Abbattimento delle Dighe di Begato (Genova):
cura drastica per rigenerare il tessuto urbano

Begato, grande complesso di edilizia residenziale pubblica di Genova, nato nei primi anni Ottanta in piena emergenza abitativa (realizzato a partire dal 1984), era diventato in città un simbolo di ghettizzazione e di stigmatizzazione negativa inambito urbano. L’ambito più grande e più impattante (20 piani) denominato Quartiere Diamante era soprannominato Diga, proprio a voler sottolineare la sua posizione ortogonale rispetto alla vallata. Taluni, per evidenziare le due parti (e i relativi colori prevalenti) distinguevano fra le abitazioni della Diga Rossa e quelle accanto della Diga Bianca, inizialmente unite tramite due collegamenti pedonali aerei all’undicesimo e al ventesimo piano (scarsamente utilizzati e poi demoliti).

Situato nell’Alta Val Polcevera, in un’area circoscritta tra le zone di Bolzaneto, Teglia e Rivarolo, il quartiere prende il nome dalla piccola frazione rurale di Begato, sulle cui colline si estende il Settore 1 con edifici più bassi. Se si escludono i quartieri di Sant’Eusebio, Granarolo e Quarto, gran parte dei grandi interventi è realizzata a Ponente (oltre a Begato: Voltri 2, Ca’ Nuova, Pegli 3) provocando in quasi tutti i casi un profondo snaturamento fisico, morfologico dell’identità dei luoghi.

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Immagini che illustrano l’impatto delle Dighe di Begato. In totale sono stati demoliti 290mila mc di fabbricato, utilizzando la stessa gru, da 60 metri di altezza e dal peso di 220 tonnellate, che ha abbattuto anche le Vele di Scampia. Foto di Alessio Bixio, courtesy Comune di Genova
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Per la demolizione è stata usata la tecnica detta ‘strip-out’, operando una demolizione selettiva che individua i materiali pericolosi e consente di riciclare i materiali utili. Foto di Alessio Bixio, courtesy Comune di Genova

Ora le Dighe non ci sono più: a fine 2021 si è completata la demolizione voluta da Regione Liguria, Comune di Genova e Arte (Azienza Regionale Territoriale, ex Iacp). Le famiglie e gli abitanti (in ampia percentuale seguiti dai servizi sociali e oggetto di altri interventi assistenziali e di politiche pubbliche) sono stati progressivamente ricollocati in altro patrimonio abitativo pubblico disponibile (in prevalenza di Arte e del Comune di Genova). Il processo di coinvolgimento e di ascolto ha visto gli assegnatari sostanzialmente disponibili a spostarsi nelle nuove abitazioni (anche in altri quartieri della città), altri appartamenti erano da tempo vuoti in vista dell’abbattimento previsto, di cui si era già parlato durante l’amministrazione del sindaco Marta Vincenzi (2012-2017).

Portato a esempio di sperimentazione edilizia in macrostrutture ed edifici alti, progettato dall’architetto Piero Gambacciani, l’insediamento è nato con l’obiettivo di realizzare molte abitazioni (circa 500 alloggi) in breve tempo e con costi limitati in piena emergenza sfratti e a posteriori dell’emanazione della legge 392 del 1978 che aveva introdotto l’Equo canone. Nella seconda metà degli anni Settanta, Genova era ancora un importante polo industriale che attirava, anche se in misura minore rispetto al precedente decennio, popolazione dal Meridione, dalle aree interne della Liguria e dal Basso Piemonte, a cui sono seguite, a partire dai primi anni Ottanta, diverse crisi aziendali procurando instabilità economica e sociale.

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Il quartiere ha avuto, fin da subito, una storia molto travagliata. I meccanismi selettivi di accesso hanno concentrato in questi edifici fenomeni cumulativi di disagio dal punto di vista economico, sociale e occupazionale. Il tutto si è sommato a problematiche di degrado delle strutture edilizie, di bassa qualità abitativa, e degli spazi pubblici, l’assenza o la lontananza dei servizi di base (seppur potenziati negli ultimi anni) e vari problemi di gestione e sicurezza. Negli anni Novanta e Duemila le Dighe hanno dimostrato vari fattori di crisi e sono salite spesso all’onore delle cronache cittadine per episodi di micro-criminalità, occupazioni abusive, deposito di rifiuti (anche auto e motorini abbandonati), complessità di diverso tipo nel pagamento di spese e canoni, morosità. Inoltre, come in altri quartieri di edilizia residenziale pubblica, il mancato turnover produce un innalzamento dell’età media degli assegnatari.

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Una porzione svuotata delle Dighe di Begato pronta per essere demolita. Foto di Alessio Bixio, courtesy Comune di Genova

Il tema dell’abbattimento delle Dighe di Begato è entrato ciclicamente nel dibattito pubblico e politico cittadino, è stato oggetto di concorsi e laboratori universitari, ma non aveva mai avuto pratica concretizzazione. Resta da chiedersi se può trattarsi di un modello di intervento replicabile in altri grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica a Genova che, però, non evidenziano problematiche così accentuate. Tali ambiti si sono sviluppati nella prima metà degli anni Ottanta in attuazione delle previsioni del piano regolatore vigente, attraverso i diversi regimi di edilizia sovvenzionata, convenzionata e agevolata e questo mix assicura una migliore tenuta sociale.

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Istantanea scattata dopo la prima fase della demolizione delle Dighe a Begato, che, iniziata nel 2020, si è conclusa nel 2021. Foto di Alessio Bixio, courtesy Comune di Genova

Per i grandi quartieri residenziali della città occorre un ribaltamento di prospettive, non devono essere considerati solo come un problema, talvolta nascosto e debolmente tematizzato, ma possono rappresentare anche una ricchezza potenziale e in gran parte inesplorata per mettere in atto processi di riqualificazione fisica e rigenerazione di tipo virtuoso. Ovviamente, occorrono modalità di azione diverse rispetto alle azioni pensate per altre parti di città: possono rappresentare un’occasione per sperimentare nuove linee e tipologie di intervento, ridefinire modalità di risoluzione dei problemi e favorire uno sviluppo più equilibrato e sostenibile nel rapporto fra centro e periferia e una migliore competitività dell’intero sistema città.

Le periferie rappresentano un universo complesso e problematico, ma anche un insieme molto ricco di specificità, attori e risorse e presenti al loro interno. Spesso esistono progettualità latenti o spontanee che attendono di essere riconosciute, valorizzate e aiutate a crescere. Alcune forme di auto-organizzazione locale, socialità di quartiere, senso di appartenenza ai luoghi possono rappresentare una dotazione importante su cui innescare nuove politiche di rigenerazione urbana.

di Francesco Gastald Università Iuav di Venezia (da Youbuild n. 23)

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