Assemblea Ance 2024: la relazione prospettica di Federica Brancaccio

La squadra Ance nei saluti a fine assemblea

Il tema della prospettiva come motore contro la paura del futuro, al centro dell’Assemblea pubblica di quest’anno che si è tenuta oggi all’Auditorium Parco della Musica di Roma di fronte a una platea gremita di esponenti del mondo politico, economico e imprenditori del sistema Ance, venuti da tutta Italia.

Nel corso dell’evento la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, ha toccato tutti i temi più caldi del settore delle costruzioni a partire dal Superbonus dove sono a rischio molti lavori, allarme pagamenti e sicurezza sul lavoro, decreto Salva Casa e deficit di concorrenza nel mercato delle opere pubbliche.

All’evento sono intervenuti oltre alla Presidente dell’Ance e per un saluto a sorpresa il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, il Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone, il Presidente di Italia Viva, Matteo Renzi e Francesco Rutelli già sindaco di Roma.

Relazione della presidente Federica Brancaccio

Questa bellissima scenografia interpreta il tema di respiro e di visione al quale abbiamo voluto dedicare quest’anno la nostra assemblea: la prospettiva. Non è stato facile. Nonostante tu gli indicatori economici positivi, scenari internazionali sempre più cupi, un’economia europea in difficoltà, la perdita di certezze stanno determinando un clima di preoccupazione e angoscia.

Sembra un nuovo Medioevo: paure e insicurezze che rischiano di minare la nostra fiducia e quella delle giovani generazioni. I gravi incidenti avvenuti di recente nei cantieri, gli eventi di dissesto idrogeologico, l’allarme sismico.

Anche i repentini cambiamenti normativi relativi al nostro settore o i mancati pagamenti alle imprese rendono difficile, se non impossibile, volgere lo sguardo al futuro.

Ma noi non rinunciamo, farlo vorrebbe dire accontentarsi. Torniamo quindi a attingere alle esperienze dei grandi maestri, quelli del nostro Quattrocento, figli di tempi non meno difficili e incerti, che grazie al loro genio ci hanno regalato un modo diverso di guardare, andando in profondità, superando le apparenze.

Gli inventori della prospettiva ci hanno lasciato in eredità uno spazio nuovo, tridimensionale, pensato per l’uomo, grande protagonista di quella stagione di rinnovamento. Pensare in prospettiva significa immaginare soluzioni, ambienti e percorsi per adattarsi in modo flessibile e continuo ai bisogni delle persone e ai cambiamenti sempre più veloci e imprevedibili della società.

Significa superare la trappola dell’emergenza, i provvedimen tampone, le misure a tempo. Significa perseguire obiettivi comuni e condivisi per il bene collettivo. Pensare in prospettiva significa avere fiducia nelle imprese e nelle grandi opportunità che possono derivare dall’alleanza tra pubblico e privato. Mai antagonisti ma formidabili alleati.

Se c’è un termine economico che sembra cucito apposta in chiave prospettica, quello è “investimento”: trasuda fiducia e speranza. Sarà per questo che ogni volta che la fiducia viene meno vengono taglia gli investimenti. Si ha paura di immaginare il futuro.

Ma è sempre stato così? L’Italia, per decenni, è stata il luogo in cui investire dava frutti che tutti potevamo cogliere. Avevamo un sistema sanitario all’avanguardia, una rete infrastrutturale tra le più sviluppate d’Europa, un modello di istruzione, che ha permesso balzi enormi nella formazione di competenze avanzate.

Con uno stipendio medio si riusciva a sostenere un mutuo, un affitto e condurre una vita dignitosa. Nonostante anche allora ci fosse un clima tutt’altro che sereno (pensiamo al terrorismo, alla guerra fredda, alla crisi energetica), la fiducia e la speranza erano tutt’altro che scalfite.

Ospiti | Ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini

Paura e tagli

Dagli anni 2000 in poi, però, è arrivata la paura del futuro. Ricordiamo ancora con quanta ansia è stato vissuto il passaggio del Millennio. Ci siamo convinti che l’unica strada possibile da percorrere per il futuro fosse quella dei tagli: tagli alla sanità, tagli all’istruzione, tagli alle infrastrutture, all’assistenza. Senza una scelta sulle priorità e sulle spese da salvaguardare. Tagli lineari e via. Si è arriva perfino al blocco strumentale del pagamento dei lavori.

