Cina dal rosso al green

di Giacomo Casarin

In principio erat Cinam. Per prima è stata la Cina ad accorgersi del notevole calo delle emissioni di CO2 in questo momento di crisi mondiale, dovuto al coronavirus. Parliamo del primo Paese inquinante al mondo e, allo stesso tempo, di quello che investe la maggior quota del proprio Pil in sostenibilità ambientale.

Ma andiamo con ordine. Per capire le cause di una tale affermazione è necessario fare un passo indietro e ampliare lo sguardo al continente Asia. Se osserviamo la sua struttura demografica, si capisce subito che siamo davanti a un primato mondiale: 4 miliardi e 550 milioni di persone nel 2017 secondo le stime ufficiali delle Nazioni Unite, che prevedono una continua crescita fino al 2050, anno in cui l’Asia potrebbe toccare i 5 miliardi e 257 milioni di persone. Mentre in Europa la popolazione è ferma a 740 milioni ed è destinata a diminuire.

 

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Struttura demografica per continenti, in milioni di persone. Fonte: World Population Prospects: the 2017 revision. © Fondazione Italia Cina – 2019

 

Tra villaggi e megalopoli

In Cina fino a pochi anni fa la maggior parte della popolazione ha abitato nelle campagne. Oggi le persone che abitano nelle zone rurali sono 600 milioni, ovvero il 42% di tutta la Cina, ma nel 1980 erano circa 1 miliardo. Significa che nel battito di ciglia (commisurato alla storia dell’umanità) di 40 anni si è compiuto un esodo straordinario verso le città, che diventano sempre più grandi.

 

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Popolazione urbana e rurale, in milioni di persone, e tasso di urbanizzazione in %. Fonte: CeSIF; Ceic. © Fondazione Italia Cina – 2019

 

La Cina sta correndo velocissimo, sia in termini di movimento di persone sia per quanto riguarda lo spostamento di merci e servizi, anche grazie all’innovazione e alla tecnologia che non si fermano. Le aziende, infatti, pianificano tantissimo in infrastrutture e sistemi logistici: Alibaba (e-commerce), per esempio, prevede nei prossimi tre anni investimenti fino a 10 miliardi di renminbi (1,2 miliardi di euro circa) per mille nuovi centri operativi che dovranno servire 100 mila villaggi. Questo prima del coronavirus, che non ha fatto altro che moltiplicare le richieste di servizi online.

 

Il futuro è urbano

La svolta storica è avvenuta nel 2011, anno in cui la popolazione urbana cinese ha superato quella delle aree rurali. È interessante notare come l’esplosione demografica sia avvenuta nelle campagne, e successivamente le masse si siano spostate nelle zone urbane, fino ad arrivare agli ultimi dati: 831 milioni di persone vivono in città e 564 milioni in campagna.

 

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Il presidente cinese Xi Jinping
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Tasso di urbanizzazione 2017, suddivisione per province. Fonte: CeSIF; Ceic. © Fondazione Italia Cina – 2019

 

Il tasso di urbanizzazione oggi è pari al 58,5%, contro il 16% del 1980. Ogni anno si spostano 16 milioni di persone. Sono numeri che ubriacano, dettati anche da piani strategici, come il cosiddetto Jing-Jin-Ji, un progetto colossale che vuole fondere Pechino con la città di Tianjin e con l’intera regione dell’Hebei, chiamata dai cinesi semplicemente Ji. Sarà questo, forse, il lascito del presidente Xi Jinping: un agglomerato urbano di 130 milioni di persone con un’amministrazione unica, che punta a diventare capitale mondiale.

 

Tempo e spazio

A Shanghai è in corso la riqualificazione dell’ex area industriale West Bund e della Corniche, la promenade sulla riva settentrionale del fiume Huangpu, un’area di 8 chilometri e mezzo. Nel 1920, se dal Bund (viale lungo la riva sinistra del fiume Huangpu, che fronteggia il quartiere degli affari di Pudong), si guardava verso il fiume non si vedeva quasi niente: solo una zona paludosa. E fino al 1990 il panorama della «perla d’oriente» non si è modificato, se non con l’aggiunta di qualche casupola di pescatori. Ma già nel 2000 era cambiato tutto: in soli dieci anni Shanghai è diventata una megalopoli densa di grattacieli.

 

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Città con oltre un milione di abitanti, confronto tra Cina e altre aree del mondo. Fonte: CeSIF; Ceic. © Fondazione Italia Cina – 2019

 

Il tempo è un fattore che in Cina pare non funzionare secondo le stesse regole che conosciamo in Europa. Come evidenzia il caso della metropolitana di Pechino, che nel 2006 aveva solo due linee. E nel 2008 erano già 10. Certo, c’è stata un’Olimpiade di mezzo, ma ogni paragone con la linea Lilla di Milano è da evitare. Per quanto riguarda il fattore spazio, la verticalità è principio identitario e consolidato stile di vita nelle città cinesi di prima e seconda fascia, con l’attivazione di nuovi servizi per favorire i consumi e stimolare nuove abitudini e nuovi stili di vita. Ma lo spazio delle abitazioni rimane contenuto: nel 2003 la metratura media di un appartamento urbano cinese era di 24,2 metri quadri. Un dato tuttavia più che raddoppiato negli ultimi anni, passato a 60 metri quadri nel 2017.

 

Eco(nomica)-sostenibilità

Smog, traffico e inefficienza logistica sono i problemi della Cina di oggi, e Xi Jinping lo ha intuito. Per questo nel gennaio 2017 ha preso le difese del trattato di Parigi e a ottobre dello stesso anno, durante il XIX Congresso del partito comunista cinese, ha utilizzato nel suo discorso la parola «ambiente» 89 volte, contro le 70 della parola «economia».

Una scelta più che legittima, se si pensa che solo l’1% della popolazione urbana cinese respira aria salubre, perché nelle megalopoli le polveri sottili creano un effetto nebbia perenne con valori (pm2,5) 56 volte superiori a quelli considerati critici dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il carbone, infatti, rappresenta ancora il 55% delle energie utilizzate, mentre in Europa, per esempio, si parla del 15%.

 

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Fonti di energia, confronto tra Cina ed Europa. © Fondazione Italia Cina – 2019

 

Ma la Cina non rimane ferma a guardare. Sono già state messe in atto diverse politiche di sostenibilità, come quella che vedrà diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli pubblici, un dato che non conosce paragoni guardando ai termini con cui è cresciuto: si parla di un milione di mezzi elettriciprodotti in un anno (2018).

 

Strategia verde

L’ultima riflessione riguarda il fattore economico, perché la sostenibilità non influisce solo sull’ambiente. Basti pensare che la green economy incide dell’8% sul Pil cinese: un valore che si attesta intorno ai 740 miliardi di euro. Ma il fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in Cina è di 2 mila miliardi, di cui il governo può supportare solo il 15%. Per questo sono ben accetti investimenti dall’estero di player che conoscano le tecnologie adatte a raggiungere obiettivi utili, come trattamento dell’aria, epurazione dell’acqua o smaltimento dei rifiuti solidi urbani. C’è tantissimo da fare. E non è mai troppo tardi per costruire il futuro, vista la velocità con cui si muove la Cina.

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