Da più parti lo affermano ormai da tempo, dietro il monito di una comunità scientifica impegnata nel delineare ricette, modi e tempi di intervento: per scongiurare l’olocausto ecologico del nostro pianeta, occorre riconsegnarlo per metà allo stato naturale.
Nel suo profetico libro “Metà della terra” (2016), Edward O. Wilson, biologo ad Harvard, sosteneva che “per prevenire una sesta estinzione della vita in piena regola, ci dovrebbe essere nei prossimi decenni una massima mobilitazione volta a ridestinare metà della superficie del pianeta a riserve naturali per salvaguardare la biodiversità esistente”.
Nel 2019 scienziati di tutto il mondo pubblicarono uno studio dal titolo “Un patto globale per la natura. Principi guida, pietre miliari e obiettivi”, il rapporto conclusivo così ammoniva: “per prevenire un’estinzione di massa della vita, occorre mantenere il controllo delle emissioni responsabili del riscaldamento globale in modo da assicurare che l’aumento di temperatura sulla terra non superi 1,5°C”, il limite oltre il quale il collasso degli ecosistemi porterebbe le specie viventi alla pressoché inevitabile estinzione.
Placing man in relationship to nature
Soltanto una grande lezione ha in sé il potere per diffondersi ovunque, vincendo le resistenze del tempo. Soltanto una grande visione ha in sé la forza per promuovere e rigenerare il benessere dell’uomo nell’età della rinaturalizzazione. “Placing man in relationship to Nature”: ovvero porre l’Uomo in armonia con il proprio habitat naturale.
Con questa profetica quanto leggendaria espressione Richard J. Neutra (1892-1970) – uno dei più grandi architetti del Novecento – fondava il Neutra Institute for “Survival Through Design” (“Progettare per Sopravvivere”), focalizzando l’attenzione su tematiche già allora di stringente attualità, riguardanti il precario stato di salute del nostro ambiente.
Era il 1962, ma gli equilibri eco-sostenibili del pianeta diagnosticavano già uno scenario allarmante circa il futuro, o meglio il destino, delle nostre risorse naturali. Le riflessioni si spingevano oltre, fino ad indagare gli impatti dell’ambiente sulla qualità degli spazi in cui l’uomo vive e lavora e sulla sua salute.
L’azione dell’uomo all’ordine della natura
Nel firmamento dell’architettura del XX secolo, Richard J. Neutra, esprime uno dei vertici più colti del Modernismo Internazionale. Quell’ “orchidea bianca” che mise le proprie radici nella terra dei lotus, la California, agli albori di quel movimento che pervase tutto il Novecento, oggi, forte di una sua elettiva resistenza all’arbitrarietà di mode, sterili formalismi ed aridi terreni culturali, si affaccia ad un nuovo secolo per risplendervi con la forza della sua lezione resiliente.
È pronta per alimentare un Modernismo che da rivoluzionario – quale è stato nel secolo scorso – necessita di evolversi accompagnando i bisogni reali e le aspirazioni vitali dell’Essere. “Bisogna progettare con maggiore umanità se si vuole progettare per vivere e per vivere a lungo”, così recitava Dion Neutra (1926-2019), secondogenito di Richard, nella sua postfazione a “Survival through design” (“Disegnare per sopravvivere”, 1954), la magistrale opera nella quale il padre riaffermò il ruolo del progetto e la sua capacità di orientare le verità supreme dell’Uomo nel suo rapporto con la Natura.
“Dominio della Natura non significa sconsiderata perversione delle sue forme e dei suoi processi, bensì l’arte di intonare al Suo ordine l’azione dell’Uomo” (Richard Neutra, 1953).
Nato nel tramonto dorato della Vienna imperiale dove frequenta Freud, Klimt, Schönberg ed il suo mentore Adolf Loos, Neutra prosegue la propria formazione prima nella neutrale Svizzera e poi a Berlino, presso Erich Mendelsohn.