Per tenere i conti in ordine si sono fatte fallire migliaia di imprese. Ne abbiamo fatto le spese tutti: pubblica amministrazione indebolita e demotivata, servizi più scadenti, arretramento del Paese.

Siamo andati avanti così per oltre un decennio. Poi finalmente a partire dal 2017 c’è stata la creazione di una strategia pluriennale, che ha stanziato quasi 150 miliardi di euro fino al 2034, dei quali il 70% per opere pubbliche. Un modo per blindare il bilancio dello Stato per il futuro e recuperare le gravi conseguenze degli anni di crisi. Un progetto che però è stato ridimensionato per fare fronte, ancora una volta, alle continue emergenze. Esattamente l’opposto dell’obiettivo che ci si era posto.

Le conseguenze di quello che è passato alla storia come il periodo del rigore (che poi tanto rigore non è stato se guardiamo agli sprechi e alle spese inutili) sono state analizzate per anni e giudicate in modo negativo. Eppure, sembra di tornare a quel clima. A quelle immagini.

Un grande freddo sta calando sulle nostre aspettative di crescita e sviluppo. Stanno tornando in auge modelli economici che pensavamo archiviati per sempre: spending review indiscriminata, tagli lineari agli investimenti. La voce del Fmi interpreta perfettamente il nuovo clima che aleggia sui mercati.

Ospiti | Il ministro del lavoro Marina Calderone

L’indiziato: il superbonus

Una capriola interpretativa davvero notevole. Il più grande indiziato di sperpero pubblico degli ultimi anni è stato il Superbonus 110%. Sono stati usati toni aspri e talvolta poco istituzionali, che hanno evidenziato solo gli aspetti negativi di una misura che nel biennio 2021-2022 ha consentito all’Italia di crescere a ritmi superiori a quelli della Cina (+12,3 contro il loro +11,3).

A che prezzo si dirà. Certo troppo alto e con grandi sprechi che però potevano essere evitati se fossimo stati ascoltati. Abbiamo chiesto, fin da subito, regole per impedire alle imprese non qualificate l’accesso alle risorse.

Allo stesso modo siamo stati fautori di un sistema di controlli, pesantissimo per le imprese, però necessario a ridurre al massimo le frodi. Non a caso il numero maggiore di irregolarità riguarda i bonus per i quali questi controlli non erano obbligatori.

Il resto è storia recente di continui interventi legislativi che hanno portato a un guazzabuglio normativo, per giunta retroattivo, e siamo ancora in attesa di capire come andrà a finire per i contratti già stipulati.

E intanto ci sono già 7 miliardi di lavori fermi che rischiano di lasciare scheletri urbani. Con gravi ripercussioni economiche e sociali sulla vita di cittadini e imprese. Pensiamo a cosa accadrebbe se i contratti che regolano vita e lavoro di ognuno di noi potessero essere stravolti in continuazione senza il nostro assenso: dormiremmo sonni tranquilli?

Ci abbiamo provato a cercare un dialogo per soluzioni condivise; ci abbiamo provato a capire lo sforzo che il Governo ha dovuto fare per riportare i conti sotto controllo. Perché non siamo ultrà di squadre diverse. Chiudiamo adesso con il passato affidandoci a studi seri e indipendenti che ci dicano finalmente cosa ha funzionato e cosa certamente no.

Ospiti | Francesco Rutelli

Case green

Questo ci aiuterà in prospettiva perché, se la stagione del superbonus è finita, quella della riqualificazione degli edifici è appena iniziata. La direttiva Case green, appena approvata in Europa, offre questa opportunità. Dobbiamo saperla cogliere senza more.

Bene certo ha fatto l’Italia a spingere per una revisione della proposta iniziale che appariva velleitaria e ideologica. Il testo definitivo è un buon compromesso sul quale dobbiamo lavorare tutti. L’obiettivo è comune, ambizioso e necessario. Portarlo a termine è un impegno che abbiamo preso con le prossime generazioni.

