Costruire per rigenerare: ne parlano i produttori votati al futuro

La conclusione del “VII Convegno Nazionale YouBuild” è stata affidata a una tavola rotonda; momento di grande interesse che ha messo a confronto alcune aziende sul tema: “Il prodotto del futuro nel contesto dell’edilizia rigenerativa”. Moderati dalla professoressa Barbara Gherri e dal giornalista Roberto Di Lellis, sono intervenuti Paolo Zanotti (product manager Wienerberger Italia), Massimo Senini (titolare Senini), Eugenio Fadda (sales area manager Frem Group), Paolo Benzi (responsabile ufficio tecnico Rototec) e Chiara Lavizzari (promozione tecnica Soprema), mentre ad Emanuele Naboni (direttore scientifico YouBuild) è stato affidato un ruolo di “raccordo”.

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Paolo Zanotti, product manager Wienerberger Italia

Paolo Zanotti | Product manager Wienerberger Italia

«Wienerberger è una multinazionale che è nata in Austria all’inizio del 1800 – ha spiegato Paolo Zanotti -, in questi 200 anni si è sempre rinnovata ed evoluta per rimanere al passo con i tempi. Nasce come fornace, quindi come produttrice di laterizi e nel corso del tempo poi ha espanso il suo business in tanti altri settori come quello della gestione delle acque, la realizzazione di tubature e sistemi fotovoltaici, quindi energie rinnovabili, e pavimentazioni. Per affrontare il tema edilizia dobbiamo considerare un edificio come un insieme di elementi, non va considerato il singolo elemento, ma come un sistema che ha una prestazione nella sua interezza rappresentato da tutti gli elementi che interagiscono tra di loro. Wienerberger arriva in Italia negli anni ’90, abbiamo quattro stabilimenti e la sede principale è ad Imola. Anche in Italia nasce principalmente come fornace, per la produzione laterizi da muro e da solaio; pian piano stiamo espandendo un po’ il business, introducendo il fotovoltaico, le facciate, rinforzi e pavimentazioni».

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Massimo Senini, titolare Senini

Massimo Senini | Titolare Senini

«Abbiamo sviluppato prodotti con la cannabis, la pianta della marijuana – ha detto Massimo Senini -, non vendiamo fumo, ma solidi blocchi per case da sballo. L’azienda nasce come produttrice di blocchi in cemento negli anni ’60; siamo un’azienda piccola, famigliare, con una quarantina di dipendenti in produzione e altrettanti nell’azienda di posa. Siamo piccoli, ma nel nostro settore siamo importanti perché siamo il primo polo produttivo italiano, però rispetto ad altre realtà siamo un’azienda ancora considerata di famiglia dove ci si mette il cuore, la passione nel fare prodotti. Nasciamo come produttori di blocchi di cemento, produciamo e realizziamo pavimenti autobloccanti; abbiamo sviluppato la tecnologia della fotocatalisi, che in parte nasce con Italcementi e che noi abbiamo brevettato tenendo il brevetto in azienda per poter utilizzare questo biossido di titanio che è un prodotto abbastanza difficoltoso da lavorare. Grazie a questa tecnologia e ai certificati che abbiamo ottenuto abbiamo vinto la gara ad Expo 2015. Tutte le pavimentazioni esterne le abbiamo fornite e posate noi. Poi nel 2015 è partita anche, sempre in linea con l’attenzione per lo sviluppo dell’ambiente, la produzione di un pavimento fotocatalitico, lascia drenare l’acqua ed abbassa le temperature. La nostra azienda è certificata Iso 14001 e siamo stata la prima azienda del nostro settore ad ottenerla e la sesta tra tutte le partite Iva italiane; già a fine anni ‘90 nel nostro Dna c’era già l’ambiente e lo dimostrano le certificazioni ottenute. Nel 2015 partito anche il progetto della canapa e abbiamo sviluppato un prodotto per il quale abbiamo ricevuto il premio nel 2019 alla fiera Ecomondo di Rimini come miglior prodotto in edilizia e sta avendo successo anche all’estero, in Svezia, in Usa, in Canada e due settimane fa avevamo in azienda un progettista che viene da noi dal Giappone. Quindi anche dal Giappone vengono da noi per vedere i nostri prodotti per poter poi costruire case con canapa e calce».

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Eugenio Fadda, sales area, manager Frem Group

Eugenio Fadda | Sales area manager Frem Group

«L’acciaio presagomato è l’acciaio per il cemento armato e alla produzione abbiamo affiancato anche la rivendita; facciamo questo sia nella provincia di Cagliari che nella provincia di Milano. Sono qua per presentare il Rappsys che è il nostro programma di punta attraverso il quale i nostri clienti possono andare a recuperare tutti i certificati che abbiamo consegnato in cantiere. Il prodotto più importante è quello rappresentato da nostro slogan: “dall’armatura alla struttura”, un claim che coincide con la visione della nostra azienda. Per questo abbiamo realizzato un partenariato di imprese unendo produttori di calcestruzzo, tecnici che si occupano delle prove di laboratorio, i solaisti e noi che facciamo l’acciaio presagomato. Insieme abbiamo realizzato una struttura alleggerita che si chiama Structucam, il cui peso è di circa 140 kg in meno al metro quadro. Tutti i partecipanti al nostro progetto hanno la certificazione Cam; la difficoltà che abbiamo purtroppo è quella di trovare professionisti nel settore che riescano a darci dei loro feedback per cercare di progredire, di sviluppare la nostra piattaforma, seppur noi ci accolliamo tutti gli oneri di sviluppo. Per esempio, sulla normativa Cam abbiamo trovato delle difficoltà proprio perché non esiste una disciplina di produzione all’interno delle armature, quindi siamo stati noi a provare a proporlo all’Igq affinché crei questo tipo di certificazione. Il cemento armato attualmente non è proprio sinonimo di sostenibilità, ma per noi la sostenibilità non è soltanto un prodotto che si va a sgretolare col tempo diciamo, ma che deve avere una struttura, deve avere un tempo utile; deve essere una cosa che rimane. Infatti, la struttura per noi è quella che, mentre qualsiasi cosa all’interno di un edificio può essere demolito e distrutto, dà valore all’edificio in sé, perché quella che deve rimanere, è la importante».

