Trasformare un immobile triste e vuoto in un campus accogliente e creativo. Questa la sfida portata a termine dallo studio milanese D2U, Design to Users, per i nuovi uffici del Gruppo Publicis a Milano, all’angolo tra viale Jenner e via Bernina. L’edificio, in disuso da molti anni, è stato riqualificato per ospitare un complesso di uffici di nuova generazione in grado di «infondere energia e dare ispirazione alle nostre persone, ai nostri creativi, per metterli nelle condizioni di avere le idee migliori per i clienti», sostiene Giorgio Brenna, presidente e ad di Leo Burnett Group Italia, una delle società del gruppo internazionale di pubblicità, comunicazione e marketing, insieme a Saatchi & Saatchi, Publicis e Msl.
Il progetto di rinnovamento ha visto una totale rivisitazione degli spazi in un’ottica di smart working, per garantire sia la possibilità di socializzazione e di confronto creativo, che la necessaria privacy e la connotazione propria di ogni società del gruppo. Ne parliamo con l’architetto Jacopo della Fontana, socio fondatore insieme a Corrado Caruso di D2U.
Quali sono state le linee guida del progetto di riqualificazione?
L’idea è stata quella di creare un campus per le diverse società del Gruppo Publicis, uno dei più grandi gruppi internazionali di pubblicità. Precedentemente gli uffici dei vari brand erano situati in diversi edifici di Milano, ciascuno con la propria identità e servizi generali. In un’ottica di sinergia, il gruppo ha pensato di raccogliere le varie società in un unico edificio. Dopo qualche ricerca, la scelta è ricaduta su un immobile precedentemente utilizzato dal Gruppo Telecom, di proprietà di un fondo internazionale che aveva espresso la volontà di partire con un progetto di valorizzazione. Abbiamo così iniziato a sviluppare l’idea, assieme a Giorgio Brenna, presidente di Leo Burnett in Italia, che è sempre stato un valido punto di riferimento sia per le scelte progettuali che per la definizione dei materiali.
Perché un campus?
Questa scelta si fonda su due aspetti. Il primo riguarda l’ottimizzazione del tempo e dei costi: raggruppando le diverse sedi del Gruppo in un unico complesso era possibile anche accorpare alcune divisioni come i servizi generali e le facility, oltre a ridurre gli spostamenti delle persone da una parte all’altra della città. In secondo luogo questa scelta risponde alla volontà di dare all’azienda un’immagine meno tradizionale, in grado di favorire le relazioni tra le persone e stimolare di più la creatività, con spazi accoglienti e confortevoli in un’ambiente più familiare.
Quali sono state le richieste del committente?
Lavorando sulla riqualificazione di un unico edificio, la committenza ci ha chiesto di mantenere le identità dei principali brand del gruppo, creando tre diversi ingressi per Leo Burnett, Saatchi & Saatchi e Publicis. Ma anche di sviluppare una serie di spazi di riunione e aree collettive al piano terra utilizzabili da tutti i dipendenti. Ogni società doveva, invece, avere la propria identità specifica ai vari piani.
Quali sono stati i materiali impiegati durante l’intervento di riqualificazione?
Non potevamo inficiare il risparmio economico che il gruppo avrebbe ottenuto dall’accorpamento in un unico edificio con un progetto faraonico. Abbiamo dunque scelto di lavorare in maniera mirata, prediligendo alcuni interventi piuttosto che altri. Innanzitutto, abbiamo lavorato sulle facciate: non avevamo budget per rifarle completamente, così siamo intervenuti con pellicole serigrafate colorate, che hanno permesso di dare all’edificio un’immagine più interessante e un effetto altamente cromatico e dinamico. Questo ci ha consentito anche di abbassare i livelli di irraggiamento sulla facciata a sud-ovest e, quindi, di avere una migliore risposta termica. Sono stati sostituiti in gran parte gli impianti di condizionamento, la centrale termica, l’unità di trattamento aria, è stato introdotto il sistema wireless e sistemi di illuminazione Led.
Perché la scelta di una facciata con colori così decisi?
Siamo in una zona semi-periferica della città e con questa pellicola colorata siamo riusciti a connotare fortemente l’edificio. La stessa committenza richiedeva la realizzazione di un ambiente stimolante e fortemente riconoscibile. Inoltre, alle estremità della facciata sono stati applicati pannelli di rivestimento in doghe di legno ricomposto con resine GreenWood, che hanno aggiunto un tocco caldo e gradevole.
Avete dato grande importanza anche all’ambiente. In che modo?