Non esiste una ricetta unica: serve un ventaglio di strumenti e soluzioni che ci consentano di raggiungere l’obiettivo. Noi ci stiamo già lavorando e siamo pronti a mettere a disposizione di tutti le nostre analisi e proposte.

Certo le risorse servono: Europa e Stato devono fare la propria parte per sostenere la spesa delle famiglie e soprattuttto di chi non ha i mezzi per farvi fronte. Allo stesso tempo banche e operatori dovranno immaginare strumenti finanziari innovativi.

I vantaggi saranno enormi per tutti in termini di sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Una casa meno inquinante potrà far risparmiare fino alla metà della bolletta. Spesa e anche debito, necessari per assicurarci un futuro. Debito rivolto alla crescita, no assistenzialismo, né selva di incentivi.

Pnrr e divari territoriali

Prendiamo esempio dal Pnrr, nato come risposta alla più grande crisi economica e sociale degli ultimi 80 anni, capace di liberare tante energie e riavviare una macchina amministrativa arrugginita. È stato un lavoro lungo e faticoso che ha visto l’Italia protagonista, anche con Governi e maggioranze diverse, nella creazione e nell’attuazione di un grande progetto europeo di sviluppo sostenibile nell’interesse di tutta la collettività, con obiettivi chiari e tempi perentori.

Importante ora, non tradire lo spirito di partenza. La riprogrammazione con elementi di buon senso, ma anche di preoccupazione.

Dal Pnrr sono fuorusciti circa 15 miliardi: quasi la metà riguarda il Mezzogiorno. Una scelta dovuta all’inevitabile ritardo di molti progetti del Sud, ma che sa poco di prospettiva e che rischia di renderlo sempre più zavorra.

Ospiti | L’on. Matteo Renzi

Se non facciamo nulla per ridurre ora il divario tra i territori, pensiamo a cosa accadrà quando dovremo a uare la riforma dell’autonomia differenziata. Grazie allo sforzo del ministro Fitto alle opere tolte dal Piano sono state garantite altre fonti di finanziamento.

Ma uscire dalla corsia preferenziale, in Italia, significa mettersi in coda e aspettare pazientemente il proprio turno. Ci possono volere anni! Il Pnrr deve rappresentare una spinta e non l’ultima spiaggia. Non agiamo solo con l’acqua alla gola! Costruiamo oggi una nuova grande proposta per la crescita di domani. Prepariamoci per tempo, una buona volta! Altrimenti, dopo il 2026, rischiamo di fare la fine di Cenerentola allo scoccare della Mezzanotte e, con il vestito di stracci, senza carrozza e nemmeno il Principe.

Patto di stabilità

Paradossalmente il nuovo Pattoo di stabilità potrebbe aiutarci. Chiede ai Governi di guardare più lontano e fare programmi di spesa che tengano a bada il debito pubblico, promuovendo, allo stesso tempo, e finalmente, crescita economica e riduzione delle disuguaglianze sociali.

Sfida difficile, che va resa possibile con regole semplici e parametri meno ragionieristici. Ma anche un bel banco di prova per un Paese che ha scarsa abitudine a programmare impegni a lungo termine. Lo dimostrano i fondi strutturali europei per i quali arriviamo sempre all’ultimo e siamo costretti a far ricorso a vecchi progetti.

L’importante è non diventare schiavi delle ansie di chi preferisce vedere il debito calare velocemente, piuttosto che far crescere il Pil. Una cosa non esclude l’altra, anzi. Le polemiche delle scorse settimane che hanno visto i sindaci lamentarsi per i tagli a chi ha ricevuto più fondi del Pnrr testimoniano che siamo ancora lontani dall’aver trovato un giusto equilibrio tra risparmio e crescita.

Gli stessi comuni che a oggi hanno le migliori performance di spesa delle risorse del Pnrr. Invece di guardare in prospettiva, rischiamo di voltarci indietro. Sia chiaro: è giusto porre attenzione a non sprecare risorse. Abbiamo il dovere di andare al di là di scelte puramente conservative.

Programma nazionale di lungo respiro

Chiediamo, dunque, al nostro Governo di promuovere un Programma nazionale di lungo respiro, le cui priorità dovranno essere considerate dall’Europa “fattori rilevanti ”, così come avviene ora solo per le spese militari, in modo da non incidere sui vincoli contabili.

