare ciò di cui ho disponibilità, prima di pensare a nuove edificazioni», ha scandito il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini, in occasione del 58esimo Congresso nazionale del Notariato. Una solenne promessa, insomma.

Questione di gusti

Se l’esigenza di un piano casa è sentita un po’ da tutti, gli accenti sono diversi. Per trovare la quadra il ministero delle Infrastrutture ha programmato una serie di incontri con professionisti e associazioni per studiare i termini di una nuova iniziativa.

E l’imminenza delle elezioni europee potrebbe essere un incentivo, dal punto di vista della politica, di dare seguito alle parole con un provvedimento che tocca anche l’interesse concreto dei proprietari di immobili. Anche se alle parole della politica non sempre seguono leggi e decreti attuativi. Per il momento, insomma, di concreto sul tavolo ci sono le proposte delle diverse organizzazioni.

In ordine sparso

Confabitare, per esempio, una delle associazioni che rappresenta i proprietari di immobili, ha partecipato a metà gennaio a una delle riunioni programmate al Mit, si è lamentata per l’assenza di un gruppo di lavoro focalizzato sull’edilizia residenziale privata.

Il tema, in questo caso, è quello del caro-affitti: Confabitare chiede tutele per i proprietari che possano incoraggiare le locazioni tradizionali, rallentando così la corsa alle locazioni brevi, non solo quelle turistiche.

Un’altra associazione, l’Uppi, che rappresenta la piccola proprietà immobiliare e ha migliaia di iscritti in tutta Italia, si è invece presentata con un piano casa scritto nero su bianco: proposte presentate dal presidente nazionale Fabio Pucci.

Vale la pena di entrare nel dettaglio delle richieste, perché toccano molti dei punti caldi del problema-casa. Il primo aspetto, che parte dalla considerazione che esistono migliaia di appartamenti lasciati vuoti dai proprietari, riguarda il recupero di questi immobili attraverso un meccanismo di incentivo fiscale. L’obiettivo è  rimettere sul mercato queste abitazioni.

Come? Con aiuti dello Stato da destinare alla ristrutturazione di appartamenti inagibili: in cambio, il proprietario avrebbe l’obbligo di affittare gli immobili a chi è in difficoltà economica con canoni di locazione quasi azzerati, almeno per un certo periodo.

Al contempo, però, l’Uppi chiede l’applicazione della cedolare secca in tutti i Comuni italiani e a procedure di sfratto semplici, e soprattutto efficaci, affiancando gli ufficiali giudiziari non solo dalla forza pubblica, ma anche dalla polizia privata.

Non è chiaro, però, quanto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti possa essere sensibile alla parola incentivi, che ricorda i lisergici superbonus, secondo la definizione della premier Giorgia Meloni.

Chiamalo, se vuoi, condono

Sempre l’Uppi, inoltre, chiede che il futuro piano casa coinvolga la revisione del Testo unico dell’edilizia (alias dpr 6 giugno 2001, n. 380). Secondo l’associazione, il Testo unico non consente di eseguire i lavori di riqualificazione, compresi quelli di isolamento termico per usufruire dei benefici fiscali. Come mai?

Perché per ottenere i bonus le case devono risultare in regola con la normativa. E molte non lo sono. Per esempio, a causa del maggior spessore dei solai dovuti alle regole costruttive del Testo unico, con il risultato di una maggiore altezza del fabbricato, oppure la realizzazione di balconi non previsti nel progetto inziale o, ancora, lo spostamento delle finestre nei prospetti: interventi che potrebbero essere avvenuti nel momento stesso della costruzione dell’edificio ma che, nei fatti, rappresentano abusi edilizi.

Insomma, il piano casa dovrebbe comprendere una sanatoria degli abusi per le difformità compiute in corso d’opera (anche se è difficile stabilire il momento in cui l’abuso è stato effettivamente commesso), e poi asseverate con certificati di abitabilità rilasciati dai Comuni, con certificati che per prassi sostituivano la presentazione di un progetto a consuntivo. Senza contare che questi immobili potrebbero essere successivamente passati di mano.

