Bergamo, la riqualificazione del Circolino Città Alta

di Giacomo Casarin

La sala simbolo dell’ex chiesa di Sant’Agata a Bergamo è il sottotetto, dove adesso si può ammirare una volta affrescata. Prima non era così. Infatti, tutti nella Città Alta sanno che la chiesa non era affatto una chiesa. O, meglio, per più di un secolo è stata il carcere della città, poi chiuso negli anni Settanta. Adesso, grazie al progetto di recupero del complesso, «è stato possibile distruggere tutto ciò che l’uomo ha impropriamente aggiunto all’edificio originale, in modo da riportare alla luce la bellezza». Sono le parole di Aldo Ghilardi, presidente della Cooperativa Città Alta, che ha commissionato la riqualificazione.

 

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La facciata dell’ex chiesa
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Sezione longitudinale in 3d

 

«Uno dei primi interventi di progetto è stato il restauro dei bellissimi medaglioni affrescati sulla volta del tetto. Nessuno si sarebbe immaginato di trovare spazi e pitture del genere, perché noi tutti siamo stati ancorati all’immagine del carcere. Un inciampo della storia, che è invece legata a doppio filo ai conventi dei frati Teatini. È questo il nostro obiettivo: riportare alla luce la storia, in modo da dare spazio alla comunità grazie a un luogo di incontro e cultura».

 

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La sala ristorazione nello spazio dell’ex chiesa
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La sala ristorazione, piu moderna, nello spazio dell’ex carcere

 

Un progetto, più storie

«Siamo tre liberi professionisti, ognuno con la propria storia: in questo progetto ognuno di noi sta portando le proprie idee e la propria esperienza». Si presentano così Paolo Belloni, dello Studio PBeB Architetti, Angelo Colleoni, architetto e urbanista, e Melania Licini, architetto. Sono loro il team di progettisti che ha firmato il recupero della chiesa di Sant’Agata a Bergamo. E il risultato che sta emergendo è molto positivo, considerando che il progetto consiste in un’interpretazione di un intervento storico rimaneggiato nel corso dei secoli, che ha avuto anche una funzione carceraria inseritasi in maniera decisamente pesante.

 

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Un medaglione riaffiorato dalla volta dell’ex chiesa

 

«Ovviamente, sono state necessarie delle analisi storiche preventive», spiega Colleoni. «Ma il progetto si è subito orientato verso la necessità di rimuovere il più possibile tutto ciò che l’intervento carcerario aveva introdotto, per riportare alla luce quegli elementi di maggior valore architettonico inerenti alla chiesa e al monastero». Il complesso, infatti, è molto articolato, nonché un vero e proprio simbolo per la Città Alta. «Abbiamo iniziato questo lavoro a seguito di un concorso ristretto ad inviti organizzato dalla Cooperativa Città Alta», specifica Belloni. «La collaborazione tra noi nasce da un rapporto di amicizia e affinità di pensiero. Ci siamo candidati congiuntamente e ci è stato affidato il lavoro, che stiamo portando avanti in totale sinergia, sia per quanto riguarda l’indagine documentale sia per le pratiche edilizie, la direzione dei lavori e l’affinamento dei dettagli».

 

Lettura chiara

Proprio i dettagli sono da valutare con attenzione in funzione di una lettura chiara dell’intero progetto, vista la complessità degli spazi costruiti in diversi periodi storici. In poche parole, aggiunge Licini: «La parte centrale del complesso era una chiesa medievale di tre navate, poi ridotte a una sola. Conformazione, questa, voluta nel Seicento dai frati Teatini che, inoltre, ampliarono il complesso con la costruzione del convento adiacente. Poi, nell’Ottocento, Napoleone ne stravolse la struttura per inserirvi all’interno il carcere di Bergamo».