Un nuovo Piano strategico che dovrà occuparsi di mobilità, connessione, sostenibilità, inclusione e servizi alla persona. E che consenta di prevenire il rischio idrogeologico e sismico, in tempi adeguati e nel rispetto dei territori coinvolti.

Il ddl sulla ricostruzione può fornire un importante strumento in tal senso, grazie anche alla preziosa esperienza quotidiana dei Commissari. Così come è necessario sviluppare la nostra rete portuale con norme e strumenti adeguati che ne consentano il rilancio e l’acquisizione di un ruolo sempre più strategico nel Mediterraneo.

Il momento giusto per lanciarlo è ora, così che possa diventare la colonna portante del prossimo Def che si definirà dopo l’estate. Un Piano che parta da una visione per le nostre città, per l’efficientamento energetico e la sicurezza degli edifici, per la sistemazione del territorio, per una rete sempre più efficiente di infrastrutture materiali e immateriali.

Obiettivi che vanno perseguiti con costanza e con misure adeguate, da qui ai prossimi 10, 20 anni. Dobbiamo prendere atto che le risorse pubbliche non basteranno: le necessità saranno superiori alle disponibilità.

Ospiti | Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini

Coinvolgimento dei privati

Non abbiamo quindi altra strada se non quella di coinvolgere i privati che possono fornire la spinta necessaria a far partire tanti progetti di sviluppo. Ma perché non riusciamo a farlo? Per coinvolgere capitali privati servono tempi certi e un quadro di regole moderno ed efficiente, che metta in sicurezza gli investimenti.

Fare partenariato: una collaborazione leale e chiara tra soggetti pubblici e privati finalizzata ad arricchire l’ambiente in cui tutti viviamo e lavoriamo. Fiducia e collaborazione che per la prima volta sono state inserite come principi guida del nuovo Codice degli appalti, entrato in vigore un anno fa.

Troppo spesso, invece, per esempio nella fase di cantiere, le proposte dell’impresa, vengono guardate con sospetto, respinte senza motivi, oppure costrette a seguire iter autorizzativi defatiganti.

Pensiamo al tabù della variante! Ecco perché è necessario apportare al Codice alcune modifiche: le nostre sono già pronte e raccolte per essere consegnate al Governo. Serve poi uno strumento applicativo semplice ed efficace e quindi un regolamento, un manuale d’uso dedicato ai lavori pubblici. Forse riusciremo così anche a evitare le continue deroghe e le procedure d’urgenza che sacrificano concorrenza e trasparenza, anche per interventi programmati da tempo.

I dati rilevano che oggi nelle opere pubbliche il 90% del numero degli appalti è senza vera concorrenza, che corrisponde in valore al 33% del mercato. Un problema che ora si avverte poco per il boom dei cantieri del Pnrr. Ma domani? Da programmare c’è ancora tanto.

Non esiste più un mondo nel quale si nasce e si invecchia nella stessa casa nella stessa città. Le distanze fra i luoghi di vita e di lavoro si misurano sempre più in tempi di percorrenza. Raggiungere una città lontana collegata dall’alta velocità è più facile che attraversare la propria regione. Bisogna estendere la crescita ad aree sempre più vaste, per evitare che tanti territori perdano competività perché privi dei collegamen necessari.

Lavoriamo quindi a un progetto di Reti europee che oltre alle aree metropolitane metta in relazione città e territori a rischio isolamento. Dai dati Istat emerge chiaramente che i comuni che hanno sofferto di più in termini di perdita di popolazione sono quelli definiti periferici: dove si impiega almeno un’ora per raggiungere i servizi principali. Tempi incompatibili con lo sviluppo della società contemporanea.

Crisi demografica

Il flusso demografico è una componente fondamentale da interpretare per farsi trovare pronti ad affrontare gli scenari futuri. Nel 2023 la popolazione in Italia si è mantenuta stabile solo grazie al saldo migratorio. Con una costante drammatica diminuzione delle nascite che non accenna a fermarsi (557mila nel 2008, 379mila nel 2023).

