Gli appalti pubblici e privati hanno un minimo comune denominatore: i ritardi e le varianti. Il fattore tempo incide fortemente sulle ragioni del committente, interessato a ottenere l’opera nel rispetto del cronoprogramma che, normalmente, viene redatto in stretta osservanza degli obiettivi economici sottesi alla stipulazione del contratto di appalto; il fattore tempo incide, altresì, sugli interessi dell’appaltatore che, normalmente, vede il riconoscimento del proprio corrispettivo in ragione degli stati di avanzamento lavori e della conclusione dell’opera.
Difficile immaginare e trovare un appaltatore che tragga beneficio da una cantierizzazione più lunga del previsto. Del pari, le varianti sono l’unica cosa certa negli appalti pubblici e privati.
Ebbene sì, il variare rispetto al progetto originario costituisce ormai una certezza. L’ossimoro restituisce una perfetta corrispondenza. Alle patologie genericamente richiamate possono adottarsi diversi rimedi. Uno di questi è l’adozione di un board che risolva, in corso d’opera (e non al termine della stessa o a fronte della sua sospensione), ogni divergenza tra le parti, prima che tale divergenza sfoci in una controversia.
Dispute board
A livello internazionale, questo meccanismo trova il nome di “dispute board” che, nell’86 per cento dei casi, evita che un disaccordo, di natura essenzialmente tecnico-giuridica, possa essere devoluto alla cognizione del giudice ordinario o di un collegio arbitrale e divenire così fonte litigiosa.
La letteratura internazionale e l’ampia esperienza maturata insegnano che il dispute board, affinché funzioni, deve essere costituito al tempo della stipulazione del contratto e deve accompagnare le parti per tutta l’esecuzione dell’opera, facendo così assumere ai membri di tale board una familiarità con il progetto che nessun organo, giudiziario o arbitrale, potrà assumere allorquando sia chiamato ex post a risolvere una disputa ormai aggravatasi nel corso del tempo.
Il dispute board, assumendo la familiarità appena richiamata, è in grado di risolvere prontamente ogni controversia che, come sopra evidenziato, impatti sul normale svolgimento dei lavori causandone un ritardo oppure comporti una variazione, di qualsivoglia natura, sull’oggetto del contratto, con auspicati extra-costi per l’appaltatore e con ragioni di sostenibilità economica del progetto per il committente.
Collegio consultivo tecnico
A livello italiano, il dispute board assume la denominazione di “collegio consultivo tecnico”. Lo stesso è stato introdotto a più riprese dal legislatore italiano nel tentativo di balbettare lo stesso linguaggio ormai diffuso all’estero da diversi decenni. Nello specifico, l’art. 215 comma 1 dlgs. n. 36/2023 dispone che “Per prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell’esecuzione dei contratti, ciascuna parte può chiedere la costituzione di un collegio consultivo tecnico, formato secondo le modalità di cui all’allegato V.2. Per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e di forniture e servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro, la costituzione del collegio è obbligatoria. In sede di prima applicazione del codice, l’allegato V.2 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice”.
Si tratta di una norma che, pur nelle sue claudicanze, si rappresenta rivoluzionaria, in quanto introduce nel tessuto italiano il tema della prevenzione delle liti negli appalti pubblici e, specularmente, ne riconosce, anche se implicitamente, l’ammissibilità in quelli privati.
È una norma che riconosce come i ritardi, le divergenze di natura tecnica, debbano essere risolti il prima possibile per mezzo del collegio tecnico che, in funzione consultiva, esprima pareri sulle questioni emerse in cantiere e possa, addirittura, emettere un lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.
In buona sostanza, è un collegio la cui costituzione, addirittura obbligatoria per alcuni appalti pubblici, dispone di poteri decisori dirompenti nella prassi negoziale dei lavori, vincola le parti rispetto alle statuizioni emesse e si propone di deflazionare il contenzioso ordinario ed arbitrale.