 

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il cortile dell’ex carcere (prima ex convento)
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I lavori di restauro della volta affrescata

 

La soprintendenza

L’obiettivo del progetto consiste nel recupero dell’impianto originale della chiesa e di parte del convento. Il primo piano rappresenta anche la prima parte terminata, che può dare un’idea di quello che sarà il risultato finale. «Le prossime tappe sono il piano terra e il salone all’ultimo piano, dove è centrale il tema del restauro», commenta Belloni. «Oltre a noi, progettisti e direttori dei lavori, fanno parte del progetto l’impresa di costruzione e una ditta che si occupa in modo specifico del restauro degli affreschi sulla volta dell’ultimo piano, ma anche degli intonaci e delle pareti grezze di mattoni a vista». Moltissime parti dell’edificio, infatti, sono state oggetto di un intervento delicato di restauro. E non sono stati pochi neanche i confronti con la Soprintendenza che, secondo Colleoni, «tende a storicizzare tutte le fasi storiche del complesso. Mentre a noi interessava valorizzare la parte monastica rispetto a quella del carcere, per non rendere troppo complicata la lettura dell’edificio».

 

Spazio verticale

Un tema su tutti: in origine l’antica chiesa consisteva in una navata a tutta altezza, ora difficile da percepire, perché in passato è stata divisa in tre piani per dare spazio  alle funzioni del carcere. Secondo gli architetti, la perdita maggiore, nel confronto con la Soprintendenza, è proprio non essere riusciti a far approvare una grande apertura a tutta altezza in modo che si potesse percepire l’intera verticalità dello spazio originario della chiesa, dall’ingresso della strada fino agli affreschi della volta barocca. «Tema che siamo riusciti a risaltare solo parzialmente con la realizzazione della scala, che andrà a bucare i solai», spiega Licini.

«Rimane così il senso dell’operazione da noi voluta, una traccia di quella volontà originaria di sezionare i solai per percepire lo spazio a tutta altezza», precisa Belloni. Ma un compromesso è stato raggiunto: «Una scelta che la Soprintendenza ha accettato, invece, è la progettazione di una terrazza derivata dalla sezione di una parte della copertura rivolta verso la corte dell’ex convento. In questo modo, il risultato è duplice: è stato recupero un sottotetto inutilizzabile e allo stesso tempo è stata aperta una vista sull’antico complesso e sul panorama circostante», riassume Colleoni.

 

Gli spazi e i materiali

L’idea dell’intervento è di recuperare l’intero monastero nella sua completezza, ma si tratta di un progetto lungo e oneroso: l’apporto degli architetti Belloni- Colleoni-Licini, per ora, si focalizza sull’ex chiesa e sul braccio sud del convento, con un costo di 4-5 milioni di euro. I lavori renderanno il piano terra un luogo dell’accoglienza: sarà uno spazio di ristorazione con bar. Ovvero, un punto di ritrovo per tutti, che è un po’ la funzione storica della Cooperativa Città Alta.

 

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La copertura dell’abside vista dall’interno

 

Il primo piano, invece, presenta ora due sale: una era la parte della chiesa dove sono stati recuperati i muri in mattoni e si potranno vedere le cappelle con gli affreschi originali, mentre l’altra ospitava le celle del carcere e prima ancora era una parte del convento. «Abbiamo voluto differenziarle», spiegano gli architetti. «Nella parte storicamente meno pregiata dell’ex carcere (ed ex ex convento) abbiamo voluto lasciare un segno deciso con l’utilizzo di un materiale moderno, ovvero delle grate in ferro nero che richiamano l’idea del carcere. In questa zona erano anche presenti i muri delle celle: li abbiamo demoliti e sostituiti con dei pilastri in acciaio nero, che sorreggono la terrazza al piano superiore.

 

Nella parte storicamente meno pregiata gli architetti hanno voluto lasciare un segno deciso con l’utilizzo di un materiale moderno come il ferro nero

 

La parte dell’ex chiesa, invece, ha un carattere diverso, conservativo, dove sono stati mantenuti i muri e le cappelle originali». Entrambe le sale sono ora adibite a ristorante, che ospita circa 200 posti ed è ufficialmente operativo da dicembre 2019. Infine, all’ultimo piano ci sarà la sala civica: uno spazio per ospitare tutte quelle attività organizzate dalla cooperativa, come congressi, mostre, concerti, assistenza ai ragazzi.

In tutto il progetto è stato deciso di limitare il più possibile i materiali. Gli architetti hanno deciso di introdurre un unico nuovo materiale, il ferro, declinato in diversi modi. Questo elemento caratterizza l’aggiunta, che si nota nelle lampade, negli infissi, nel volume dell’ascensore. Anche esternamente, in ingresso, la scelta è caduta su una soluzione nero cenere disomogeneo.