Nel 1923 l’America “lo chiama” al suo destino: a Chicago lavora presso Holabird & Roche e conosce l’altro suo mentore ideale, Louis Sullivan, al cui funerale incontra F.L. Wright. Su richiamo dell’amico R.M. Schindler si sposta in California, dove per quasi cinquant’anni tradurrà la “percezione del proprio tempo” in opere che “veramente proclamarono la giusta rivoluzione”.
Mentre Thomas Mann dipinge il “drammatico declino della vecchia borghesia europea nell’esperienza spirituale dell’Arte”, Neutra inizia la giovane America all’esperienza multisensoriale dell’Uomo nella Natura.
Attraverso la “danza esultante della connessione” sovratemporale – ricordando la bella frase di William Cousins – la visione profetica di Richard Neutra stringe un abbraccio culturale sull’oceano, superando vincoli di spazio, tempo e pandemie, in una visione affine sulle traiettorie presenti e future del Modernismo contemporaneo.
Pensando all’eterno quadro di Henri Matisse (La danza, 1910) – un olimpico abbraccio di figure danzanti su un mondo ultraterreno – la lezione di Neutra riafferma la forza dell’Architettura nella sua finalità di indagare le supreme verità dell’essere nelle infinite armonie dell’universo.
Neutra opera al di là di ogni speculazione teorica e cala l’Uomo nell’esperienza della Natura: nella dimensione ultrasensibile, ma non trascendente, di tutti i sensi, accordandoli alla sinfonìa di un “unico incantesimo”. Lo dimostra una toccante lettera di Josephine Ain, tributo a Mr. Neutra per averle disegnato una dimora in cui vivere “il miracolo dell’esistenza”.
Lo conferma Barbara Lamprecht, autrice di diversi libri su Neutra, nel seguente passo tratto da un suo recente scritto inedito, “Neutra’s Biorealism: It Only Looks Modern”, dove osserva: “L’infinita curiosità per i suoi simili, piuttosto che una continua ricerca di forme in sé, era il lavoro della sua vita.
La forma non ha seguito la funzione. L’ha abilitata.” (©barbaralamprecht2020) “Progettare – afferma Richard Neutra – significa esercitare un potere grandissimo e delicato, la cui influenza sulle nostre vite è tanto sorprendente quanto sottovalutata. Per questo, (…) il vero protagonista dell’arte della progettazione è l’uomo.
La sua relazione con l’ambiente nasce dall’incontro prodigioso e stupefacente della biologia con la cultura, l’arte, le abitudini e i bisogni della quotidianità, tutti elementi che l’architetto deve saper riconoscere ed armonizzare ma che nessuno di noi può ignorare”.
“Dalle nostre reazioni altalenanti alle crisi che si susseguono, e che affrontiamo sempre a fatica, un passo dopo l’altro, appare evidente che soffriamo ancora di una certa incapacità di porre i fatti in un contesto generale, e cioè: qual è la soluzione ottimale di lungo periodo per la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta?” (Dion Neutra, 1984).
Ed ancora, in quale modo le politiche sociali ed economiche multilivello possono incidere sulla qualità del nostro ambiente, arricchendo il benessere dell’uomo? Come la ‘Green Economy” può limitare la degenerazione delle risorse ambientali e, in ultima analisi, prevenire o attenuare disastri naturali?
Come una pianificazione sostenibile (“Sustainable Planning”) può garantire sopravvivenza e benessere?
Interrogativi e risposte
Tali interrogativi sono stati sempre più incalzati dai fenomeni che hanno segnato la nostra storia recente. Gli sforzi compiuti per stimolare la ricerca e lo sviluppo di energie alternative sono stati talvolta o spesso soppiantati dalla corsa a scavare l’ultima goccia di petrolio, per poi bruciarla! In molti casi la qualità dell’ambiente ha dovuto lasciare spazio ad un’analisi redditizia di cosa possano permettersi le aziende al fine di realizzare un profitto.