Per queste ragioni l’Uppi chiede di mettere una pietra sopra a tutte le irregolarità di questo tipo. Più che piano casa, sembra quasi uno scurdammoce o’ passato. La sanatoria, sempre secondo l’associazione, dovrebbe comunque coinvolgere edifici con abusi di maggiore cubatura in zone urbane non di pregio, ma con l’esclusione di quelli costruiti in zone non edificabili o con vincoli ambientali. Lasciando presumibilmente fuori i casi come quello citato di Ischia, insomma.

Sburocratizzazione

Anche Fimaa-Confcommercio ha portato le sue richieste al tavolo del ministero. In sintesi, la Federazione Italiana Mediatori e Agenti d’Affari chiede di agevolare la riconversione e i cambi di destinazione d’uso degli immobili esistenti, di razionalizzare il comparto edilizio (qualsiasi cosa questo voglia dire) per migliorare la vita delle persone con alloggi accessibili e adeguati, di semplificare delle politiche urbanistiche e adottare la cedolare secca per la locazione degli immobili commerciali, in chiave di semplificazione fiscale.

Richieste che, peraltro, sono simili a quelle di Fiap (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali). Queste sono, insomma, le richieste delle categorie (tranne, purtroppo, quelle dei diretti interessati, cioè le persone che cercano casa).

Le proposte del ministro

Ma che cosa propone il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti? In attesa del decreto o proposta di legge che introduca il piano casa, lo ha spiegato Salvini. Il primo punto riguarda un’analisi per determinare piani d’azione focalizzati su programmi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia sociale. Un altro focus è posto su riordino e semplificazione delle procedure per valorizzare e recuperare immobili pubblici dismessi, che potrebbero essere convertiti a edilizia sociale: un obiettivo che, peraltro, è riproposto da qualche anno un po’ da tutti i governi.

Ancora: il piano casa dovrà tenere conto delle linee guida per evitare i colli di bottiglia che puntualmente si verificano a livello locale, anche per la frammentazione degli enti regionali che si occupano di edilizia residenziale pubblica. Ultimo aspetto è il ruolo degli enti previdenziali e delle cooperative edilizie, che dovrebbero promuovere un rilancio dei programmi abitativi.

Il primo passo di questa riflessione dovrebbe essere costituito da progetti pilota non ancora identificati, che però sono già previsti dalla legge di Bilancio 2024 con una dotazione di 100 milioni. Per trasformare le buone intenzioni in progetti concreti sarebbero previste anche semplificazioni normative. Per ora è tutto qui.

Il puzzle

Il piano casa, insomma, è un’esigenza concreta, avvertita dalle categorie oltre che, occorre ricordarlo, dagli utenti, ma la soluzione è vista da angoli diversi. In attesa del governo, però, arrivano i piani casa locali, di città o regioni. Il Consiglio regionale della Puglia, per esempio, ha approvato (incredibilmente all’unanimità) un piano per il recupero del patrimonio edilizio esistente, la riqualificazione energetica di edifici vetusti e la riduzione del consumo di suolo.

Sulla carta, insomma, è un vero piano casa, che concede maggiore libertà di realizzazione per i cittadini e minore inquinamento per gli immobili anche produttivi. Va aggiunto che il provvedimento mette una pezza sul vecchio piano casa della regione, prorogato per tutti gli anni a partire dal 2009, e che la Corte Costituzionale ha sonoramente bocciato.

In ogni caso, il nuovo piano prevede la suddivisione in zone del territorio, per alcune delle quali è incentivata la ristrutturazione con bonus che consistono in aumenti di volumetria. In alcune zone l’incremento è fissato fino al 20% entro il limite di 300 metri cubi, mentre in altre è fino a 200 metri cubi.

Rimane, però, il divieto del cambio di destinazione d’uso: i lavori possono interessare solo edifici già residenziali, anche se sono previsti interventi anche nelle zone contrassegnate come artigianali e per servizi collettivi, come le scuole, a patto che facciano parte del tessuto urbano.

