Biennale Arte 2024: “Stranieri ovunque foreigners everywhere”

Ingresso alla Biennale

La sessantesima edizione dell’Esposizione internazionale d’arte, curata da Adriano Pedrosa, ha avuto luogo dal 20 aprile al 29 novembre 2024 presso gli spazi dei Giardini e dell’Arsenale della Biennale di Venezia.

Adriano Pedrosa | Curatore dell’Esposizione

Sono onorato e riconoscente per questo prestigioso incarico, soprattutto come primo latino-americano a curare l’Esposizione Interna­zionale d’Arte della Biennale, e di fatto il primo a risiedere nell’emisfero sud del mondo.

Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere è il titolo e filo conduttore della mostra, che possiede un valore par­ticolarmente significativo in una città come Venezia che diede i natali a Marco Polo, di cui nel 2024 si celebrano i 700 anni dalla scomparsa, e che lo spinse alla scoperta di nuove culture e dell’integrazione con esse in virtù di uno scambio umano e alla pari.

Claire Fontaine, Stranieri ovunque
Claire Fontaine | Stranieri ovunque

Il titolo della mostra proviene dall’opera del collet­tivo Claire Fontaine formato dalla coppia artistica italo-britannica Fulvia Carnevale e James Thornhill.

Stranieri Ovunque è composta da una serie di neon appesi con ganci metallici alla struttura lignea delle Giaggiandre dell’Arsenale e che si riflettono nelle acque della laguna, sono in diversi colori e riportano la stessa scritta del titolo dell’opera in più di cin­quanta lingue, occidentali e orientali, tra cui diversi idiomi indigeni, alcuni dei quali di fatto estinti.

Mahku, murales padiglione centrale
Mahku | Murales padiglione centrale

Queste sculture sono una dichiarazione contro po­tenziali minacce razziste, ma allo stesso tempo un antidoto rispetto a queste.

Oltre a evocare il senso di straniamento avvertito da gruppi emarginati o mi­granti che cercano di rimanere a galla in una società globalizzata, il collettivo Claire Fontaine, utilizzan­do questa grande quantità di lingue straniere che si riflettono nell’acqua vuole dimostrare che ognuno di noi, a prescindere dalla propria ubicazione o storia può essere o è stato straniero rispetto a qualcosa o a qualcuno in qualche momento della propria vita. Il significato dell’opera è anche il messaggio e filo conduttore che si è voluto dare a questa edizione della mostra.

331 artisti da 80 paesi

Alla luce di queste considerazioni, per la Biennale Arte 2024 sono stati puntati i riflettori su creativi che sono essi stessi stranieri, con tutti i molteplici significati che può avere questo termine. La mostra conta 331 artisti o collettivi partecipanti che vivono o hanno vissuto in oltre 80 paesi, questo a testimo­niare come sempre gli artisti viaggino e si spostino per i più svariati motivi.

Daniel Aguacero Otero, Torres
Daniel Aguacero Otero | Torres

Questa edizione della Biennale ha visto per la prima volta un collettivo artistico dell’Amazzonia farsi notare prendendosi la scena sull’iconica facciata del Padiglione Centrale dei Giardini, dove il gruppo Mahku (Movimento dos Artistas Huni Kuin) ha realizzato un murales che si espande su tutta la facciata.

È stato dipinto il mito del ponte-alligatore che descrive il passaggio tra il continente asiatico e quello americano e come gli uomini, tradendo la fiducia degli alligatori, causarono la separazione tra popoli e luoghi.

Neutralità carbonica

Importante obiettivo dell’edizione 2024 della Biennale, già conseguito anche nel 2023, è quello di ottenere per la manifestazione la certificazione della neutralità carbonica, attraverso il raggiungimento degli standard internazio­nali Pas 2060.

La strategia ha previsto due direzioni da mantenere: la riduzione di tutte le emissioni controllabili e la compensazione di quelle residue attraverso l’acquisto di crediti di carbonio. Modelli di sostenibilità sono stati proposti in tutte le fasi della mostra, dalla progettazione all’allestimento fino allo svolgimento di ogni manifesta­zione a essa inerente.