Dei devastanti disastri nucleari di Cernobyl (1986) e Fukushima (2011) possiamo trarre un triste bilancio a livello locale, peraltro ben lungi dall’aver trovato una definitiva quantificazione, ma nessuno conosce o può ancora immaginare gli incalcolabili effetti di lungo o lunghissimo periodo sull’ambiente e, quindi, sulla salute umana ed animale.
Incendi estesi quanto un’intera nazione europea erodono il polmone verde dell’Amazzonia con la stessa irreversibile aggressività con cui un glaucoma degenera il campo visivo dell’occhio umano in cecità. Inoltre, fenomeni in apparenza locali possono trasmettersi in vaste aree del pianeta proprio per via dei suoi elementi naturali primari: terra, fuoco, aria ed acqua.
Così, ad esempio, il livello di CO2 immesso nell’atmosfera da colossali incendi – cronoprogrammati in serie come una catena di montaggio – in pochi giorni, talvolta qualche ora, rischiano di mandare in fumo decenni di animate politiche ambientali, compromettendone l’efficacia.
Per anni rapito e trasportato dallo slancio della sua magia tecnologica, per evitare di rimanerne vittima l’Uomo dovrebbe risarcire il pianeta adottando modelli di sviluppo sostenibile, un Nuovo Progresso in cui le risorse umane, anziché usare le risorse naturali come un bene di consumo, prendano coscienza della loro irreversibilità e della loro indispensabile quanto vitale necessità di conservazione.
Un patto globale per la natura
Ripercorrere e rivivere lo spirito di “Disegnare per sopravvivere”, il libro edito settant’anni or sono, nel 1954, ci invita a ricercare, attraverso la pianificazione, una speranza ed un significato per il XXI secolo.
Indagare le implicazioni fisiologiche, psicologico-percettive ed ecologiche della sua opera, così diffusamente argomentate in “Survival”, è il prezioso stimolo che Neutra ci ha lasciato in eredità, oggi, per affrontare le questioni latenti che la contemporaneità ha accelerato: “Intonare l’azione dell’Uomo all’ordine della Natura”.
La riflessione affronta temi già richiamati da Dion, figlio di Richard Neutra, nella sua postfazione a “Survival”, in occasione della riedizione per il trentennale del 1984: L’Utente, l’Uomo e la Natura, la qualità e la ricettività dell’ambiente naturale, le garanzie dell’investimento. È da questi elementi programmatici che vorremmo costruire un appropriato spunto di riflessione per le nuove generazioni” (Dion Neutra).
Il viaggio nell’opera di Neutra, quindi, non vuole essere tanto e soltanto un’esplorazione rivolta alla progettazione, bensì una narrazione interdisciplinare che abbracci diverse Arti e Scienze, catturando l’attenzione e il coinvolgimento di diversi attori (pubblici amministratori, progettisti, operatori economici in genere, cittadini) per innescare e familiarizzare un approccio concreto e sensibile verso le tematiche di stretta attualità legate non solo ad episodiche calamità (terremoti, emergenze idrauliche…) bensì a un deterioramento lento delle risorse ambientali – il nostro bene naturale indivisibile, di tutti – che ci invita ad adottare nuovi modelli di sviluppo.
Una contaminazione trasversale tra buone prassi dalla cultura dell’amministrare a quella della pianificazione e prevenzione, dalla cultura del progetto a quella della tecnica e della produzione che trova un fondamentale punto di convergenza nel principio fondativo del Neutra Institute for “Survival through design” di Los Angeles, l’Istituto attualmente diretto dal terzogenito Raymond R. Neutra (n. 1939): “Sustainability of the planet through practices. Serve Social Justice by using economic methods that can be applicable for everyone”. Se vi è un potere intrinseco a una pianificazione sostenibile, questo è il potere di dare una risposta alle criticità latenti del mondo contemporaneo.