Sezione di tutto il complesso

 

 

Nell’immagine di copertina: gli architetti Melancia Licini, Paolo Belloni e Angelo Colleoni


Alta riqualificazione nella Città Alta

Il merito del recupero del complesso di Sant’Agata va, innanzitutto, ai 1.200 soci della Cooperativa Città Alta che finanziano i lavori. Tra cui c’è anche Massimo Mazza, l’architetto della cooperativa referente dello svolgimento del progetto. «Il Comune ci ha assegnato la concessione di utilizzo per 50 anni sia dell’ex chiesa sia di una parte dell’ex convento, che ci impegniamo a ristrutturare con le sole nostre forze», spiega Mazza, sicuro che il recupero del complesso sarà non solo una scoperta per tanti bergamaschi, ma anche un bel regalo.

 

Massimo Mazza recupero Bergamo
Massimo Mazza

 

Domanda. Quando entra in campo la Cooperativa Città Alta?

Risposta.  La cooperativa è nata nel 1981 sotto forma di classico dopolavoro, pensato per far ritrovare la comunità della parte superiore di Bergamo in un luogo d’incontro. Da allora il Demanio ha iniziato a concedere parte degli spazi agibili dell’ex carcere per organizzare queste attività dopolavoro. Un pezzettino alla volta la nostra cooperativa ha cominciato a ristrutturare tutto quello che era il piano terra. Per esigenze funzionali del carcere, infatti, il volume interno della chiesa era stato diviso in tre livelli, in modo da ottenere spazi per le celle e gli appartamenti delle guardie. Quando il Demanio ha ceduto la proprietà al Comune di Bergamo, quest’ultimo ha incominciato a cercare un soggetto che potesse lavorare sull’intero complesso. Oggi, attraverso il progetto della Cooperativa Città Alta, è possibile portare avanti la rivalorizzazione degli spazi dell’ex carcere, perché il Comune ci ha assegnato la concessione di utilizzo, per 50 anni, dell’ex chiesa e di una parte dell’ex convento.

D. In che cosa consiste la riqualificazione?

R. La riqualificazione è partita da una messa in sicurezza dell’edificio. Si tratta di un lavoro ingegneristico coordinato con un lavoro di restauro indispensabile. Sui pilastri e sulle murature siamo intervenuti strutturalmente, ma sempre con una grande attenzione verso l’idea originale di progetto, che è quella di tornare il più possibile all’immagine della struttura della chiesa. L’obiettivo è quindi quello di liberare gli spazi dalle interferenze del carcere per riportarli all’impianto originale, attraverso una grande cura dei particolari. I lavori stanno ora prendendo in considerazione l’ex chiesa e una parte dell’ex convento, ma come cooperativa ci siamo impegnati a sistemare anche tutti i tetti e il campanile.

D. A che punto sono i lavori?

R.  Entro la fine di aprile dovremmo consegnare il piano terra e la zona di accesso al giardino. Scavando, abbiamo trovato delle tombe e un muro di epoca romana, e ora stiamo organizzando un’area archeologica, che sarà aperta al pubblico probabilmente dopo l’estate. Per metà maggio, invece, dovrebbe es sere pronta anche la sala civica. Per la fine dell’anno saranno finiti la maggior parte dei lavori, ad eccezione dei tetti e del campanile, che ha bisogno di un consolidamento più complesso.

D. Qual è stata la parte più entusiasmante del restauro finora?

R. Di sicuro, scoprire alcuni elementi che ipotizzavamo potessero ancora esistere, ma che non potevamo pensare sarebbero stati così belli. Quando abbiamo liberato le tre cappelle della chiesa, in una c’era un bellissimo affresco semplicemente tamponato, che nessuno aveva più visto da qualche centinaio di anni. Al piano terra, invece, stanno emergendo tombe, due nicchie con affreschi, e abbiamo trovato fissate al muro delle lastre in pietra arenaria, con alcune scritte incise, che facevano parte del vecchio pavimento della chiesa. Ma penso che la parte più bella in assoluto sarà quella dell’ultimo piano con i medaglioni affrescati, i quali sono stati riscoperti e restaurati, anche se all’epoca del carcere erano stati trafitti dalle canne fumarie delle stufe delle guardie.

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