L’utilizzo di materiali cartacei, quali flyer e prodotti per la comunicazione, è stato ridotto ai minimi termini incentivando invece l’utilizzo di prodotti digitali quali applicazioni e qr code esplicativi.

Anche la parte ristorazione ha seguito un modello di sostenibilità, incrementando l’offerta di opzioni vegetariane, privile­giando prodotti a kilometro zero ed evitando l’utilizzo della plastica a giovamento dei materiali biodegradabili.

Risparmio delle risorse

La sensibilizzazione sul tema della sostenibilità e del risparmio delle risorse si è percepita anche in alcune delle opere presenti in mostra, come Agua­cero, l’installazione effimera site-specific realizza­ta dall’artista e attivista colombiano Daniel Otero Torres con materiali raccolti localmente e riciclati, che simula un’architettura vernacolare su palafitte nata con lo scopo di raccogliere acqua piovana non contaminata e fornirla agli abitanti delle comunità lungo le rive del fiume Atrato.

Paradossalmente, anche se essi risiedono in una delle regioni più ric­che di piogge, affrontano giornalmente gravi sfide nell’ottenere acqua pulita a causa dell’intenso in­quinamento causato dall’estrazione illegale dell’oro.

Pablo Delano, The museum of the old colony
Pablo Delano | The museum of the old colony

Frammenti di bellezza

Da segnalare anche una grande cura nel valorizzare frammenti di bellezza che è stata negli anni vo­lontariamente o involontariamente marginalizzata o messa in secondo piano a vantaggio della pro­mozione di schemi di pensiero dominanti.

Molto rappresentativa ed emblematica di questo tema è la stanza in cui sono esposte le opere dell’artista visivo e fotografo Pablo Delano, nato a Porto Rico e residente negli Stati Uniti.

The Museum of the Old Colony è una raccolta di oggetti e immagini, una sorta di reportage che racconta storie legate alla dominazione spagnola e statunitense sulle co­munità indigene e native, nonché sulle persone di origine africana, producendo una mappa intricata delle travagliate vicende di Porto Rico.

Leone d’oro alla carriera

La scelta per le assegnazioni dei Leone d’Oro alla carriera per questa edizione della Biennale è par­ticolarmente significativa e coerente con il titolo e con il contesto della mostra. Si tratta di due donne che hanno alle spalle tanti anni di carriera, definite dallo stesso curatore Adriano Perosa Artiste stra­ordinarie e pioneristiche.

Anna Maria Maiolino, Ano 1942
Anna Maria Maiolino | Ano 1942
Anna Maria Maiolino

Nata a Scalea (Italia) nel 1942 è emigrata con la famiglia in Venezuela poco dopo la Seconda Guerra Mondiale per poi stabilirsi definitivamente in Brasile.

In Sud America si è formata e successivamente ha sperimentato diverse tecniche artistiche. Alla Bien­nale è esposta l’opera Ano 1942 (1973), l’artista ha prodotto una sagoma dell’Italia completamente bru­ciata a evocare il bombardamento avvenuto ai danni dell’Italia nel 1942, suo anno di nascita.

Quest’opera fa parte di una serie che affronta le esperienze di migrazione dell’artista e qui è espresso il senso di alienazione che essa prova per il suo paese di origine.

Nil Yalter, topak ev, exile is a hard job
Nil Yalter | Topak ev, exile is a hard job
Nil Yalter

È un’artista turca nata al Cairo (Egitto) nel 1938 e trasferitasi a Parigi nel 1965, dove vive tuttora. Si è formata come autodidatta sperimentando le arti visive in svariati modi. Il suo capitolo più radicale e pionieristico è iniziato dopo il suo trasferimento a Parigi, dove con la sua arte concettuale ha iniziato ad affrontare temi sociali.

Oggi è considerata una pio­niera del movimento artistico femminista mondiale. Alla Biennale sono presenti due sue opere: Topak Ev”(1973) ed Exile is a Hard Job (1977-2024). La prima è una riproduzione di una tenda tipica della comunità nomade Bektik.