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Paolo Benzi, responsabile ufficio tecnico Rototec

Paolo Benzi | Responsabile ufficio tecnico Rototec

«Siamo parte di un grosso gruppo di aziende – così ha spiegato Paolo Benzi -, la holding si chiama System Group. A fine anni ’70 nascono le prime aziende, la Central Tubi, la Sammy Plastic, la Futura: tutte aziende che operano nella trasformazione dei polimeri. Quindi siamo aziende che lavorano i polimeri in generale. Rototec raggruppa una ventina di aziende sul territorio nazionale con qualche presenza estera Spagna, Francia… Siamo ubicati nel nell’entroterra marchigiano. A differenza di tutte le aziende che trafilano tubazioni che vanno da un pollice fino a 3 m di diametro, nel ’99 Rototec ha sposato la tecnologia dello stampaggio rotazionale. Realizziamo cisterne che hanno varie applicazioni. Il mio è un ruolo tecnico, anche se lo definisco trasversale, perché mi trovo durante l’anno a fare meeting formativi presso gli ordini piuttosto che a studiare investimenti aziendali. Sono in prima linea sugli investimenti di prodotto e di progettazione di prodotti, ma anche sul versante delle certificazioni. Un argomento che dovrebbe essere maggiormente approfondito perché il mondo della certificazione sta avendo una svolta molto repentina, specialmente per il mondo della depurazione».

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Chiara Lavizzari, promozione tecnica Soprema

Chiara Lavizzari | Promozione tecnica Soprema

Con Soprema si entra nel mondo dell’insulation, guidati da Chiara Lavizzari: «Siamo un gruppo importante, una multinazionale; la strategia è stata quella di inglobare i leader sul mercato della produzione di insulation, quindi la linea di polistirenici e dei poliuretanici, e per quanto riguarda l’isolamento abbiamo aggiunto anche la lana di roccia quest’anno e qualche sorpresa bio-based. Per quanto riguarda l’impermeabilizzazione abbiamo sia la linea del bitume che la linea del sintetico, ma anche la linea delle resine e dei liquidi. Siamo un’azienda assolutamente chimica, dove però vengono trattati prodotti con chimica organica, perché i polimeri di cui ci occupiamo fanno parte di quella branchia; siamo un’azienda in evoluzione, fondata nel 1907 già con spirito di ricerca e di evoluzione, ma anche di intraprendenza per quanto riguarda quello che era l’ambito di allora, e cioè nasciamo come applicatori di sistemi bituminosi. Suprema ha inventato il rotolo, sostituendolo alla spalmatura del bitume. La nostra attività ha un approccio etico che deve essere sottolineato perché non ci focalizziamo sulla sostenibilità, anche se è un tema che dobbiamo temere presente. Sostenibilità è una parola che ha diverse sfaccettature; una sfaccettatura è legata per esempio alla durabilità; ricordiamoci che sostenibilità non è solo l’essenza vera del materiale, ma è anche quello che è il suo ciclo di vita. È chiaro che auspicare un cradle to cradle per quanto riguarda un polimero diventa un pochino più complicato rispetto a prodotti biobase, però la volontà è quella di prestare attenzione non solo al prodotto ma al sistema, al territorio e alla città. Da qui anche soluzioni che richiamano il cool roof, soluzioni che richiamano il green roof, quindi con un rispetto anche di quella che è la gestione dell’acqua, per esempio. Ed ovviamente il fotovoltaico: con tutti i nostri sistemi si coniugano con quello che è l’energia rinnovabile derivante dai pannelli fotovoltaici. È un’attenzione alle persone, all’economia circolare e anche all’edilizia futura. L’esigenza di mettere intorno al tavolo aziende diverse, portatrici di esperienze diverse, viene spiegata da

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Emanuele Naboni, direttore scientifico YouBuild