Ma se si vuole demolire e ricostruire, le volumetrie possono essere incrementate fino al 35% (con limite di 200 metri cubi nelle zone rurali). I costruttori l’hanno presa bene: «Sta prendendo forma un sistema normativo strutturato che va incontro ad alcune nostre richieste: il recupero del patrimonio edilizio esistente, la riqualificazione energetica di edifici ormai vetusti e la riduzione del consumo di suolo, dunque con un approccio più green alla costruzione e alla pianificazione urbanistica», ha commentato il presidente di Ance Puglia, Gerardo Biancofiore.

«In  più, viene restituito ai Comuni il potere di pianificazione del territorio, sia pure in una forma semplificata. Auspichiamo che la Regione continui l’iter verso una legge urbanistica organica che conduca a quella stabilità e certezza normativa che chiediamo da tempo».

Recupero lombardo

La Lombardia, invece, ha dato il via libera al Piano regionale dei servizi abitativi 2022-2024. Il documento parte dalla considerazione che in Lombardia il numero medio di componenti nel nucleo familiare si assottiglierà sempre di più.

Oggi circa il 30% delle famiglie residenti nella regione sono composte da una coppia con figli, ma nel giro di un decennio la Regione prevede che la percentuale possa calare fino al 26,9% e fino al 23,5% nel 2040. Si osserverà, al contrario, un aumento di coppie senza figli e soprattutto di persone sole.

L’azione della Regione si è concentrata finora nel recupero di alcune aree. Per esempio, con il programma di rigenerazione urbana per il quartiere Lorenteggio, a Milano, assieme al Comune di Milano e Aler (edilizia pubblica), che interessa circa 2.600 alloggi e dove l’avanzato degrado del patrimonio pubblico, sia abitativo sia dei servizi collettivi si associa a condizioni di povertà, disagio sociale e presenza di microcriminalità.

Gli interventi riguardano la riqualificazione attraverso demolizione e ricostruzione di edifici, la riqualificazione della rete di illuminazione pubblica e l’installazione di servizi smart, l’ecoefficientamento della scuola dell’infanzia a servizio del quartiere, l’avvio di circa 24 imprese sociali, corsi di formazione, con un investimento di 112 milioni di euro. Si tratta però, come in altri casi, di riqualificazione del patrimonio pubblico degradato, più che un piano casa che coinvolga i singoli proprietari.

Conlusione

La Puglia e la Lombardia non sono le uniche realtà a muoversi. Più in piccolo, anche i Comuni cercano di mettere una pezza alla fame di case. Il Comune di Venezia, per esempio, ha previsto un investimento di 28 milioni per riqualificare circa 500 appartamenti sfitti in centro storico, isole e terraferma. Il piano casa appena approvato durerà fino al 2026 e si propone di riqualificare gli alloggi per assegnarli ai nuclei familiari più bisognosi.

Conclusione: mentre a livello politico nazionale il piano casa incontra e si scontra con esigenze diverse, comprese quelle contradditorie di sanatoria degli abusi, in attesa di un provvedimento di carattere nazionale le iniziative più concrete al momento sono i piani casa locali, limitati però dalle disponibilità di bilancio, oltre che dalle normative dello Stato.

Un puzzle che, senza un piano casa su tutto il territorio, rischia di complicare la vita di imprese di costruzione e progettisti, alle prese con un labirinto di regole e opportunità diverse in pochi chilometri di distanza. Più che piano casa, per ora è più simile a un piano caos.

Tavolo-Piano-Casa
Tavolo Piano Casa

E gli ingegneri presentano il loro piano

Primo: quantificare la platea di soggetti e nuclei familiari potenziali destinatari di alloggi in social housing.

Secondo: individuare le aree e gli edifici pubblici inutilizzati da riconvertire in abitazioni a prezzo calmierato.

Terzo: definire le modalità di intervento e i costi relativi alla ristrutturazione degli edifici di edilizia residenziale pubblica più vetusti.