Una delle caratteristiche dell’immobile era una grande corte privata interna di 5mila metri quadri, che in origine ospitava un grande parcheggio scoperto. Abbiamo deciso di trasformare questo cortile in un grande giardino, con punti di sosta e riunione informale, un déhors per la caffetteria interna, un campo da basket-calcetto, e anche un orto. Oltre alle piante e alle grandi magnolie che popolano il giardino, la facciata interna ospita anche rampicanti. Tutto questo ci ha permesso di trasformare la corte interna in un vero e proprio polmone verde.
Anche il comfort e l’abitabilità degli spazi sono importanti. Che cosa avete pensato a questo proposito?
Abbiamo creato un mix equilibrato di aree open space e spazi di riunione, oltre a punti di incontro informale, come salottini, aree con biliardini, sale video e salette piccole per telefonate private. Un balance tra spazi chiusi e aperti che permetta di lavorare sia in modo concentrato, sia di relazionarsi con i colleghi
in modo dinamico. Per aumentare il comfort acustico degli ambienti abbiamo utilizzato materiali fonoassorbenti, mentre a livello di finiture abbiamo scelto tonalità calde e pavimenti che simulano il legno. Le luci hanno tutte filtri anti-abbagliamento. Gli elementi più innovativi di design si trovano nel volume di ingresso di viale Jenner, presso l’ingresso della società Leo Burnett, che presenta una copertura realizzata in vetro e ombreggiata dall’alto grazie a un sistema di brise soleil in legno, fiancheggiata da una grande parete verticale di verde naturale. Tra le novità va ricordato anche il grande teatro da un centinaio di posti, con una parete curvilinea, dove si svolgono proiezioni a 180 gradi, l’asilo nido per i bambini dei dipendenti, la palestra attrezzata e la caffetteria-ristorante aperta tutto il giorno, che è anche uno spazio di riunione informale.
Quali sono state le tappe dei lavori? C’è stato qualche ostacolo da superare?
Abbiamo lavorato un paio di mesi con la proprietà iniziale per ottenere i permessi edilizi. Poi, è stato firmato il preliminare del contratto e contemporaneamente l’edificio è stato venduto. Abbiamo lavorato altri tre-quattro mesi sul progetto di dettaglio e i lavori sono durati un anno. Non ci sono stati particolari ostacoli, anche se l’aspetto più delicato è stato ottenere i permessi edilizi. Per usufruire di procedure più snelle, abbiamo deciso di lavorare come restauro conservativo, piuttosto che come concessione edilizia, che avrebbe invece richiesto tempi di approvazione più lunghi.
Da chi è composto il team dello studio D2U?
La società di architettura D2U – Design to Users si occupa prevalentemente di progetti di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio esistente per soggetti istituzionali, lavorando in particolare su progetti per uffici, retail e ospitalità in tutta Italia, soprattutto Milano, Roma, e all’estero, in Germania e Russia. Siamo molto attivi anche sul fronte dell’allestimento e della progettazione degli interni, con speciale attenzione al tema dello smart working. Vogliamo accompagnare le società nella trasformazione delle modalità di lavoro da tradizionale a smart, allestendo spazi in grado di soddisfare le esigenze di flessibilità, accoglienza, comfort, risparmio economico. È un fenomeno che si sta diffondendo rapidamente anche in Italia, c’è anche una legge sul lavoro agile che lo permette. Ormai l’ufficio tradizionale è visto dai dipendenti giovani come qualcosa di vecchio e non particolarmente attraente.
Quanto pesano oggi i progetti di riqualificazione?
Rappresentano un buon 75% nel mercato terziario. Le possibilità di sviluppo delle nuove costruzioni sono piuttosto limitate, anche perché le pubbliche amministrazioni mirano a ridurre sempre più il consumo di suolo vergine. In più, tra aree dismesse ed edifici vecchi è più facile riqualificare, che demolire e ricostruire.
LA SCHEDA
Location: Milano
Intervento: Jenner 19 – The Creative Campus
Cliente: Publicis Group
Progetto: D2U – Design to Users
General Contractor: Mangiavacchi Pedercini Spa
Developer: Generali Real Estate
Consulenza Agency: BNP Paribas Real Estate
Partner: Arper, Arteco, Avery Dennison, B&B Italia, Brama Impianti e Servizi, Caimi, Cardex, Castellotti, Dieffebi, Emmegi, Falegnameria F.lli Casali, Grandimpianti Ali, Greenwood e Woodn, HW Style, Interface, Laminam, Regent, Sitland, Servizi Tecnologici Bergamo, Tagliabue Sistemi, Trilux, Universal Selecta
(Veronica Monaco)