Emanuele Naboni | Direttore scientifico YouBuild

«Questo tavolo non nasce casualmente, nel senso che abbiamo cercato entità diversificate, rappresentative di diversi approcci. Entità a volte familiari, a volte parte di un complesso industriale che hanno un’azione di trasformazione, di innovazione e di rigenerazione. Ed è per questo motivo che abbiamo cercato di suscitare anche un dibattito interno tra di loro. Il risultato è molto interessante. Ad esempio, per quanto riguarda Wienerberger, la linea bioplan, il fatto che il mattone classico o il mattone forato, viene rivisitato e portato a nuove performance ambientali lavorando sulla geometria, sulla termodinamica, così come sulla composizione, sul ciclo di produzione, ma soprattutto l’aspetto di recupero dei luoghi di estrazione dei materiali, è qualcosa di molto rigenerativo. Dei lunghi dialoghi con Senini, in cui abbiamo visto tanto entusiasmo perché è una creatura che nasce da zero per arrivare al mercato internazionale rappresentativa di alcune eccellenze familiari italiane, ci ha stupito l’aspetto di prodotti che guardano alla rigeneratività da molte angolazioni. Infatti, quando abbiamo avuto qualche discussione preliminare, la terminologia ha subito riecheggiato in questa direzione, nel senso che il materiale utilizzato è chiaramente carbon sequestrating. La canapa ha una performance anche in relazione alla luce, per questo aspetto dato dal prodotto specifico presentato per l’illuminazione notturna senza utilizzo di energia. Lodevole avere delle armature in cantiere che sono per il 95% provenienti da un materiale certificato e riciclato con ampia informazione, questi sappiamo che sono asset strategici non solo per varie certificazioni. Considerando l’orientamento normativo dell’Unione Europea, che ora tra un paio d’anni richiederà che quasi tutti gli edifici siano carbon neutral o carbon sequestrating, rende necessario quindi agire sulla struttura che è sempre stato un po’ l’elemento delicato. Come architetti o urbanisti spesso non ci occupiamo molto d’acqua, ma ci troviamo in un territorio in cui c’è un grosso problema di reazione ai grossi flussi, ai cicli d’acqua con un hardscape. Abbiamo soluzioni nelle quali l’acqua viene filtrata con meccanismi primordiali e sappiamo che c’è tutto un vocabolario di soluzioni di filtraggio e di depurazione, ma anche di gestione del timing attraverso cui l’acqua viene purificata e riportata in falda piuttosto che verso corsi di scolo. L’acqua è sicuramente un tema centrale anche per la naturale riduzione dei flussi idraulici; diventa sostanziale, peculiare il fatto di mantenere l’acqua in sito e un’acqua di certa qualità. Questo è un aspetto rigenerativo di Soprema. Abbiamo avuto un dibattito sulle diverse soluzioni di coperture verdi, sui sistemi di ventilazione, sistemi integrati in cui il loro know-how si interfaccia al prodotto per produrre una prestazione che è una prestazione energetica di salubrità rigenerativa. Molto interessante è il settore chimico, che è in trasformazione, in cui c’è uno studio sia su polimeri di origine naturale, sia dei polimeri stessi come humus, substrato per layer di tipo biologico. Sappiamo che nelle coperture verdi necessitiamo di alcuni layer capacitivi, quindi, accanto a elementi più traspiranti, come possono essere quelli del laterizio di ultima generazione. Abbiamo bisogno di una chimica di supporto e il settore sta cercando di ragionare sui temi della carbonizzazione».

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Le domande di Roberto Di Lellis | Moderatore

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Roberto Di Lellis, moderatore tavola rotonda

Ero rimasto che la sostenibilità era una cosa incredibile, invece qui siamo alle case, agli edifici che fanno bene all’ambiente. Un punto di arrivo che è però anche un punto di partenza.

Paolo Zanotti

«Dal nostro punto di vista – ha sottolineato Paolo Zanotti – è fondamentale iniziare a guardare anche oltre. È da tanto che si parla di sostenibilità ed è necessario tenere in considerazione che si può essere 100% sostenibili. Per le aziende è un percorso da intraprendere; un percorso non banale, che implica tempi lunghi ed investimenti importanti. Però è fondamentale iniziare a pensarlo, per velocizzare tutti questi cambiamenti. In Wienerberger c’è una road map stilata da anni, l’azienda ha iniziato a fare la prima Epd nel 2017; sei anni l’azienda ha aperto le porte a un ente terzo che per un anno e mezzo ha analizzato tutti gli aspetti produttivi, dall’approvvigionamento delle materie prime fino alla produzione del materiale e al suo fine vita. In Wienerberger la sostenibilità è considerata come poggiata su tre pilastri: decarbonizzazione, economia circolare e biodiversità. Siamo arrivati alla decarbonizzazione con un prodotto che ha una prestazione ottimale dal punto di vista di comfort sia invernale che estivo. C’è uno studio dell’Università di Ancona secondo il quale buona parte d’Italia consuma tre volte in estate quello che consuma in inverno, quindi, si consuma tre volte più per il raffrescamento rispetto al riscaldamento. Il prodotto di punta che cerchiamo di promuovere è un laterizio massivo che a fronte di una trasmittanza termica invernale di 0,19 garantisce anche uno sfasamento dell’onda termica in regime estivo maggiore di 24 ore. Per verificare ciò abbiamo monitorato edifici realizzati con questi sistemi. Un monitoraggio è stato fatto a Sassuolo, a Formigine, su un’abitazione. Con un sistema fotovoltaico non sovradimensionato, il classico ad uso domestico, è stato verificato che in regime estivo, nel momento di picco di caldo, la casa produceva più energia di quella che consumava. Quindi questa è una decarbonizzazione a livello di prodotto finale, in quanto abbiamo una casa che produce più di quello che consuma, con energie rinnovabili. A livello di processo parliamo di processi di combustione, con emissioni di CO2 legate al materiale, ma è tutto oggetto di una road map prestabilita che punta ad azzerare, ad arrivare alla carbon neutrality. Per una fornace non è banale, perché è inutile nascondere la fornace nasce come impianto energivoro. Si tratta di andare a prendere tutte le misure per far sì che diventi zero impattante. Per quanto riguarda l’economia circolare, c’è una ricerca continua sulle materie prime da aggiungere all’impasto. I rifiuti, anziché smaltiti, vengono immessi nella nostra ricetta e ci danno un valore aggiunto in quelle che sono le nostre prestazioni. Con la biodiversità arriviamo all’idea di rigenerazione. Le nostre cave a fine vita risultano essere grandi buchi, che vengono riconvertiti in aree verdi. In alcuni casi sono diventati dei laghetti all’interno di aree naturali protette e in un’area naturale a Feltre hanno ritrovato il loro habitat due specie a rischio estinzione. Alla fine di tutto l’impatto è stato nullo».

