Quello che segue è un percorso tematico attraverso i padiglioni della 18esima Biennale di Architettura di Venezia. Prima ancora di architetti, urbanisti, paesaggisti, pianificatori, il laboratorio del futuro della curatrice Lesley Lokko chiama a raccolta practitioner, ovvero attori in grado o almeno intenzionati a un agire concreto e necessario verso un futuro più sostenibile, inclusivo, solidale. Rispondente, cioè, alle parole d’ordine della decarbonizzazione e decolonizzazione. Già il fatto che questi macro-temi siano identificati attraverso il prefisso «de-», indica che la via da intraprendere secondo Lokko passa attraverso l’accettazione che di questi significati, rispetto alle pratiche predatorie messe in atto fino a oggi.
Occorre privarsene, cambiarli e opporsi. In altre parole, il futuro è raggiungibile solo immaginando, altra parola chiave prestata al processo catartico della Lokko: una coabitazione con l’ambiente dove è la progettazione dell’abitare che deve adattarsi alle condizioni e ai cicli naturali e non viceversa. Da un lato, in seguito alle numerose diaspore di cui sono state oggetto nel corso della storia, l’importanza che Lokko affida al riscatto delle comunità subalterne rispetto ai poteri economici globalizzanti. Dall’altro, le sfide non più prorogabili che i vari Paesi hanno deciso di portare all’interno dei recinti della Biennale.
L’architettura come campo di esplorazione autosufficiente fa un ulteriore passo indietro rispetto alle ultime edizioni, almeno nelle forme convenzionali della sua comunicazione e discussione, in ragione di una sempre più necessaria alleanza multi e trans-disciplinare in grado di diventare agente di cambiamento significativo e radicale. Quanto questo sforzo si traduca in un lascito alla cultura del progetto contemporaneo rimane di difficile valutazione e il sospetto di assistere a un’effimera teatralizzazione di problematiche generali arcinote è un dubbio che ci accompagna durante la visita.
Tra le 64 Partecipazioni Nazionali, abbiamo preparato un itinerario tematico di quelle che ci hanno colpito per chiarezza, pertinenza, modalità narrativa ed esperienza di visita. Emergono tre nuclei tematici attorno ai quali si organizzano le seguenti partecipazioni, che affrontano in modo più esplicito le questioni legate all’ecologia, alle tecnologie, digitali e non, e alle istanze culturali e socioeconomiche.
ACQUA ALTA (NON SOLO) A VENEZIA
Padiglione della Danimarca.
Coastal Imaginaries.
Curatore: Josephine Michau
Tra le zone che più soffrono il cambiamento climatico in atto, sicuramente si trovano i litorali. In continuità con la partecipazione danese alla Biennale post-pandemia del 2021, torna il tema dell’acqua come elemento decisivo per un adattamento ad un futuro in cui l’innalzamento del livello dei mari è assodato. Messe a fuoco le problematiche e le letture del contesto danese, e in seguito alla teatrale rappresentazione del futuro paesaggio costiero attraverso un diorama, il percorso espositivo confluisce nella sala delle proposte progettuali. Copenhagen è il laboratorio per sperimentare come le nature-based solutions possano essere pianificate e implementate, un banco di prova cruciale a cui Venezia non può che guardare con grande attenzione.
LA STORIA IN TENDA
Padiglione del Giappone.
Verso un’architettura da amare concepire l’architettura come una creatura vivente.
Curatore: Maki Onishi
Insieme a quello austriaco, il padiglione del Giappone imposta una riflessione sulla propria architettura, la sua genealogia e la sua traiettoria evolutiva. Compare una tenda diafana che, come nel progetto originario non interamente realizzato di Takamasa Yoshizaka, rafforza il legame tra edificio e spazio aperto circostante. Varcata la soglia, l’architettura racconta sé stessa attraverso una narrazione tematica da cui riaffiorano le idee che l’hanno fatta nascere e il processo costruttivo che l’ha depositata nei giardini della Biennale. L’architettura è una sorta di creatura vivente con una vita propria che, in continuità rispetto alla partecipazione del 2021 Co-ownership of Actions: Trajectories of Elements e come scriveva Rafael Moneo ne La solitudine degli edifici, va costantemente ri-scoperta, vissuta, e adattata alle necessità del presente. Il piano inferiore, pilotis, come lo chiamava Yoshizaka, ospita un luogo di riposo e di incontro simile a un bar, uno spazio dove i visitatori troveranno riparo dal sole cocente dell’estate in laguna.
