Architettura post-covid per l’ospedale del futuro

L’emergenza a causa della pandemia di coronavirus ha messo in grave crisi l’intero sistema sanitario. In particolare, gli ospedali hanno avuto a che fare con un elevato numero di presenze al pronto soccorso e una richiesta di letti per malattie infettive mai affrontate negli ultimi anni. Infatti, i casi di covid-19 hanno saturato i dipartimenti di emergenza e le unità di terapia intensiva e gli ospedali hanno dovuto adattare lo spazio disponibile per ottenere rapidamente posti letto.

La pandemia ha messo in luce le criticità strutturali e organizzative delle strutture sanitarie evidenziando la grande carenza di flessibilità e resilienza, e la scarsa efficienza con cui sono riusciti ad affrontare l’ondata imprevista di pazienti. Infatti, durante l’emergenza molti ospedali hanno presto esaurito lo spazio e le risorse utili per fronteggiare due grandi aspetti dell’emergenza: trattare pazienti con una grave sintomatologia e arginare la diffusione del virus tra degenti, visitatori e operatori sanitari. In aggiunta, la mancanza di una rete della salute ben strutturata sul territorio ha fortemente influito sulla situazione.

Per poter affrontare l’emergenza, progettisti e decision-maker si sono affrettati a realizzare rapide soluzioni di conversione di strutture alberghiere, centri sportivi e parchi cittadini in aree sanitarie rivelando una serie di difficoltà dovute all’impossibilità strutturale di delocalizzare le aree intensive dall’organismo ospedaliero. Buona parte delle attività di contrasto del covid-19 sono pertanto state progettate sul campo con soluzioni ad-hoc ed estremamente variegate secondo le specifiche esigenze del singolo ospedale, dipartimento o area funzionale.

La mancanza di una strategia unitaria non è solo da ricercarsi nella complessità del tema emergenziale, ma soprattutto nell’elevata complessità dell’architettura ospedaliera. Infatti, per dimensioni e volumi di attività, l’ospedale è assimilabile a una città caratterizzata da stratificazioni di reti di servizi che, con modalità e finalità specifiche differenti, si distribuiscono in tutte le aree interne ed esterne.

In generale, lo stato di conservazione degli ospedali versa però in condizioni critiche, con particolare riferimento alla situazione italiana. Si stima infatti che buona parte del parco ospedaliero abbia esaurito il suo ciclo di vita e oltre la metà non sia adeguato ai nuovi modelli organizzativi. Questo stato di obsolescenza ha infatti contribuito a complicare ulteriormente la gestione di questa particolare pandemia.

Durante l’emergenza sanitaria e in sinergia alla trasformazione organizzativa, gli ospedali si sono concentrati su diverse strategie, tra cui la definizione di aree cuscinetto tra reparti, la divisione tra zone contaminate e non, la trasformazione di spazi high care con impiantistica avanzata, come sale operatorie per interventi elettivi posticipati, la realizzazione di aree di vestizione e decontaminazione per gli operatori sanitari, la creazione di nuovi volumi con tecnologie prefabbricate ove presenti superfici libere ben connesse alla piastra sanitaria e la rifunzionalizzazione di ambienti, raramente già predisposti (spazi polmone) o più frequentemente da attrezzare per l’emergenza (come palestre, parcheggi, ecc.).

sant-orsola-bologna
Il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, con all’esterno una tenda sanitaria allestita per l’emergenza covid 19

 

Un altro aspetto fondamentale è la trasmissione e diffusione del virus negli ambienti sanitari. La mancanza di dati e protocolli scientificamente validati ha imposto a ciascun ospedale di adottare soluzioni ad hoc, a volte basate su modelli di precedenti epidemie. Per far fronte a queste situazioni infatti l’applicazione di rigidi protocolli per il controllo delle infezioni nei corridoi, nelle soglie chiave come le entrate può essere fondamentale per gestire al meglio l’operatività del personale che può essere facilmente soggetto al contagio. In generale, come in molte altre sfere e attività economiche, questa pandemia ha accelerato tutti quei processi di innovazione e digitalizzazione dello smart hospital.

Il tema della cura da casa, l’ausilio di smart device per il dialogo con il medico e l’uso pervasivo di app per monitorare alcuni parametri di salute, sono solo alcune delle tendenze che da ora entreranno necessariamente nella quotidianità. Allo stesso modo l’ospedale, che a fronte di questo graduale processo di dematerializzazione e delocalizzazione delle attività clinico-diagnostiche più smart, si proponeva come centro di altissima specialità per il trattamento e la cura di pazienti acuti, per la ricerca clinica e sperimentale di alto livello, per la diagnostica e le operazioni più complesse, non fa altro che riaffermare questa sua vocazione in termini ancora più forti. Inoltre, in una prospettiva di era post-antibiotica o comunque di eventuali pandemie a carattere altamente infettivo, l’ospedale dovrà sempre di più riflettere sul suo ruolo di promozione e protezione della salute in particolar modo verso gli utenti più fragili.

In conclusione, alla luce della recente pandemia e delle molteplici soluzioni e sperimentazioni proposte, l’ospedale del futuro dovrà essere un ecosistema resiliente al cambiamento e capace di proteggere la salute degli utenti, al mutare delle esigenze sociali, economiche, ambientali ed epidemiologiche del contesto in cui è inserito. Si rivela fondamentale, inoltre, promuovere azioni di monitoraggio per il miglioramento della qualità attraverso strumenti di valutazione basati sulle evidenze scientifiche per poter sviluppare una nuova progettualità per l’ospedale futuro e futuribile.

 

di Stefano Capolongo e Marco Gola, Politecnico di Milano (da YouBuild 17)

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.