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La platea del convegno Youbuild

Massimo Senini

La “casa che cura” insomma è una realtà. Lo conferma anche Massimo Senini: «Posso portare l’esempio di una signora che ci ha raccontato di come prima aveva dolori nei gomiti che non si sono più ripresentati dopo i lavori effettuati sull’involucro della sua abitazione con il mattone in canapa e calce. Perché questo prodotto è naturale e traspira; in più è igroscopico, quindi assorbe l’umidità in eccesso oltre isolare da caldo e freddo. La mission della nostra azienda è lavorare per il bene dell’uomo e dell’ambiente; l’ho scritta anni fa ed è la finalità di tutte le persone che lavorano nel nostro gruppo, nella nostra azienda. Quando facciamo convegni, con architetti progettisti, dico: sempre pensate a questo prodotto per casa vostra, non per i vostri clienti. Le nostre case quindi sono curative, il prodotto fa bene, sanifica, anche il pavimento è curativo per l’ambiente. Perché la pavimentazione rimanendo più fresca riduce l’isola di calore, quindi indirettamente si consuma meno aria condizionata; poi lascia il drenaggio naturale alle falde perché il nostro pavimento è anche filtrante, quindi ci sono dei benefici a valle anche indotti».

Eugenio Fadda

Progettare la sostenibilità, ma anche garantirla. «Siamo focalizzati sulla costruzione – ha confermato Eugenio Fadda -, ma anche sul dare garanzie e prova di tutto quello che è stato effettivamente portato in cantiere; rilasciamo infatti un attestato per certificare che il nostro di acciaio presagomato è sostenibile. La sostenibilità e l’attenzione ai temi ambientali sono temi sempre più proposti dalle nuove generazioni e si richiede più sensibilità. Magari all’inizio può partire semplicemente dallo Stato che impone, poi però sono il rivenditore, l’impresario, il progettista ad essere più sensibili, a porre attenzione all’approfondimento dei temi ambientali».

Paolo Benzi

Una tematica imprescindibile anche per Paolo Benzi: «Per il secondo anno la nostra azienda ha conseguito il bilancio di sostenibilità. Una pratica che dovrebbe essere molto diffusa, instaurando adeguati processi in azienda. Eliminare la Carta non è una banalità; abbiamo anche velocizzato i processi produttivi; progettiamo prodotti che si impilano senza utilizzare dei packaging o il polistirolo. Cerchiamo fare economia sui magazzini nostri e dei nostri fornitori eliminando il più possibile il cellophane. Questi processi ci hanno portato ad intraprendere percorsi come Iso 14.001 e la 15.001 sulla sicurezza. Sono processi ormai che stanno adottando le imprese perché lo richiedono le amministrazioni, lo richiede il Pnrr imponendo determinati criteri. Quindi anche la normativa va in questo senso. Diventa quindi fondamentale anche la collaborazione delle aziende con i professionisti, da questo confronto nascono le problematiche e si generano le soluzioni. Da qui nasce tutto il discorso di certificazioni, di normative Ce dove esistono tutti i processi aziendali, dove c’è la tracciabilità del prodotto, il Dna del prodotto. Da lì si arriva alla Dop che serve per presentare i progetti. Le Dop sono una cosa importantissima e negli anni sono sempre più richieste. Ciò obbliga un’azienda ad attenersi a determinati sistemi qualitativi, produttivi, di documentazione, di aderenza alle normative, di conformità e di realizzazione del prodotto. Da anni ormai abbiamo introdotto anche le librerie Bim; chi progetta in Bim ha una tracciabilità che garantisce progettazioni specifiche e facilitate. Tutto questo per arrivare ai nostri prodotti che devono si pongono l’obiettivo di curare le case. In che modo? Partiamo dal problema come, per esempio, il recupero delle acque, quindi andare a curare le case sotto quel profilo mettendo dei serbatoi per recuperare le acque piovane che a me piace chiamare gratuite. Quindi acqua gratuita che viene utilizzata per gli impieghi meno nobili di casa. Ci sono i regolamenti edilizi comunali che prevedono stoccaggi minimi di acqua piovana sulle nuove realizzazioni Altro problema molto sentito è quello della regimentazione delle acque. Le piogge violente e la poca permeabilità del terreno dovuta alla siccità sommano i problemi. Dobbiamo riuscire a depurare le acque, spesso contaminate da plastiche, fa oli per poterle utilizzare. Ecco che abbiamo già curato due problemi che inficiano anche le abitazioni. L’ultimo problema che voglio considerare ora è il recupero delle acque attraverso la depurazione; si stima che possano essere recuperati tutti i giorni moltissimi litri pro capite di acque reflue civili. Una volta tratta e depurate possono essere scaricate pulite sotto terra o comunque nell’ambiente».