In 20 anni si sono persi 3 milioni di giovani in Italia. È come se Roma fosse sparita. A perdere popolazione è sopratutto il Mezzogiorno, da dove i giovani continuano ad emigrare, un termine che evoca vecchi scenari ma che si deve usare quando intere generazioni si sentono obbligate a partire in cerca di nuove opportunità.

La direzione è praticamente a senso unico verso le ci à del Centro Nord, che presentano maggiori opportunità di studio e di lavoro. Per mol giovani però par re non è una scelta, ma una necessità mo vata dall’assenza di prospettive vicino casa. Dobbiamo garantire loro il diritto a restare.

Esistono città che si stanno spopolando e altre che scoppiano. Vogliamo ragionare su come far restare i ragazzi a studiare e lavorare al Sud, visto che gli atenei del Mezzogiorno hanno perso 100mila studenti in 10 anni?

E allo stesso tempo garantire a chi vuole partire di farlo senza dover affrontare costi improponibili per un trasferimento che deve essere dettato dalla voglia di crescere e non dalla disperazione.

Negli ultimi dieci anni le case in affitto sono pressoché scomparse in quasi tutte le grandi città. Dopo anni di assenza di poli che capaci di valorizzare la proprietà immobiliare, tanti proprietari hanno deciso di approfittare degli affitti brevi.

Almeno 660mila appartamenti (più di tutte le abitazioni di Milano) sono spariti dal mercato delle locazioni tradizionali, al quale si rivolgono per lo più i giovani e le fasce meno abbienti. Stiamo trasformando i nostri centri storici in alberghi diffusi, i cittadini in ospiti, con tutto quello che comporta in termini di perdita di identità.

Le città vanno abitate altrimenti diventano non luoghi. Una prima risposta potrebbe essere data nell’ambito della Riforma fiscale, sostenendo un’offerta della locazione di tipo industriale, già molto diffusa all’estero, che incentivi l’ingresso di operatori professionali che oggi scontano una tassazione troppo elevata.

E nello stesso tempo dare avvio alla dismissione degli edifici pubblici non più utilizzati che con adeguate regole sui cambi di destinazione d’uso potrebbero essere facilmente trasformati in case, studentati e strutture a servizio delle famiglie.

D’altronde un edificio vuoto è un costo sociale oltre che economico. L’offerta abitativa deve rivolgersi anche a chi non può permettersela ai prezzi correnti. Per favorire l’inclusione ed evitare fenomeni di ghettizzazione, la quota di edilizia sociale all’interno di interventi destinati al mercato deve essere economicamente sostenibile.

Piano casa organico

La casa non può trasformarsi in uno status symbol, ma deve essere pensata come un servizio primario, adattabile alle diverse esigenze. Ci vuole flessibilità nelle regole, nella progettazione e un nuovo modo di concepire gli spazi.

Pensare a un Piano casa organico e inclusivo è un obie vo che non possiamo più rimandare. Risponde a un’urgente istanza sociale e potrebbe attivare una grande spinta economica.

La filiera del Made in Italy legata alla casa è una delle più prestigiose nel mondo. Facciamo vedere come si realizzano nuove case per i cittadini del Terzo Millennio recuperando suolo, convertendo edifici degradati in abitazioni sostenibili, usando la tecnologia per realizzare prodotti all’avanguardia.

È lo stesso Made in Italy che all’estero fa faville nel campo delle grandi opere di ingegneria e di sviluppo, quelle che ci rendono famosi in tutto il mondo. Per questo siamo stati chiamati a dare il nostro contributo nell’ambito del Piano Mattei voluto dal Presidente Meloni per rilanciare la crescita e i rapporti di partenariato con le nazioni africane.

È chiaro, anche questa volta, il ruolo strategico che gioca il nostro settore fuori e dentro casa. L’edilizia, lo abbiamo visto più volte, è un formidabile moltiplicatore di valore nell’economia nazionale se attivato correttamente.

Città

E quale funzione migliore se non quella di ridare vita, bellezza e funzionalità agli spazi urbani? Lo slancio di quella che, ormai quasi trent’anni fa, veniva definita come la stagione dei sindaci, protagonisti di un cambiamento fortemente voluto dai cittadini, è decisamente appannato. A frenarlo hanno contribuito tan fattori.

