Tra il Building Information Modeling e l’Artificial Intelligence stanno cominciando a formarsi significativi punti di convergenza. Se, da un lato, abbiamo un sistema di controllo del progetto che permette la gestione in progress di un’unità dalla fase ideativa a quella costruttiva, per continuare poi nella manutenzione, dall’altro abbiamo a disposizione potenti algoritmi di calcolo che consentono di ottenere un aiuto concreto, di fatto più di un assistente virtuale, per assolvere quanto richiesto dall’attività che coinvolge progettisti di differenti ambiti disciplinari: siano essi architetti, ingegneri strutturisti, impiantisti.
In che modo è pensato, allora, l’intervento dell’intelligenza artificiale in un processo Bim? Prima di tutto dobbiamo riflettere sul fatto che sono stati individuati differenti livelli di intelligenza artificiale: la macro divisione è tra un’Ai debole e un’Ai forte, proposta dal filosofo statunitense John Searle nel 1980, in un articolo intitolato Minds, Brains and Programs, pubblicato nel 1980 dalla rivista scientifica The Behavioral and Brain Sciences, dove descrive un test noto come la stanza cinese.
In questa sede non ci interessa entrare nel merito di ragionamenti specifici di ambito teorico, ma solo riflettere su questo duplice registro cognitivo: mentre l’ Ai debole si occupa di affrontare problemi e condurli a soluzione come avrebbe fatto un essere umano, senza produrre risultati inattesi e autonomi rispetto a quanto richiesto, l’Ai forte, basata su sistemi esperti, permette di replicare i comportamenti del cervello umano, in modo che la risposta dell’algoritmo non sia riconoscibile come tale da un altro essere umano.
Alan Turing, matematico cui si deve l’ideazione della formulazione dei sistemi computazionali dai quali furono avviati i primi computer, nel 1950 propose un test, chiamato Test di Turing, in cui ipotizzava il colloquio indiretto, tramite una tastiera, di un computer che interagiva con un umano. Se la persona non fosse stata in grado di riconoscere il computer allora ci saremmo trovati di fronte a una intelligenza artificiale. In realtà, il termine Ai verrà coniato solo più tardi, nel 1955, dall’informatico americano John McCarthy.
Entrambi i casi considerano l’analisi e la comparazione di casi pregressi, che consentono di proporre risultati. Ma mentre nel primo caso siamo all’interno di un processo di problem solving, come la traduzione di un testo o il riconoscimento di una voce, attraverso la comparazione simbolica, nel secondo caso il sistema può avanzare ipotesi che non siano direttamente legate a quelle attese.
Detto questo c’è da dire che, per il momento, l’aiuto diretto offerto dagli algoritmi di intelligenza artificiale al processo Bim si basa soprattutto su di un contributo light, vale a dire legato all’ottimizzazione del processo di gestione di una procedura di modellazione informativa. Molti sono già i software disponibili sul mercato che fanno uso dell’Ai per questo scopo, che garantiscono un aiuto puntuale e preciso a quanto può essere richiesto dal progettista. Si pensi, per esempio, alla trasformazione di un disegno bidimensionale, sottoposto nella forma di un’immagine, in modello 3D grazie a un algoritmo che riconosce alcune caratteristiche geometriche, sulla base di indicazioni fornite dall’utente, quali il range relativo alle dimensioni di porte e finestre, quello relativo allo spessore delle murature e altro. Il software restituisce il volume tridimensionale con i relativi dettagli in formato Ifc (lo standard del Bim che sta per Industry Classes Foundation), che prevede già la strutturazione delle informazioni compatibile con i programmi di Building Information Modeling, così da poter essere integrato in maniera diretta.
A questo si aggiungono software che propongono il rispetto della normativa, controllando le primitive grafiche architettoniche e gli standard di riferimento. Se viene identificata una incongruenza con le norme tecniche, appare una segnalazione all’utente che ha la possibilità di modificare il modello in modo da adeguarsi a quanto richiesto oppure di procedere con la consapevolezza del problema posto. Si tratta, di fatto, di un controllo preventivo a monte di quello che avverrà nella commissione edilizia che dovrà approvare la proposta progettuale.
Ulteriori software Ai possono aiutare il progettista nella pianificazione del lavoro, sulla base di considerazioni ambientali che affrontano temi quali l’illuminazione, l’esposizione acustica, la volumetria, la disposizione delle unità in riferimento alle funzioni, l’analisi del microclima, suggerendo eventuali proposte che possono essere considerate dal progettista, restituendo una verifica in tempo reale delle condizioni del progetto in relazione alle indicazioni suggerite.
C’è poi l’aiuto che procedure Ai possono dare nell’ambito dell’analisi predittiva del manufatto, all’interno del facility management, ovvero dell’aspetto relativo alla manutenzione. Considerando la natura del modello, dei materiali impiegati e dell’ipotesi dell’uso temporale, alcuni software avanzati possono ipotizzare eventuali criticità che potrebbero subentrare, così come avviene per il tagliando periodico al quale sottoponiamo la nostra autovettura, in cui la durata del chilometraggio presuppone un possibile cambio di pneumatici, una verifica dei sistemi frenanti, una sostituzione dell’olio del motore.
A tali procedure di intelligenza artificiale debole, si aggiungono quelle forti, che possono fornire al progettista ipotesi morfologiche e funzionali già definite, ma anche costruzioni di città e architetture immaginarie, affiancando al rigore della modellazione informativa la libertà creativa di algoritmi che compongono volumi e spazi in assenza dei vincoli che quotidianamente affiancano il nostro lavoro.
di Alberto Sdegno, Università degli Studi di Udine (da YouBuild n. 28)