Con questa riproduzione di un’architettura vernacolare, che è emblema del sentirsi a casa, l’artista vuole far luce su comunità poco conosciute e al contempo sensibilizzare sul ruolo di genere e sulle norme sociali che confinano le donne negli spazi domestici.

La seconda opera è sulle pareti della stessa stanza e si tratta di una raccolta di fotografie e immagini video raffiguranti immagini di immigrati ed esiliati con scritte rosse in rilievo. Lo scopo è quello di sensibilizzare ed evocare nostalgia per quanto si lascia alle spalle.

Nucleo storico

Il Nucleo Storico della biennale ospita opere pro­dotte nel XX secolo da artisti selezionati provenienti da America Latina, Africa, Medio Oriente ed Asia.

La maggior parte degli artisti di questa sezione della mostra ha partecipato per la prima volta alla Biennale, riscattando una sorta di debito storico nei confronti degli artisti provenienti dal sud del mondo, termine che indica paesi in via di sviluppo. Il nucleo storico è stato ospitato in tre grandi sale della mostra, due delle quali al padiglione Centrale dei Giardini e una all’Arsenale.

Nucleo contemporaneo

Attraversando il nucleo contemporaneo della mo­stra, ospitato sia ai Giardini sia agli spazi dell’Ar­senale, si è potuto riconoscere il leitmotiv che ha ispirato le scelte del curatore Pedrosa sia per quanto riguarda gli artisti selezionati sia i pezzi esposti.

Molti degli artisti selezionati si distinguono per il loro vissuto che va al di fuori degli schemi tra­dizionali: ad esempio è stato dato spazio ad artisti queer, spesso perseguitati o messi al bando per la loro sessualità o genere, ma anche artisti outsider spesso ai margini del mondo dell’arte.

Tra alcuni creativi presenti, ci sono stati anche in­teressanti vincoli di sangue o matrimonio, questa scelta vuole sottolineare il ruolo importante e ormai anacronistico dei rapporti umani come scrigno di trasmissione di saperi e conoscenze.

Tra le opere d’arte esposte abbiamo incontrato spesso l’utilizzo del tessile, esplorato in varie forme e modi. Non a caso la scelta di esaltare questa tecnica, che nel campo delle belle arti è stata talvolta considerata estranea e secondaria rispetto ad altre.

Partecipazioni nazionali

Come da tradizione, la mostra è corredata dalla partecipazione dei Paesi. Quest’anno sono stati 87 e hanno riempito gli spazi, non solo all’Arsenale e agli storici Padiglioni dei Giardini, ma anche in alcuni sorprendenti spazi nel centro storico di Venezia.

Si segnalano quattro Paesi presenti per la prima volta alla Biennale Arte: Repubblica del Benin, Etiopia, Repubblica Democratica di Timor Leste e Repub­blica Unita della Tanzania, mentre Repubblica di Panama e Senegal partecipano per la prima volta con un proprio padiglione.

Nucleo storico: astrazioni
Nucleo storico | Astrazioni
Nucleo storico | Astrazioni

Quello che colpisce subito entrando nella stanza che ospita la sezione Astrazioni del sud del mondo sono i colori sgargianti, le composizioni di grande impatto con linee sinuose e curvilinee che ricordano calligrafie orientali, le sperimentazioni su materiali e supporti diversi dalla tela.

Tutti questi elementi sono inconsueti a un occhio occidentale. Si nota un forte distacco dalla tradizione europea, costituita da colori primari, griglia rigida ortogonale e pretese di purezza. Al centro della stanza è impossibile non notare con curiosità e non camminare intorno a una serie di bambù appesi al soffitto che si muovono dolcemente come se fossero semoventi, si tratta dell’opera “Bambus” del brasiliano Ione Saldanha.

È una collezione creata tra gli anni ’60 e ‘70 dove ogni pezzo è unico ma anche parte di una vasta composizione, il supporto alla decorazione pittorica di fatto è un materiale organico con proprietà scultoree uniche.