A cominciare da quel famigerato patto di stabilità interno, che speriamo non torni più, che ha di fatto impedito per circa un decennio a tutti gli enti locali di investire nel futuro.

In quegli anni, tra il 2007 e il 2016 gli investimen dei Comuni sono stati dimezzati ! Invece di freni, alle città serve ora una spinta ben indirizzata. Una strategia che punta a valorizzare le caratteristiche e le vocazioni di ognuna: metropoli, le città medie, piccoli borghi.

Diversifichiamo le offerte, sfruttiamo le tante qualità che hanno i nostri centri urbani. Prendiamo ad esempio i pensionati che in questi anni hanno scelto di trasferirsi all’estero grazie a regimi fiscali agevolati: non vediamo perché non potrebbero farlo anche nelle nostre belle località.

Una strategia che, però, deve poggiare su solide basi fiscali e normative. Siamo un Paese ostaggio di leggi nazionali ormai logore: la legge urbanistica è ferma al 1942, affiancata da un decreto del 1968 sugli standard.

Un vuoto al quale ha cercato di porre rimedio una vasta produzione normativa regionale che si è fatta interprete di nuovi modelli di sviluppo. Un tentativo che si è, però, scontrato con le regole nazionali: solo negli ultimi tre anni sono state impugnate 22 leggi regionali in materia edilizia e di queste 17 dichiarate incostituzionali.

Un conflitto di competenze che ha raggiunto l’apice nel caso di Milano, con le recenti inchieste penali che stanno paralizzando la città. Ecco cosa succede in assenza di una normativa statale chiara e certa.

Abbiamo quindi apprezzato le intenzioni del Governo di porre rimedio a questo problema che rischia di penalizzare lo sviluppo di tutte le città e non solo di Milano!

Rinnovare, demolire e ricostruire

Dobbiamo rinnovare il patrimonio edilizio esistente, sostituendo vecchi edifici, demolendo e ricostruendo: unico modo, questo, per recuperare nuovi spazi urbani e contrastare gli effe della crisi climatica in atto. Interventi che devono diventare ordinari e non eccezionali.

Giusto quindi pensare a soluzioni per aiutare le famiglie a migliorare le proprie abitazioni come fa il decreto Salva Casa voluto dal ministro Salvini. Ci auguriamo che il costo che i cittadini sosterranno per sanare queste piccole irregolarità sia destinato a interventi a favore della casa e della rigenerazione urbana.

Finanziamenti adeguati e stabili

Un primo passo al quale speriamo segua presto una politica che in Italia manca da quasi 70 anni. È più che mai urgente, poi, dotare il Paese di una legge con una chiara governance per la rigenerazione urbana e un Fondo unico con stanziamenti adeguati e stabili nel tempo.

Due elementi centrali delle proposte in discussione in Parlamento che speriamo non facciano la fine degli ultimi 76 tentativi falliti miseramente. La trasformazione, però, non può avvenire se gestita solo dall’alto. Deve essere una spinta costante di ciascuno di noi. Lo abbiamo visto percorrendo tutta l’Italia con il Festival di Città in scena, giunto alla seconda edizione e ora divenuto un modello anche da esportare grazie al ministero degli affari esteri.

Questa esperienza emozionante vede il coinvolgimento di tante forze ed energie che lavorano per e nella città. Esempi concreti e di successo. Vogliamo trasformarli in prassi ordinarie replicabili su ampia scala? Un altro fattore chiave per lo sviluppo sociale ed economico riguarda l’immigrazione.

Immigrazione e forza lavoro

Un tema che troppo spesso diventa oggetto di strumentalizzazioni ideologiche. Alcuni studi recenti dimostrano che la crescita degli Stati Uniti e della Spagna è stata sostenuta anche da un’immigrazione che sta assicurando manodopera e sviluppo demografico.

Da noi le misure previste per l’inserimento nel lavoro di immigrati regolari sono insufficienti, troppo rigide e allo stesso tempo permeabili alla criminalità. Un settore come il nostro ha bisogno di forza lavoro e può offrire opportunità a tante figure professionali diverse. Perché il cantiere è, da sempre, spazio di inclusione. Intanto noi ci siamo.