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Chiara Lavizzari, Soprema

Chiara Lavizzari

La sostenibilità è un file rouge al quale si aggancia anche il secondo intervento di Chiara Lavizzari. «Potemmo parlare di bilancio rigenerativo anziché di sostenibilità – ha sostenuto -. Un approccio che guarda non solo al materiale, non solo all’edificio, ma alla città, all’ambiente che lo circonda, al territorio. L’architettura ci insegna ad avere una visione più vasta per capire come ci si possa poi interfacciare. È chiaro che aziende tradizionali, storiche e con le spalle coperte hanno più possibilità di interagire in questo senso, perché la ricerca costa. L’investimento nelle persone, nei nuovi prodotti, non è un fattore trascurabile. Chi si mette sul mercato come multinazionale può godere di consulenze che possano indirizzare verso qualcosa che può all’apparenza sembrare assolutamente diverso o nuovo rispetto a quello che si propone sul mercato. Questa etica rigenerativa, per quanto ci riguarda, è applicata in primis sui nostri siti produttivi e sulle nostre sedi. I primi investimenti sono stati fatti sui nostri stabilimenti pensando al cool roof, per andare a vanificare, calmierare l’effetto delle isole di calore, al green roof che si collega alla gestione delle acque, al fotovoltaico, all’eolico. Abbiamo puntato a un’autosufficienza, quindi avere degli edifici in grado di dimostrare che un edificio può essere autosufficiente. Perché non si può promuovere qualcosa che non si vive in prima persona. Abbiamo aderito all’agenda Onu 2030 e su diciassette punti riusciamo ad ottemperarne undici in un financial performance report del 2022, fra i quali la famosissima decarbonizzazione; quindi, il nostro goal più importante è quello di andare a ridurre di una percentuale pari a circa il 25% le emissioni di questo gas dal 2022 al 2030. È un percorso ostico, impegnativo, però la volontà c’è, anche perché il vantaggio di essere sul mercato da così tanto tempo è anche quello di poter essere un po’ un esempio, provocando reazioni di altri. Per quanto riguarda le certificazioni, è chiaro che i Cam oggi sono assolutamente un must e se non li presenti non puoi neppure partecipare, per esempio, alle commesse pubbliche. Ben presto arriveranno anche nelle commesse private dal punto di vista dell’obbligatorietà, anche se spesso oggi vengono comunque già richieste. Ci sono poi gli Epd ossia la certificazione di come viene creato il prodotto che non è solo il percorso produttivo, ma è anche tutto ciò che sta attorno. È importante anche un’ottimizzazione di software; parlando con i tecnici, mi sono resa conto che siamo ancora un po’ agli albori, perché magari siamo pronti noi come oggetti Bim ma gli studi, soprattutto quelli magari medio piccoli, non hanno ancora una gerarchia dal BIM manager al Bim consultant e via dicendo. Quindi tutto questo serve sicuramente a migliorare e velocizzare il processo; per farlo servono le risorse ed il tempo è una delle risorse più importanti che abbiamo. Non dimentichiamo poi la performance dei prodotti; la rigenerazione deve anche essere intesa come performance costante nel tempo e la performance se la porta appresso il materiale. Se vanifico le prestazioni espresse di un prodotto, perché magari do più importanza al bio based, è chiaro che devo anche capire qual è il ciclo di vita utile di questo materiale, pensare che prima o poi arriverà a fine ciclo vita e quindi mi dovrò porre il problema di come smaltirlo. Abbiamo materiali tradizionali che si stanno evolvendo; l’industria non è assolutamente statica, dormiente, si sta evolvendo seguendo le esigenze del mercato e la sensibilità dei progettisti. Però ricordiamo l’importanza di ragionare anche sul ciclo di vita, su come va gestito l’edificio a fine vita. Siamo chiamati in causa nel proporre al mercato materiali che siano accettabili, perciò, la nostra priorità è quella di fornire un materiale che sia performante, con tutti i crismi che richiede oggi l’architettura».

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Barbara Gherri, prof.ssa UniPr e moderatrice

Barbara Gherri | Prof.ssa UniPr e moderatrice

A sintetizzare il secondo giro di interventi e a rilanciare con nuovi interrogativi è stata Barbara Gherri. «Credo che i nostri ospiti abbiano offerto una panoramica molto esaustiva di come i temi della sostenibilità e della rigenerazione, siano già estremamente integrati nella loro filiera produttiva – ha sottolineato la Professoressa -. Tutti gli aspetti di rigenerazione, o passatemi il termine, di sostenibilità a 360 ° sono già integrati perfettamente nella loro filiera produttiva. Se noi avessimo aperto questo dibattito solo cinque anni fa, avremmo ascoltato le loro parole con scetticismo. Invece, nel giro di poco tempo, le aziende piccole, medie, grandi e che coprono settori produttivi estremamente variegati si sono fatte carico di istanze molto diverse tra di loro. Il settore dell’edilizia è da sempre piuttosto scettico e poco ricettivo al tema dell’innovazione. Mentre anche i produttori di materiali piuttosto tradizionali, come possono essere le pietre in laterizio, si sono fatti carico di un atteggiamento che possiamo già definire molto avanti in questo tanto dibattuto cambio di paradigma. Le presentazioni non si sono concentrate solamente sui prodotti, ma su un atteggiamento che indica come questo passaggio, questo cambiamento di paradigma sia già parzialmente in atto. Gli ultimi anni ci hanno richiesto necessariamente, volenti o nolenti, un’accelerazione. Dal punto di vista dei processi, dal punto di vista dell’integrazione, delle fasi progettuali. Per non parlare poi di tutte quei necessari adeguamenti che, per fortuna, ci richiede la normativa. Lancio una provocazione. Tutti ci siamo concentrati sulle nuove ex novo. Ma come sappiamo, il nostro patrimonio costruito necessita sempre di più di un approccio di riqualificazione e ancora di più di rigenerazione. In che modo le aziende si approcciano anche al tema della rigenerazione del retrofit, del recupero di edifici esistenti o di manufatti esistenti?»