CIRCOLARE NEL GLOCALE
Padiglione della Germania.
Open for maintainance.
Curatore: Arch+ / Summacumfemmer / Büro Juliane Greb
La cultura del costruire secondo criteri di circolarità è al centro della riflessione della partecipazione tedesca. Un padiglione che anziché esporre il tema lo mette in pratica. Si mostra il processo di recupero e la lavorazione di materiali di scarto provenienti da più di 40 padiglioni nazionali che hanno partecipato alla Biennale Arte nel 2022. Esibire i residui delle mostre precedenti in forme scenografiche o tassonomiche è un tema già visto nelle ultime edizioni. Si pensi, per esempio, all’apertura alle corderie della Biennale di Alejandro Aravena del 2016 o al padiglione giapponese del 2021. L’enfasi è quindi posta sull’impatto glocale dell’architettura circolare, che se da un lato guarda alle sfide globali del «pensare di più e costruire di meno», dall’altro considera le necessità locali, sia dei gruppi più svantaggiati di Venezia sia di chi userà questo spazio espositivo fino a novembre 2023. E, quindi, una rampa, un deposito materiali, uno spazio di lavoro, un bagno, una cucina, uno spazio di incontro, sono tutti spazi a sostegno di una permanenza sostenibile durante la kermesse veneziana. Ma che cosa si costruirà? Il workshop, che prevede la partecipazione di attori locali, intende realizzare piccoli interventi su Venezia al servizio della popolazione residente, agendo come un’infrastruttura produttiva in contrapposizione rispetto ai trend di mercificazione della città.
ESTRAZIONI DEL LOCO
Padiglione del Belgio.
In Vivo.
Curatore: Bento e Vinciane Despret
La critica al «nostro sistema di produzione estrattivista» si estende anche al padiglione belga, dove l’accento viene posto su materiali costruttivi alternativi provenienti da organismi viventi, in particolare il micelio, la parte vegetativa dei funghi. Le aule perimetrali mostrano possibili applicazioni in sinergia con derivati dal legno come segatura e trucioli, che possono formare mattoni, pannelli e altri moduli edili, la capacità rigenerativa di pelli fungine, e lo sviluppo spontaneo attraverso un incubatore. Nella grande sala al centro si trova invece un’installazione composta da un pavimento in terra cruda e un ambiente fatto in pannelli di micelio sostenuti da telai lignei, che lasciano percepire le caratteristiche sensoriali, in particolare tattili, acustiche e poetiche , di questi materiali.
LA TERRA SUL PIATTO
Padiglione della Spagna.
Foodscape.
Curatore: Eduardo Castillo-Vinuesa, Manuel Ocaña
«Mangiando, digeriamo territori». È questo il motto del padiglione spagnolo, una panoramica sull’impatto sistemico, politico ed ecologico della produzione di cibo sugli equilibri planetari a partire dai microcosmi domestici delle nostre cucine fino alle filiere produttive applicate su economie di scala che plasmano e riconfigurano molti dei nostri paesaggi. Attraverso cinque filmati tematici, digestione, consumo, distribuzione, produzione, fondazione, i curatori ci fanno guardare al sistema alimentare come un’architettura, un’infrastruttura metabolica diffusa formata da ecosistemi e paesaggi terrestri a cui noi, enzimi e agenti biologici, siamo inestricabilmente connessi.
A PRECIPIZIO CON LA FOLLA
Padiglione della Corea.
2086: Insieme come?