Nucleo storico: ritratti
Nucleo storico | Ritratti
Nucleo storico | Ritratti

Ritratti ha ospitato più di 100 artisti e altrettante rappresentazioni della figura umana, sotto forma di pitture o di arti plastiche con pezzi prodotti tra il 1915 e il 1990. Il modernismo è una corrente filosofico-estetica nata nel mondo occidentale a seguito delle ingenti trasformazioni della cultura e della società tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX.

In questa stanza sono presenti esempi di come la corrente artistica è stata reinterpretata da artisti provenienti dal Sud del mondo che hanno incontrato il modernismo europeo tramite viaggi, studi o ricerche, se ne sono appropriati e hanno svolto delle rielaborazioni stilistiche partendo da riferimenti culturali diversi da quelli a cui siamo abituati nella società occidentale.

Il repertorio che si è incontrato in questa parte della mostra è stato vastissimo e variegato con la presenza sia di artisti meno conosciuti che nomi noti a livello internazionale come Frida Kahlo e Diego Rivera.

Nucleo storico, Italiani ovunque
Nucleo storico | Italiani ovunque
Nucleo storico | Italiani ovunque

Italiani ovunque è la sezione del Nucleo Storico presente all’Arsenale, le opere d’arte hanno riempito lo spazio allestito mediante i cavalete de vidro.

Questi iconici cavalletti in vetro utilizzati per supportare i manufatti sono stati disegnati per il museo di arte Masp di San Paolo di Brasile da Lina Bo Bardi, architetta, designer e allestitrice italiana trasferitasi in Brasile nel 1946. Sono stati selezionati artisti italiani che hanno viaggiato e vissuto all’estero.

È interessante notare come molti di loro si sono del tutto inseriti nelle culture locali o ne hanno subito la profonda influenza, spesso contribuendo allo sviluppo di narrazioni moderniste locali.

I partecipanti a questa sezione arrivavano da varie zone del mondo ma la metà di loro proveniva da Brasile o Argentina, perché le più estese comunità diasporiche italiane nel mondo si trovano in questi paesi del Sud America.

Jana Marta Rodas e Julia Isidrez
Jana Marta Rodas e Julia Isidrez
Juana Marta Rodas e Julia Isídrez

Le due artiste paraguaiane operano all’interno della tradizione guaranì, secondo cui la trasmissione del sapere artigiano dev’essere tramandata da madre a figlia. Juana Marta Rodas ha portato avanti la tradizione familiare fino a che l’avvento della tecnologia ha reso i vasi per trasportare l’acqua obsoleti.

Juana ha dunque audacemente deciso di sperimentare e sovvertire le forme trasformando pezzi di artigianato in opere d’arte, rifiutando le grandi dimensioni dei vasi convenzionali e sperimentando forme zoomorfe e antropomorfe con una sensibilità unica influenzata dall’arte contemporanea.

Julia Isídrez, allieva di sua madre Juana, continua a percorrere nuove strade senza però cancellare mai del tutto quelle ereditate. I suoi grandi vasi sono ormai opere d’arte dove si alternano forme austere e pulite e figurazioni più barocche e zoomorfe.

Kiluanji Kia Henda, Luanda
Kiluanji Kia Henda | Luanda
Kiluanji Kia Henda | Luanda

L’artista esplora memoria storica, colonialismo e dinamiche di potere. La sua opera riflette sulla ciclicità della paura e del controllo attraverso forme geometriche ispirate a barriere architettoniche e militari. Utilizza ringhiere metalliche prese da edifici di Luanda, un tempo simbolo di protezione, ora instabili e permeabili.

Queste strutture, divenute rovine, simboleggiano come l’isolamento dal mondo esterno ci renda prigionieri della nostra stessa paura. Sullo sfondo, altre due opere documentano le ringhiere dipinte di bianco, preminenti nelle città del Sud globale segnate da profonde disuguaglianze.