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Paolo Zanotti

Paolo Zanotti

A rispondere per primo al quesito è stato Paolo Zanotti: «Wienerberger produce laterizi da muro, da solaio, ciò implica che il focus è la nuova costruzione. Da un po’ di tempo a questa parte questo focus è spostato anche sulla ristrutturazione, alla luce delle necessità che si sono presentate. Posso fare l’esempio di due prodotti che abbiamo messo a punto e lanciato sul mercato, per cercare di risolvere il problema delle rinnovabili all’interno dei centri storici, dove un classico pannello fotovoltaico spesso difficilmente viene accettato. È stato creato Wevolt, un nuovo pannello costituito da due vetri laminati con all’interno le celle e presenta un coating color terracotta per cui la resa architettonica estetica è molto pregevole. Per cui iniziamo ad entrare anche nei centri storici, dando la possibilità anche a quegli edifici di iniziare a produrre energia e non a consumarne. Un altro esempio possono essere i sistemi a cappotto, per il miglioramento della prestazione termica degli edifici esistenti, pensati anche nell’ottica di voler offrire un prodotto che duri nel tempo e questa è una caratteristica del laterizio. Il nostro prodotto è accompagnato da una carta d’identità in cui vengono raccolte informazioni molto importanti, si dice appunto che il laterizio è un materiale inerte, stabile, chimicamente che non decade nel tempo e che dura. Rimane uguale a sè stesso e garantisce la stessa prestazione per almeno 150 anni. Questo sistema a cappotto che abbiamo lanciato ha un pannello isolante retrostante che può essere sintetico, plastico ed è ricoperto da listelli di laterizi. Abbiamo iniziato a produrre dei laterizi a listello, con spessore di 1 cm – 1 ½, che vanno a ricoprire lo strato isolante, la fuga viene coperta in Malta e la resa estetica è quella di un muro a faccia vista resistente e protetto contro gli agenti atmosferici. La prestazione è quella di un sistema a cappotto che, per la cura ed il miglioramento delle prestazioni di tutto il patrimonio esistente, risulta essere un sistema fondamentale, mentre sul nuovo noi promuoviamo il monostrato».

Massimo Senini

Dei cappotti si occupa anche la Senini e il titolare ne ha parlato così: «Abbiamo già fatto esperienza con le soluzioni concrete nelle quali il nostro mattone in canapa e calce può essere utilizzato come mattone. Ma abbiamo anche un prodotto che si chiama biobeton e può essere applicato con la macchina a spruzzo; è un brevetto nostro e si possono applicare da uno a sei centimetri, quanto serve. Abbiamo già casi di clienti che volevano il cappotto in canapa, ma erano in un condominio e non tutti erano d’accordo per fare questo investimento. Hanno scelto di farlo internamente, quindi ci sono già casi dove con sei centimetri interni, uno si fa l’involucro con il nostro prodotto che può essere fatto a spruzzo, oppure si mette un pannello in Lastra di gesso fibra con l’intercapedine riempita col biobeton sfuso. Questo sistema crea un  ambiente naturale senza toccare la parte architettonica esterna o senza toccare quello che può essere l’obiezione di condomini non vogliono realizzare il cappotto esterno. La nostra azienda è stata la prima ad aver ottenuto il certificato bianco, quindi, noi siamo un’industria che più produce più toglie Co2 dall’atmosfera. Siamo diventati virtuoso perché la pianta di canapa, quando cresce, mangia quattro volte più Co2 di tutte le altre piante, quindi ha un valore ambientale. In più le radici hanno la capacità di sanificare i terreni, di riequilibrarli. Sui capannoni della nostra azienda, abbiamo messo pannelli fotovoltaici che ci permettono di produrre in autonomia la nostra energia elettrica. Ci viene spesso chiesto se la canapa è resistente. Certo, ha una resistenza fortissima. Nella nostra zona sono state scoperte grotte con dipinti divenute patrimonio dell’Unesco; già nel 600 d.C. per proteggere i dipinti e mantenere umidità e temperatura costanti avevano realizzato involucri in canapa e calce. È prodotto collaudato nel tempo. Abbiamo brevettato questa ricetta aggiungendo microrganismi dentro il nostro mattone ed è un brevetto riconosciuto a livello mondiale. Questo prodotto resiste nel tempo, ma può anche darsi che uno voglia demolire la casa, allora possiamo prendere i blocchi, metterci il seme e fare crescere le piante; questo mattone può essere messo anche nei terreni, diventa un prodotto naturale a tutti gli effetti e viene riaccettato dalla natura».

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Eugenio Fadda

Eugenio Fadda

Differente l’esperienza portata da Eugenio Fadda: «Noi, lavorando con l’acciaio per cemento armato, siamo più verso la demo-ricostruzione, che per il per il consumo. Su Milano abbiamo alcuni interventi, abbiamo clienti che si affidano a noi per la prossimità, per la capacità autonoma dei mezzi di sventramento della struttura e ricostruzione del solaio, fondamentalmente lasciando l’involucro della facciata retrofit
radicale. Sono sempre di più gli interventi di questo tipo e sono interventi che hanno delle direzioni lavori particolarmente esigenti e severe. E noi riusciamo ad operare bene, facendo bella figura». E quando si parla di plastiche la rigenerazione è possibile?