Con la precisione che contraddistingue la categoria, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha elencato al ministro ai trasporti e infrastrutture Matteo Salvini le proposte per trasformare il Piano Casa da slogan a realtà.

Per bocca di Irene Sassetti, consigliera con delega all’urbanistica, alla rigenerazione urbana e alla disciplina dell’edilizia dell’organismo professionale, gli ingegneri hanno spiegato che è il momento di ridefinire le norme in materia ed elaborare un piano di medio-lungo periodo. Senza dimenticare che il governo deve anche affrontare la questione dei finanziamenti per incentivare forme di finanziamento pubblico privato.

A supportare le richieste del Consiglio Nazionale, gli Ingegneri hanno portato solidi numeri: la domanda inevasa è di almeno 650 mila alloggi, che corrispondono al fabbisogno di almeno 1 milione di persone.

E negli ultimi otto anni i permessi di costruire legati ad edilizia residenziale pubblica si sono tenuti su livelli piuttosto contenuti, con una media annua di 200 mila metri cubi autorizzati per nuove costruzioni e 153 mila metri cubi all’anno per interventi di ampliamento.

ùE questo mentre il patrimonio di edilizia pubblica si compone secondo le stime Ocse di poco più di 850 mila alloggi (ma secondo Federcasa 750 mila): strutture che con il tempo si sono spesso trovate a far parte di aree degradate in cui oggi si concentrano circa di 2 milioni persone, nella maggior parte dei casi posti in una condizione di estrema fragilità sociale.

Insomma, è ora di agire. Che è poi l’opinione condivisa di Inarcassa, l’organismo previdenziale di ingegneri e architetti. Secondo il presidente, Andrea De Maio, (nella foto) deve essere sempre effettuata preliminarmente un’analisi di convenienza tecnico economica che giustifichi l’eventuale recupero e/o riconversione degli edifici esistenti rispetto a demolizioni e ricostruzioni in sede.

«In secondo luogo, riteniamo fondamentale istituire l’obbligo del fascicolo digitale del fabbricato, strumento utile per monitorare lo stato di conservazione del patrimonio edilizio, individuando potenziali situazioni di rischio, e programmare nel tempo interventi di ristrutturazione e manutenzione», ha spiegato De Maio al tavolo di confronto sul Piano Casa.

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Andrea De Maio

Quando l’Italia costruì 2 milioni di vani

C’è chi lo ha tirato in balla con un ardito parallelo storico: il piano casa targato Amintore Fanfani è stato quello, nel bene e nel male, che ha ricostruito l’Italia del Dopoguerra.

Più correttamente l’iniziativa era definita come Ina-Casa, perché gestita con i fondi dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Tra il 1949 e il 1963, con la spinta del ministro del Lavoro Fanfani, lo Stato ha attuato un gigantesco piano di edilizia residenziale pubblica in tutto il Paese.

A ricostruire, sebbene con criteri che oggi sarebbero da pelle d’oca, sono stati progetti firmati da grandi architetti, come (per citarne alcuni) Mario Ridolfi, Michele Valori, Giorgio Raineri, Roberto Gabetti, Carlo Aymonino, Franco Albini, lo studio Bbpr, Ignazio Gardella, Figini e Pollini, Ettore Sottsass, accanto a urbanisti, ingegneri, geometri e, ovviamente, alle imprese di costruzione.

Con il Piano Fanfani sono stati costruiti in poco tempo interi quartieri, come il Tiburtino a Roma o il Villaggio San Marco a Mestre. Il bilancio di quell’iniziativa sembra non riproducibile con i criteri odierni: sono state realizzate circa 2.800 unità abitative a settimana. E ogni sette giorni 550 famiglie hanno trovato un alloggio.

Nei primi sette anni sono stati costruiti 735 mila vani, in 147 mila abitazioni. Ma alla fine del piano, dopo 14 anni, i vani realizzati sono saliti a 2 milioni, per 355 mila alloggi, costruiti in 20 mila cantieri.

di Giuseppe Rossi

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