Con l’accordo che firmeremo a breve con le autorità tunisine, formeremo 2mila lavoratori qualifica da impiegare in Italia nel prossimo triennio. Siamo il primo settore a sperimentare questo nuovo modello, insieme alle istituzioni europee e nazionali. Grazie anche alla collaborazione tra le nostre associazioni territoriali e il mondo del volontariato sosteniamo programmi di integrazione dei rifugiati, dei senza fissa dimora e dei detenuti.

Attività impossibili senza l’apporto del nostro sistema bilaterale che assicura al standard di formazione. Un’eccellenza che permette e di raggiungere risulta importanti anche per il miglioramento della sicurezza nei cantieri e la riduzione degli incidenti sul lavoro, “uno scandalo inaccettabile per un Paese civile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze” come ha ricordato recentemente il Presidente Mattarella.

Lavoro e sicurezza

Il rischio zero non esiste ma ci dobbiamo provare! Cominciamo a rendere obbligatoria la formazione, così come presente nel contra o dell’edilizia, per qualsiasi operatore che entra in cantiere.

Dall’incrocio dei dati dell’Inail e delle nostre casse edili emerge che il 70% delle giornate infortunio in cantiere riguarda lavoratori senza contratto edile e quindi senza obbligo di formazione adeguata.

Riconosciamo al Ministro Calderone il merito di aver avviato un proficuo confronto con tutte le parti sociali e una seria riflessione sul tema della sicurezza, rafforzando anche il sistema dei controlli.

Qualificazione delle imprese

Ma noi vogliamo ancora di più. La patente a crediti interviene infatti dopo e in senso sanzionatorio, mentre noi chiediamo la qualificazione delle imprese edili anche per i lavori privati, come già avviene per i lavori pubblici.

Il modello che abbiamo in mente è quello di un’impresa qualificata, con una reputazione e un futuro da preservare. Un’impresa che sa garantire il risultato del proprio lavoro, riferimento per un’occupazione stabile e sicura e sinonimo di correttezza ed onestà.

Queste sono le nostre mprese, le uniche che possono guardare con fiducia al futuro. Non esistono modelli e categorie rigide. Anche le dimensioni di impresa non possono essere stabilite a prescindere, ma devono essere il frutto di strategie imprenditoriali.

In altre parole, se piccolo è una scelta bisogna sostenerla. Se invece è sintomo di assenza di prospettva, allora è un problema. Le nostre imprese da tempo sono costrette a adattarsi a condizioni estreme di mercato: prima asfittco e poi strabordante.

E senza una stabilità normativa e finanziaria. Negli ultimi anni le imprese del settore hanno avviato un percorso di crescita che le ha rese più forti, più strutturate, più moderne.

Da un’analisi sui bilanci delle nostre associate, emergono risultati lusinghieri: c’è stata una forte patrimonializzazione. Abbiamo investito nelle nostre imprese, dando prova di grande responsabilità. Ma è ora che questi risultati vengano tenuti in considerazione quando si calcolano i nostri range. Se i bilanci sono migliorati, troppe nostre imprese hanno comunque ancora il fiato corto.

Ci sono funzionari e decisori pubblici che pensano ancora che pagare in tempo e adeguare i prezzi quando il costo dei materiali sale sia un favore che si fa alle imprese. Difficile così riuscire a guardare lontano. I dati rivelano che la stragrande maggioranza delle imprese non è pagata nei tempi previsti, fino a due anni di ritardo! Per il caro materiali si è ancora in attesa dei ristori del primo semestre 2022.

Ci viene il dubbio che quei soldi non ci siano più. E per il 2024 pare siano già finiti. Così si rischia la paralisi. È fin troppo scontato che le imprese possono crescere, incrementare le retribuzioni e investire solo se hanno prospettive solide.

Tecnologie digitali e sostenibilità

Le nuove frontiere delle tecnologie digitali e della sostenibilità possono offrire una grande mano in tal senso. Ma ci vuole un quadro chiaro di regole che sgombri il campo dalle paure e ci permetta di coglierne tutte le opportunità. A cominciare dall’esigenza di conciliare lavoro e vita privata con soluzioni innovative e flessibili su orari, turni e trasferte. Ci sono già molte imprese che stanno sperimentando nuove organizzazioni del lavoro con successo.