Paolo Benzi

«Già dagli anni ’80 – ha spiegato Paolo Benzi – abbiamo nel nostro gruppo un’azienda che si occupa della rigenerazione e del riutilizzo delle plastiche. Ci chiedono spesso che fine facciano i cellophane, dove vadano a finire. Grazie alle aziende che rigenerano, questi materiali vengono poi rimessi nella filiera; vengono utilizzati per realizzare per esempio le tubazioni per gli scarichi di acque reflue, quindi, quelle tubazioni che non veicolano acqua potabile. Questo è un ciclo di vita che non possiamo definire eterno, ma che prevede più cicli di rigenerazione. Si sente spesso parlare di seconda vita della plastica, però io ricordo c’è anche la terza vita».

Roberto Di Lellis

Recupero e riutilizzo sono termini spesso legati all’acqua come ha ricordato Roberto Di Lellis che ha posto un quesito interessante: si può dire riutilizzare l’acqua anche in edifici esistenti?

Paolo Benzi

«Assolutamente sì. Abbiamo eseguito un intervento di una di una riqualificazione un paio di anni fa in un opificio da 10.000 metri quadri  circa. In quel contesto abbiamo integrato il nostro prodotto, serbatoi polietilene, che ha il vantaggio di avere delle modularità, delle forme che si prestano molto alle riqualificazioni. Ci sono casi nei quali si possono incontrare problemi di falda o trovare la roccia, casi in cui se le situazioni già esistenti che magari se non si lavora col cemento in opera è difficile integrarsi. In questo stabilimento noi siamo riusciti a mettere una vasca volano per regimentare le acque, in questo modo abbiamo riqualificato una struttura degli anni ‘70. Quindi con una vasca volano lunga 30 metri da 50.000 litri, con il diametro di una vasca di una nostra serie più piccola, quindi con 1 metro e ½ di diametro abbiamo fatto questa riqualificazione. Poi abbiamo posizionato una vasca antincendio, un serbatoio da 70.000 litri di polietilene sempre leggero; abbiamo scavato e posizionato. Poi ci siamo occupati dell’impianto di trattamento delle acque di piazzale perché, lavorando la polvere e il polietilene ci sono situazioni di trucioli e quindi dobbiamo trattare l’acqua che può sversare nel fiume, perché quello è il recapito finale. Con lo stesso impianto abbiamo anche regimentato l’acqua del tetto; poi abbiamo messo le vasche biologiche per fare tutti i trattamenti delle acque nere e un’altra vasca per recuperare le acque de tetto per irrigare il giardino davanti. Con questo esempio si può capire che il polietilene e i prodotti che produciamo rientrano bene in un discorso di recupero delle acque».

Chiara Lavizzari

«Nell’approccio al costruito – ha sostenuto -, ci occupiamo di involucro, quindi coperture piane a falde e facciate. È chiaro che quando interveniamo sul costruito ci troviamo per forza a dover decidere se smantellare o meno. Ci sono casi in cui le impermeabilizzazioni vengono lasciate e vengono poi coperte con una nuova stratigrafia e ci avvaliamo di collaboratori partner che si occupano sostanzialmente di recuperare e riciclare quanto è smantellato. Sono anche nostri fornitori perché sono quelli da cui andiamo a comperare il materiale riciclato che rimettiamo nel processo, quindi, questo è un po’ l’approccio di una quasi autosufficienza, perché non siamo anchor arrivati al punto in cui possiamo avere le stesse prestazioni o prestazioni ottimali di 100% riciclato all’interno di un processo di produzione del poliuretano. Anche se la percentuale di riciclato aumenta sempre più; così anche il bitume sminuzzato, per esempio, per realizzare manti sintetici sta impegnando la ricerca. La progettazione di quello che sono lo smantellamento e l’intervento sul costruito parte dal primo approccio nello studio, attraverso quelle che sono le esigenze espresse e poi trasmesse e trasferite in prestazioni del prodotto o del sistema. Parlo di sistema perché in effetti si tratta di una condivisione che arriva in fase di progettazione e questa è una cosa estremamente importante perché si condividono le sensibilità e i limiti. Le esigenze devono essere trasferite e rielaborate per poter avere qualcosa che funzioni. L’edificio deve funzionare, il riuso deve funzionare, tutto deve funzionare. Sennò poi non abbiamo più edifici che curano, ma abbiamo edifici che devono essere curati».

Dal pubblico giunge una domanda che, dopo tante splendide riflessioni, porta a una quotidianità nella quale non è sempre facile interfacciarsi con la clientela. Il cliente, che è poi quello che paga, come fa a scegliere i prodotti proposti piuttosto che quelli a minor prezzo che trova nelle grandi catene di distribuzione? Come li si può convincere a scegliere la qualità?

«Mi viene sempre da fare un paragone con quello che è il mondo industriale dell’industria pesante che ha subito quattro rivoluzioni industriali. Noi in edilizia invece siamo forse alla mezza. È un po’ come quando si va al ristorante, si può andare nell’all you can eat sotto casa dove con 15 euro pranzi, oppure andare in un ristorante rinomato dove si capisce da quanto si paga che la qualità del prodotto è diversa. Non voglio parlare di un’edilizia di serie A e un’edilizia di serie Z però è quello che oggi ci troviamo a raffrontare sul mercato, quindi, quello che secondo me gli operatori possono fare è di intervenire con una onestà intellettuale che permette di far capire la differenza. L’operatore intellettualmente onesto deve saper dire “no” quando serve. Un’analisi del costruito su cui si va ad operare è sicuramente fondamentale per capire con quali tecniche dobbiamo approcciarci. La tecnica può essere pura, tradizionale, può essere un misto di sistemi innovativi e sistemi tradizionali. Oggi pensare a un mondo edile completamente bio based un po’ mi spaventa. L’edilizia non è pronta, per esempio, alle capacità produttive di queste startup che si occupano di micelio piuttosto che altro, quindi, bisogna anche interfacciarsi con un limite produttivo e generazionale che chiaramente va messo sul piatto. Quindi sicuramente un’analisi di quello su cui dobbiamo operare
è fondamentale, poi lì si sceglie.