Curatore: Soik Jung, Kyong Park
Nel 2086 la popolazione mondiale raggiungerà il picco, e i nostri atteggiamenti predatori verso il pianeta ci avranno messo nei guai, come possiamo lavorare insieme per affrontare le sfide di oggi e di domani? Il padiglione coreano articola la critica all’ideologia faustiana in una serie di tappe che inscenano situazioni di crisi in diversi contesti. La principale è il quiz televisivo The Game of Together How, un gioco che ci pone di fronte alle contraddizioni dell’estrema connessione tecnologica e le simultanee crisi ambientali, culturali, sociali. Domande grottesche e black humor ci impongono di prendere posizioni estreme, mettendo in risalto quanto l’esistenza di un futuro dipenda dalle scelte che si compiono ogni giorno, a cui non possiamo sottrarci. Geniale, ma l’architettura?
DIAMO I NUMERI
Padiglione della Polonia.
Datament.
Curatore: Jacek Sosnowski
Dalla riflessione sul rurale di Trouble in Paradise dell’edizione precedente, quest’anno la Polonia ci porta nel mondo digitale, nella sua sovra produzione di dati, di cui spesso recepiamo immagini distorte da algoritmi manipolatori. Tale è infatti l’installazione in tubolari di acciaio colorati, che riproduce un’elaborazione digitale fuorviante di quattro ambienti domestici selezionati sulla base della quantità di dati digitali disponibili, da molti a pochi. La traduzione fisica di un’elaborazione virtuale è fallace, eppure su questi simulacri e sull’acquisizione acritica di dati di cui non conosciamo né l’origine né l’elaborazione, basiamo sia scelte quotidiane che strategiche. Se per l’Austria, due anni fa, i dati digitali erano comprensibilmente una relazione, per tutti noi l’unica durante la pandemia, oggi, per la Polonia, i dati sono un’istituzione che va oltre la nostra capacità di controllo: come ridefinire il rapporto tra virtuale e reale, ammesso e non concesso di essere ancora in tempo?
NOLI ME TANGERE
Padiglione di Israele.
Cloud-to-ground.
Curatore: Oren Eldar, Edith Kofsky, Hadas Maor.
Il padiglione di Israele è sigillato, inaccessibile, non provate a circumnavigarlo perché non si entra. Si sta fuori invece, nel terrazzino in cemento dove solitamente si usciva, quest’anno allestito con cinque modelli in calcestruzzo di altrettanti data center. Tanto come le architetture che rappresentano, questi modelli sono impenetrabili e impermeabili rispetto all’ambiente circostante. Abitati da server e cablaggi, sono i centri nevralgici delle reti informatiche che custodiscono, elaborano, producono e veicolano il mondo digitale. L’allestimento suggerisce di guardare con maggiore attenzione al ruolo politico ed economico giocato da questi hardware della Quarta rivoluzione industriale, le vere infrastrutture del potere contemporaneo, anche attraverso la loro specifica architettura.
SOSTENIBILITÀ DEL BIDET
Padiglione della Finlandia.
Huussi – Imagining the future history of sanitation.
Curatore: Arja Renell
Il padiglione della Finlandia parla di tecnologia applicata all’ecologia da un altro punto di vista: quello dell’improrogabile ripensamento dell’impianto sanitario che troviamo nelle nostre case. La scarsità d’acqua e l’abuso di fertilizzanti chimici sono tra le cause primarie delle crisi economiche ed ecologiche che includono la sicurezza alimentare, il cambiamento climatico e il collasso di interi ecosistemi. L’esposizione dichiara morto lo sciacquone dei bagni in favore di un sistema che funziona a secco per il recupero di feci e urine, da trasformare in compost. La tecnologia esiste già ed è abitualmente usata nelle campagne finlandesi. Huussi porta all’attenzione del pubblico una piccola applicazione domestica, ma la vera sfida si estende alla scala urbana e può incidere da subito sugli equilibri ecologici. In questo caso, l’agente di cambiamento evocato da Lokko sta nella nostra consapevolezza e nella creazione di una domanda in grado di stimolare il mercato dell’edilizia. Diventerà Huussi un fondamentale koolhaasiano?