Dana Awartani, Jeddah e New York
Dana Awartani | Jeddah e New York
Dana Awartani | Jeddah e New Yorgìk

In linea con i temi della Biennale 2024, come legami familiari, appartenenza e tradizione, l’artista palestinese-saudita intreccia saperi artigianali arabi e indiani nella sua installazione.

Si pone come un messaggio politico, un requiem per i siti distrutti da guerre, con nuovi strappi dedicati a Gaza, che Awartani rammenda in un gesto intimo. Il tessuto viene immerso in tinture naturali a base di erbe e spezie che hanno valore medicinale di guarigione. Le cicatrici sul tessuto simboleggiano il trauma fisico ed emotivo lasciato dalla devastazione.

Lydia Ourahmane, Algeri e Barcellona  
Lydia Ourahmane | Algeri e Barcellona
Lydia Ourahmane | Algeri e Barcellona  

L’opera è un’intensa riflessione visiva ed emotiva sulla transitorietà e le esperienze di vita in Algeria. Sradicata e cruda, l’artista esplora il concetto di casa attraverso la ricreazione del suo appartamento di Algeri, un gesto profondamente personale reso necessario dalla chiusura delle frontiere durante la pandemia.

L’installazione presenta due porte funzionanti: la prima, in legno risalente al 1901, simboleggia l’epoca dell’occupazione francese, mentre la seconda, in metallo con cinque serrature, appartiene agli anni Novanta, periodo di guerra civile e crescente paranoia.

Rappresentando una fusione di due epoche, l’ingresso leggermente socchiuso diventa un simbolo architettonico della fiducia collettiva, costruita e poi distrutta durante la guerra d’indipendenza.

Padiglione Benin: Kathleen Ash-Milby Abigail_Winograd
Padiglione Benin | Kathleen Ash-Milby, Abigail Winograd
Padiglione Benin | Kathleen Ash-Milby, Abigail Winograd

Radicata profondamente nella tradizione Gẹlẹdẹ del popolo Yoruba, l’opera si sviluppa come un dialogo intenso tra eredità culturale e sfide moderne.

Tra sfide ecologiche, conflitti e disuguaglianze sociali, il padiglione del Benin abbraccia con sensibilità la caducità della vita umana, animale e vegetale. Il concetto curatoriale, ricco di sfumature ecologiche, politiche e culturali, celebra la saggezza indigena, sottolineando il ruolo cruciale delle donne.

Al centro, l’imponente installazione Ase (Così sia) si erge come un santuario spirituale, infondendo nell’ambiente una sinfonia di essenze aromatiche e suoni che rimette l’essere umano al cuore della spiritualità.

L’opera suggerisce un ritorno mistico alle origini, al grembo materno, in una fusione evocativa di corpo, anima e natura. Una riflessione profonda sulla necessità di riconnettersi con ciò che è essenziale e primordiale.

Padiglione Turchia: Gülsün Karamustafa
Padiglione Turchia | Gülsün Karamustafa
Padiglione Turchia | Gülsün Karamustafa

Il lavoro di Gülsün Karamustafa avvolge lo spettatore in un’atmosfera di grande impatto visivo ed emotivo, carica di tensione e riflessione.

Una delle artiste più influenti per le giovani generazioni, Karamustafa affronta un mondo devastato da guerre, terremoti, migrazioni e crisi ambientali, evocando con forza il vuoto e la frattura che ne derivano. Le colonne, simboli tradizionali di forza e resilienza, sono qui sostituite da forme vuote sostenute da impalcature, enfatizzando la precarietà.

Vagoni carichi di vetri rotti, lampadari frantumati– che alludono alle tre fedi abramitiche, visibili solo attraverso una nube di dolore – e suoni evocativi tracciano un percorso di lotta continua, mentre la luce, simbolo di speranza, fatica a illuminare un mondo ridotto a campo di battaglia.