Massimo Senini

«È una domanda che ci poniamo e la nostra soluzione oggi è spiegare che siamo un’industria, un’azienda che ha fatto ricerca e sviluppo, abbiamo inventato questo prodotto, abbiamo oltre 500 realizzazioni fatte con clienti soddisfatti. Non ce n’è uno che si lamenta, ma dico anche che abbiamo una capacità produttiva molto più elevata di quello che è la richiesta di mercato, perché abbiamo investito. Anche il passaparola è fondamentale: il cliente parla con l’amico, col fratello, col cugino e questi ci chiamano. Però l’aiuto giusto viene dato dai tecnici, quindi è il tecnico il prescrittore che ci può dare una mano in questa cultura dello sviluppo. Perché quando si parla di edilizia rigenerativa, di questi prodotti, deve essere il tecnico che è avanti rispetto ad altri tecnici e dice al cliente che questo è il prodotto più giusto, più idoneo per fare il futuro dell’edilizia. Quindi sicuramente il pallino del futuro è in mano ai prescrittori, ai tecnici. Stessa cosa vale per le pavimentazioni autobloccanti. Vedo ancora purtroppo piste ciclabili fatte con asfalto; non so se vi è capitato di camminare d’estate su queste piste ciclabili. Si respira il catrame. Sono dell’idea che dove vive l’uomo dovrebbe essere bandito l’uso del catrame, perché non fa bene alla salute dell’uomo; mettiamolo sulle tangenziali, sulle autostrade, ma non dove si vive.

Ma chi può dare una mano per un cambio di mentalità?

Eugenio Fadda

«Anche la tecnologia piò diventare un “quid” in più. Per tutti gli edifici che realizziamo, anche in aree meno attraenti rispetto a Milano creiamo dei gemelli digitali: il solaio e tutte le sue caratteristiche tecniche, il calcestruzzo utilizzato, trave per trave, posizione per posizione. Tutto è tracciato. Manca però la premialità, perché nonostante tutti i servizi che offriamo, se provo a offrire a tre centesimi in più l’acciaio non c’è nessuno che lo compra. Dobbiamo fare capire al cliente che se paga un po’ di più il servizio, poi ha una maggiore qualità quando va ad eseguire, ha una premialità da un punto di vista Cam, di sostenibilità».

Un’ultima richiesta da pubblico sposta l’attenzione sui ritardi nella proposta di progetti rigenerativi e di recupero. Ritardi dovuti alle leggi, alla realtà difficile, alla mancanza di sensibilità o a costi troppo elevati?

Paolo Benzi

«I ritardi sono legati a diversi fattori. Se penso alla Germania trovo una cultura del recupero più avanzata della nostra. Forse l’hanno sviluppata perché pagavano già l’acqua 4, 5 volte più rispetto a noi. Certamente negli ultimi anni ci siamo posti più spesso il problema del risparmio energetico; prima dell’impennata dell’energia neppure io mi ero posto il problema se installare o no un sistema fotovoltaico. C’è però anche un aspetto legato alla responsabilità di chi dovrebbe verificare le normative; le leggi ci sono, ma andrebbero in alcuni aspetti aggiustate. Inoltre, manca il controllo, se penso alle acque reflue so che si mettono gli impianti, però poi nessuno va a controllare. Questo non è un problema solo italiano, è un problema europeo. Ho assistito ad alcuni meeting con referenti a livello europeo e questo è un problema di tutta Europa, dalla Francia alla Germania. Quindi secondo me sono due le risposte; una è dal punto di vista etico e personale. Dobbiamo cercare di usare l’acqua con attenzione e insegnarlo ai nostri figli per evitare gli sprechi. L’altro invece è il punto che riguarda le leggi e la vigilanza».

Massimo Senini

«Non ci sono leggi che ci impongono di fare questi prodotti nuovi. Semplicemente è cambiato il modo di pensare delle persone, nell’ultimo decennio. È un cambiamento visibile, per esempio, nell’alimentazione; vent’anni fa si mangiava di tutto, poi si è cominciato a ricercare cibo particolare integrale, bio. Questo pensiero è arrivato anche nell’abbigliamento; prima si indossava qualsiasi indumento, anche prodotti sintetici, invece adesso si sta attenti: cotone, lana… Questa sensibilità è arrivata anche nell’ambiente della casa perché è l’involucro che ci avvolge, l’ambiente che abbiamo intorno. Quindi se prima si utilizzava di tutto, oggi la cultura, per fortuna migliorata, la sensibilità delle persone, portano a dire: “no, non mi metto intorno del polistirolo, che poi mi crea dei problemi di respirazione. Mi metto un prodotto naturale”. La bioedilizia è frutto di questa crescita che abbiamo fatto come popolo ed è una cosa molto positiva. È vero che più si va avanti più si continua a migliorare, perché se 10 anni fa ci impegnavamo a convincere una persona spiegando le cose due o tre volte, adesso anche il cliente profano capisce immediatamente che è una cosa positiva che fa bene all’ambiente e fa bene alle persone».

I premiati

di Donina Zanoli

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