VIOLENZA DO BRASIL
Padiglione della Brasile.
Terra.
Curatore: Gabriela de Matos e Paulo Tavares
Vincitore del Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale, il Padiglione brasiliano presenta Terra, il progetto curatoriale che pone la polisemica natura della terra al centro dell’attenzione. Si parte da una critica non convenzionale alla fondazione della capitale Brasilia, celebrata dalla narrazione mainstream come mirabile attuazione dei principi del Moderno e qui presentata come violento atto di colonizzazione. La narrazione prosegue attraverso contenuti multimediali che allargano la frattura tra cultura afrobrasiliana e canone occidentale. Tale distanza rimane tangibile in tutto l’allestimento anche se, nella seconda sala, una possibilità di dialogo tra identità, incarnata dai tessuti tradizionali appesi, e modernità, l’architettura del padiglione, si dipana in uno spazio libero, inondato da un pavimento in terra compattata da cui emergono senza soluzione di continuità volumi espositivi. La terra custodisce i segni delle civilizzazioni e, allo stesso tempo, offre la memoria ancestrale per dare nuovi significati e futuri alternativi alle specie viventi che la abitano.
SIMBIOSI IN LAGUNA
Padiglione della Cina.
Rinnovamento: una narrazione simbiotica.
Curatore: Xing Ruan
Il padiglione cinese è una lettera d’amore a Venezia, nelle parole del curatore Xing Ruan, una testimonianza di come la capacità delle persone di adattarsi e cambiare lo status quo possa portare verso nuove forme di abitare, attente alle sfide contemporanee, ma anche alle radici culturali, un tema importante per la Cina odierna. L’allestimento simula un colonnato che riecheggia l’architettura dell’arsenale, attraversando il quale si evoca un’esperienza urbana. Sul pavimento si leggono alcuni numeri della corsa allo sviluppo della Cina, mentre nelle colonne, che alludono ai fogli arrotolabili e al modo di leggere il genere pittorico classico del paesaggio, è custodita una selezione di progetti realizzati nella Repubblica Popolare e a Shanghai, assunta a caso notevole. Il pavimento specchiato amplifica l’esperienza sensoriale della passeggiata mettendo in risalto il rapporto tra le architetture dell’arsenale e quelle della Cina contemporanea, in una narrazione simbiotica. All’esterno si trova un’installazione che mette a confronto due modalità insediative opposte: l’occupazione del suolo, sul perimetro e al centro, alludendo alle tipologie architettoniche dell’edificio a corte e a padiglione.
BENVENUTI A VENICELAND
Padiglione dell’Austria.
Partecipazione.
Curatore: AKT e Hermann Czech
Qual è il rapporto tra Venezia e le sue biennali di arte e architettura? Lo spiegano i curatori del padiglione austriaco, che accendono le luci dei riflettori sul processo di erosione del tessuto sociale della città incentivato dalle stesse mostre internazionali. Venezia è sempre meno dei veneziani e sempre più dei turisti. Le Biennali contribuisco concettualmente e fisicamente, attraverso la crescente occupazione di spazio e la relativa sottrazione all’uso pubblico, alla crescita di una tendenza che sembra inarrestabile, guardando i numeri della popolazione residente e dei visitatori. Come il Giappone, anche l’Austria lavora quindi sull’architettura del proprio spazio rappresentativo, mettendo in discussione la brandizzazione di una città sempre più ostile ai suoi abitanti. Tuttavia, la proposta di dedicare metà del padiglione alla comunità di Sant’Elena mediante una passerella temporanea è respinta, e quello spazio dedicato ai residenti, allestito per ospitare momenti di dibattito e confronto, rimane oggi un vuoto che fa rumore, un’occasione mancata, una provocazione che sembra affermare che se la Biennale non è per i veneziani, allora non è nemmeno per i visitatori. Quello che viene esposto è la testimonianza di un percorso partecipativo e di un progetto per una Biennale altra.
di Gerardo Semprebon, Politecnico di Milano (da YouBuild n. 28)
Foto@Gerardo Semprebon