Padiglione Etiopia: Lemn Sissay
Padiglione Etiopia | Lemn Sissay
Padiglione Etiopia | Lemn Sissay

L’Etiopia, alla sua prima partecipazione, presenta il progetto di Tesfaye Urgessa a Palazzo Bollani, all’interno della sezione Nucleo Contemporaneo. Le opere di Urgessa sono ispirate alla sua esperienza di tredici anni in Germania, dove ha lavorato come traduttore nei campi profughi.

Lemn Sissay

Molti pensano che le figure nei miei dipinti siano vittime, ma non è così. Racchiudono un’ampia gamma di emozioni, dalla fragilità alla sicurezza.

Il suo stile fonde tecniche tradizionali e moderne, con opere spesso caratterizzate da figure umane realistiche collocate in ambienti surreali o astratti, creando un contrasto visivo che stimola la riflessione.

Padiglione Paesi Nordici: Lap-see Lam con Kholod Hawash Tze Yeung Ho
Padiglione Paesi Nordici | Lap-see Lam con Kholod Hawash Tze Yeung Ho
Padiglione Paesi Nordici | Lap-see Lam con Kholod Hawash Tze Yeung Ho

Monumentale ed elegante è The Altersea Opera, ideata da Lap- See Lam in collaborazione con il compositore Tze Yeung Ho e l’artista tessile Kholod Hawash. Installazione audio-visiva che esplora temi di sradicamento, appartenenza e identità mutevoli. Al centro dell’opera vi è una scultura di impalcature di bambù, che dà forma a una nave spettrale ispirata alla Floating Restaurant Sea Palace, un simbolo di incontro culturale arrivato a Göteborg nel 1991.

Originario di Shanghai, il ristorante divenne un luogo d’aggregazione per la comunità cinese in Svezia, incarnando il senso di sentirsi stranieri in una terra che non è la propria. Le monumentali testa e coda del dragone, relitti della nave ormai in disuso, incorniciano la scena di questa narrazione onirica, un viaggio tra mito, memoria e dislocamento.

Padiglione Stati D’America: Kathleen Ash-Milby, Abigail Winograd
Padiglione Stati D’America | Kathleen Ash-Milby, Abigail Winograd
Padiglione Stati D’America | Kathleen Ash-Milby, Abigail Winograd

Non passa certo inosservato, sia per i suoi colori vibranti e intensi, sia per la potente intersezione di culture e identità che evoca. L’installazione presenta un linguaggio visivo ibrido che attinge alla storia americana, a quella indigena e queer, intrecciando riferimenti a sottoculture popolari, letteratura e tradizioni artistiche globali.

La scritta 1966 Civil Rights Act su una delle figure stabilisce un forte collegamento con i diritti civili e le questioni socio-politiche. L’esposizione trasforma il padiglione degli Stati Uniti in una manifestazione della visione radicalmente inclusiva di Gibson per il futuro, creando uno spazio dove l’arte indigena e un ampio spettro di espressioni e identità culturali diventano il cuore pulsante dell’esperienza americana.

Padiglione Venezia: Giovanna Zabotti
Padiglione Venezia | Giovanna Zabotti
Padiglione Venezia | Giovanna Zabotti

A chiusura di questo percorso della Biennale Arte 2024, non poteva mancare un focus sulla città che ospita l’evento: Venezia. Crocevia di culture e identità, la città lagunare diventa essa stessa un simbolo del tema di quest’anno, Stranieri ovunque.

Il Padiglione Venezia propone una riflessione profonda e personale sul concetto di casa con l’opera Sestante domestico. Qui, la familiarità si intreccia con l’esplorazione, suggerendo che, in un mondo in perenne trasformazione, la casa sia un luogo da ritrovare piuttosto che un punto fisso.

Il sentirsi a proprio agio è senza dubbio una sensazione, ma spesso, nell’immaginario comune, è legata a un luogo o a diversi luoghi in cui ci sentiamo liberi di essere noi stessi. Questo padiglione, con il suo linguaggio delicato e poetico, sfida il visitatore a ridefinire la propria idea di casa come spazio mentale e affettivo, oltre i confini materiali e fisici.

foto e testi di Lorenza Bisbano e Giuseppe Sciabica

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