E altre si apprestano a farlo. Sono e saranno queste le uniche in grado di attrarre i giovani talenti. L’Intelligenza artificiale, inoltre, può migliorare la produttvità e aiutarci nella pianificazione, nella gestione del rischio e nella valutazione dell’impatto che un intervento ha sul territorio e sulla collettvità.  Un aiuto che, peraltro, non potrà mai sostuire il lavoro di cantiere.

L’Associazione ha deciso con convinzione di investire concretamente per sostenere il settore in questa sfida. Ma deve farlo anche l’amministrazione: siamo frenati da procedure ferme al Novecento. In una società in cui la competitività si misura soprattutto sulla quantità di dati di cui si dispone non è pensabile l’assenza di una piattaforma digitale dedicata alle costruzioni.

Uno strumento che chiediamo da tempo e che ora appare quanto mai urgente per garantire qualità e trasparenza. Allo stesso modo occorre incentivare lo sviluppo dell’economia sostenibile che non può essere solo una bandiera, lasciata alla volontà dei singoli. Deve trasformarsi in prassi industriale e quindi diventare fenomeno di massa.

Occorrono, dunque, strumenti operativi per supportare le imprese, soprattutto le più piccole, a sviluppare nuove competenze e capacità. Il decreto sugli inerti al quale sta lavorando il viceministro Gava va in questa direzione. Investire nella sostenibilità significa investire nel bene comune: è una responsabilità collettiva, un imperativo morale e strategico. Ma è anche una questione di sicurezza nazionale, perché siamo un Paese povero di materie prime e particolarmente vulnerabile dal punto di vista ambientale. Ed è per questo che i costi della sostenibilità devono essere riconosciuti e ripartiti fra tutti gli attori coinvolti.

Imprese virtuose

Premiamo le imprese virtuose. Ance è pronta a raccogliere queste sfide e ad accompagnare cittadini e imprese in questo processo anche grazie alla forte ramificazione sui territori e alla vocazione di cerniera sociale. Come emerge chiaramente anche dal cortometraggio che abbiamo realizzato con esempi di rigenerazione urbana, capace di restituire ai cittadini spazi fondamentali di comunità.

Spazi prima abbandonati al degrado e all’incuria o, peggio ancora, ostaggio di criminalità e malaffare e nei quali oggi invece si può sognare un futuro. Sono giorni importanti questi. La riunione del G7 in Puglia si è appena conclusa e un nuovo parlamento europeo è stato eletto.

Speriamo che la nuova legislatura sappia rispondere maggiormente ai bisogni e agli ideali dei cittadini. L’Europa non è altro da noi. È lì che si devono costruire le premesse per un futuro di benessere e crescita diffusa. Ed è lì che noi guardiamo con attenzione sempre maggiore grazie anche alla presidenza della Fiec che un mese fa è stata affidata al nostro Piero Petrucco.

Non sottoovalutiamo il grande astensionismo che ha caratterizzato la tornata elettorale italiana. Sa tanto anche questo, di sfiducia e rassegnazione. Ci occorre tutt’altro. A volte ci concentriamo sul particolare: la norma, il cavillo, il comma, l’emendamento. Occorre tu ’altro: coraggio e determinazione.

Quello che occorre è la prospettiva. I prossimi mesi sono cruciali per il nostro futuro. Alle istituzioni impegnate in queste ore anche nei Consigli europei dedica ai tanti temi strategici, rivolgiamo un appello accorato. Chiediamo loro di affrontare tutte le decisioni con lo stesso spirito con il quale i nostri ragazzi affrontano il loro domani.

Come quando dopo aver contratto un debito, magari trentennale per la propria casa o per costruirsi un percorso professionale, brindano e festeggiano. Perché per loro quel debito non è zavorra, ma uno strumento per crescere. Un debito buono. Che ha il sapore di speranza e di prospe va.

Se sapremo imitarli in questo coraggio allora avremo agito per loro e non solo per noi stessi. “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni” A.E. Roosevelt

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