Se vi è un futuro sostenibile per l’uomo, questo sarà quel futuro che arricchirà la tecnica con l’etica. La consapevolezza ecologica maturata a partire dagli anni Settanta del Novecento dalla lezione di Richard Buckminster Fuller (1895-1983) – The man who invented the future – e, quindi, magistralmente interpretata nei decenni successivi dal suo allievo Norman Foster (n. 1935), fa della ricerca progettuale una vera e propria scienza, declinata in intervento cosciente nell’ambiente.
Questo non nega la presenza e la forza dell’architettura, che da sempre ha disegnato e costruito l’ambiente con la sua ‘gravitas’, ma riconcilia il progettista con un atteggiamento morale ed ecologico verso gli interlocutori reali del proprio operare: l’Uomo e il suo contesto (The Man, the Nature, the quality and receptivity of our environment).
Per farlo, la ricerca tecnico-scientifica e la sperimentazione produttiva dovranno sempre più incorporare una visione etica, poiché sarà da questa danza congiunta che muoverà i passi un nuovo progresso, focalizzato sull’Uomo e sulla ricerca di criteri, strategie e obiettivi che gli consentano di riappropriarsi del suo habitat naturale e culturale, “Tuning the Man’s action to the Nature’s order”.
Nella sua capacità olistica di interrelare discipline diverse ma affini, l’Architettura sembra dire Neutra è una delle poche attività umane che possa ancora fornire all’Uomo gli strumenti per recuperare l’esperienza del e nel mondo naturale.
L’opera di Neutra è suprema sintesi di arti, scienze e tecnica: biologia e fisiologia confluiscono nell’esperienza dello spazio vitale, facendone un “unico incantesimo”: lo spazio dell’architettura è concepita come sintesi di forze in armonia con l’ambiente e va oltre qualsiasi sua visione o interpretazione naturalistica o romantica. In quanto teatro dell’esperienza vitale, la Natura non è semplice scenario che fa da sfondo ad una forma finita e puramente oggettuale, l’edificio, bensì dialoga, interagisce e danza con esso in un continuum spaziale in cui si celebra l’esistenza dell’uomo.
Gli edifici si assemblano e protendono i propri arti (spider legs) nello spazio naturale con la stessa ritmica levità con cui le figure di Matisse danzano sull’orizzonte terrestre. Le parti della costruzione si allungano ad abbracciare lo spazio organico della natura fino a fondersi con essa, diventando la scena vitale dell’esistenza umana. La dimensione dell’Uomo, quindi, non è separabile da quella dello spazio in cui si muove e raggiunge un ‘climax’ di massima intensità portando tutte le forze in azione al vertice dell’esperienza vitale.
Ricercare l’alchimia
Come Frank L. Wright, Richard J. Neutra è un architetto-alchimista, possiede la chiave dei più intimi segreti della Natura, sa trasformare “terra, acqua e cielo in un unico incantesimo”. Committente di entrambi, Mr. Edgar J. Kaufmann (1885-1955) – un pragmatico esponente della classe dirigente americana – non è un mago, ma possiede nei propri dollari la chiave per capitalizzare nell’Architettura le supreme verità dell’essere.
Come uomo votato agli affari e proprietario del Kaufmann’s Department Store – il più celebre grande magazzino della Pittsburgh del Novecento – Edgar e la moglie Liliane iniziano al Progresso la giovane democrazia americana; come uomo sensibile ai sensi, ha già compreso che per ritrovare benessere non può spogliarsi della Natura.
Come Kees Van der Leeuw (1890-1973) – industriale olandese del tabacco – e il nostro Adriano Olivetti (1901-1960), Mr. Kaufmann insegue un’idea di armonia collettiva e personale in grado di stimolare benessere ed efficienza.
Ancora non sa di passare alla storia come committente dei due mostri sacri dell’architettura americana, ma sa di voler trovare nella Natura il privilegio di vivere esperienze eccezionali.
Nel 1935 Mr. Kaufmann si fa prendere per mano da Wright per addentrarsi nelle incontaminate foreste di Bear Run, in Pennsylvania, là dove celebrare le sue nozze con la Vergine Natura.
Ne sono testimoni elettivi “gli alberi che salgono con i fusti diritti a cercare la luce, e legano il cielo alla terra; il torrente che scende dal monte e scorre nel piano finchè non trova il vuoto, e precipita; i grandi lastroni di pietra che nel corso infinito del tempo il flusso dell’acqua ha modellati e levigati” (G.C. Argan). Lì Mr. Wright “sa interpretare le voci segrete della Natura”: Mr. Kaufmann impara ad ascoltarle, a farne la sinfonia di fondo delle proprie fughe dalle sirene frenetiche del caos metropolitano. Lì la battaglia quotidiana per il dollaro trova nel miracolo della Natura il suo armistizio.
Quando dieci anni più tardi acquisterà un’arida radura nella desertica Palm Springs, un altopiano coronato da monti rocciosi a est di Los Angeles, per cogliere il panorama infinito Mr Kaufmann non vorrà più rifugiarsi nelle viscere della Natura ma sollevarsi da essa. Per farlo, Mr. Kaufmann non sceglie Wright ma l’allievo Neutra, pure egli figlio dell’alchimia della natura.
Figlio elettivo ma anche artefice: casa Kaufmann non nasce nella ma sulla Natura, si solleva dal piano dell’orizzonte per ricercarla e selezionarla; vi si apre completamente, evocandola, oppure ne ricostruisce gli elementi primari. Ritorna, in forma riflessiva e armonica, la lirica evocativa dei suoi materiali primari, disposti con una grazia giapponese e ritmati dal contrappunto tecnologico della casa: famiglie di sassi sedute su prati di velluto a confinare un’oasi verde nell’arida radura.
Qualcuno potrebbe cogliervi un miraggio, ma casa Kaufmann esiste, pur accampata nel deserto, ed è punto di captazione di una Natura mutevole e incantata. Non è un miraggio, quindi, ma un miracolo, quel miracolo dell’esistenza con cui l’architettoalchimista R. J. Neutra ha portato il Modernismo Internazionale al vertice della massima sintesi.
Risuona vivo più che mai l’apoftegma di Herman George Scheffauer (1876-1927), secondo cui “il vero creatore ha solo bisogno di appoggiare il proprio orecchio sul gigantesco cuore dell’epoca in cui vive e incatenarsi all’energia che sprigiona, per trovare le forme attraverso cui quell’epoca possa esprimersi”.
Questa era l’intenzione di Richard J. Neutra. Questa era ed è la profonda e viva lezione con cui quell’orchidea bianca risplenderà nel XXI secolo, insegnandoci a “Intonare l’azione dell’Uomo all’ordine della Natura”.
di Moreno Pivetti Architetto
Bibliografia
• Hines, Thomas S. “Richard Neutra and the Search for Modern Architecture”, Oxford University Press, New York, 1982;
• Hines, Thomas S. ”Richard Neutra (1892- 1970)”, Electa, Milano, 1992;
• Drexler, Arthur e Thomas S. Hines “The architecture of Richard Neutra: from International Style to California Modern”, The Museum of Modern Art, New York, 1982;
• Neutra, Richard J. “Progettare per sopravvivere”, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2015;
• Lamprecht, Barbara “Neutra: Complete Works”, Taschen Verlag, Köln, 2000;
• Lamprecht, Barbara “Richard Neutra (1892- 1970): Architettura per una vita migliore”, Taschen Verlag, Köln, 2004;
• Palumbo M. Luisa, “Paesaggi Sensibili. Architetture a sostegno della vita. Cielo, terra, sponde”, duepunti edizioni, 2012;
• Mitterer Wittfrida, Manella Gabriele (a cura di), “Costruire sostenibilità: crisi ambientale e bioarchitettura”, Franco Angeli, 2013.