La salubrità indoor è una pratica possibile

Si può cambiare il modo di pensare la progettazione e la realizzazione degli edifici in un’ottica di rigenerazione dell’ambiente. È l’obiettivo per un futuro vicino che impegna gli operatori sin d’ora a essere più attenti alla salubrità dei materiali utilizzati.

Attraverso Living Future Europe, il presidente Carlo Battisti, invita produttori, progettisti e costruttori ad entrare nell’era della rigenerazione.

Da Bolzano, dove ha sede, questa associazione no profit, impegnata a livello europeo e partner dell’americano International Living Future Insitute, promuove la cultura del regenerative design.

Rigenerazione?

«Sta diventando una parola molto utilizzata, ha spiegato Battisti, e vorremmo evitare che diventasse il nuovo sostenibile perché altrimenti siamo punto e a capo.

Per cominciare a me basterebbe che i prodotti utilizzati fossero salubri, che non creassero problemi all’ambiente, alle persone, agli utilizzatori, alle persone che ci lavorano, quindi all’industria, ma anche agli spazi abitativi.

E voi direte “vabbè dove è il problema?” I prodotti che sono in commercio sono comunque certificati, sono prodotti a norma, quindi sono prodotti già regolari. Però attenzione che Denis Hayes, fondatore della “Giornata della Terra”, sostiene che essere conforme alle regole è un gradino sopra essere illegale.

Ed è l’affermazione di chi, come presidente della Bullit Foundation, ha realizzato il Bullitt Center a Seattle, considerato l’edificio commerciale per uffici più sostenibile, meno impattante nel mondo.

Secondo il nostro l’approccio deve valere il principio di precauzionalità, il Precautionary Principle: i produttori devono mettere in commercio prodotti per i quali è acclarato che non ci sia alcun problema per le persone, sia a livello di produzione sia a livello di utilizzo al di là di ogni ragionevole dubbio».

google-gradient-canopy

Impatto sulla progettazione

«Ovviamente, basti pensare che negli Stati Uniti siamo ancora al livello in cui architetti e progettisti, sono responsabili dei prodotti che inseriscono nel progetto, cioè della salubrità di tali prodotti. Se fossimo chiamati ad una tale responsabilità, noi europei, alzeremmo bandiera bianca.

Al momento in Europa non siamo a questi livelli, però bisogna arrivarci; pensiamo al tempo che ci è voluto da quando abbiamo scoperto che certe sostanze sono veramente dannose e nocive dal punto di vista della salute ambientale ed umano, a quando effettivamente le abbiamo tolte, “bannnate” a livello normativo.

L’amianto, ritenuto dannoso dopo vent’anni, è un esempio calzante che noi italiani abbiamo purtroppo imparato a conoscere bene. Quindi bisogna capire se il prodotto è effettivamente salubre al di là di ogni ragionevole dubbio; per questo bisogna cominciare a guardare dentro il prodotto, conoscendone gli ingredienti.

Anche perché la chimica ne inventa di nuove tutti i giorni; registro che solamente a livello dell’Unione Europea ci sono circa 100.000 ingredienti chimici in circolazione.

Quanti di questi sono dannosi per la salute umana? Chi lo sa! Gli studi sul tema sono tanti e a volte sono pure in contrasto fra loro e in contraddizione con studi analoghi eseguiti negli Usa.

Negli Stati Uniti, dove hanno rilevato che di circa 84.000 ingredienti chimici in circolazione, l’ente per la protezione dell’ambiente ne ha validati dal punto di vista della salubrità 300, senza tuttavia considerare la possibile dannosità che può derivare dalla combinazione di diversi elementi chimici.

È un ginepraio! Per selezionare i prodotti dovremmo avere al tavolo progettuale un chimico che aiuti a capire se quello che stiamo selezionando è valido oppure no».

Passi avanti però si sono già compiuti “schedando” molti elementi per supportare i progettisti nel momento della scelta.

«ILFI – International Living Future Institute – ha confermato il Presidente – ha creato una “red list”; è una cosa molto importante poter contare su una lista di più di 20 gruppi di ingredienti chimici che non devono assolutamente entrare nei progetti, soprattutto nei progetti che vengono certificati col protocollo Living Building Challenge.

È una materia effettivamente difficile, ma è importante andare a guardare all’interno dei singoli prodotti. Bisogna scandagliare ad un livello che deve essere di almeno 100 parti per milione cioè pari al 0,01 % in peso per capire effettivamente quali sono gli ingredienti chimici presenti nel prodotto.

Il regolamento Reach dell’Unione Europea chiede di arrivare a 1000 parti per milione. Il controllo deve essere accurato perché abbiamo tutto il diritto di domandare ai produttori la stessa trasparenza di informazioni sulla salubrità degli ingredienti di quella che chiediamo per i prodotti alimentari, per il tessile o per altri settori economici.

Per questo ILFI ha creato un’etichetta degli ingredienti, dei prodotti per le costruzioni, ma anche per gli arredi. Il database Declare contiene molti elementi di arredo. Si tratta di un’etichetta degli ingredienti del prodotto con la quale il produttore dichiara tutti i componenti che sono al di là di 100 parti per milione, quindi ancora lo 0,01% in peso che è tanto, è effettivamente un buon livello di dettaglio.

Ci sono vari livelli di dichiarazione: un primo livello nel quale il produttore dichiara tutti i componenti e fra loro ci sono ingredienti dell’area “red list” dimostrandosi trasparente in modo apprezzato dal mercato.

Poi c’è un livello superiore nel quale il produttore dichiara tutti gli ingredienti del prodotto fino a 100 parti per milione e non ci sono componenti della red list, quindi il prodotto è salubre.

Trascorriamo gran parte della vita all’interno di spazi costruiti, quindi è molto importante sapere come questi spazi sono progettati e realizzati.

Il produttore che si allinea a questo approccio può essere meglio riconosciuto dal mercato, crea un valore aggiunto sul prodotto che viene compreso dagli operatori del settore, dai progettisti, dagli utenti e può contribuire a realizzare edifici salubri. Del resto, l’edificio non è che un assemblaggio dei prodotti».Harvard-science-engineering

Il ruolo dell’informazione

«C’è un database dove si possono trovare queste informazioni, sono catalogati al momento più di 1200 prodotti da costruzioni e prodotti di arredo. Quelli realizzati in Europa sono circa 180.

L’etichetta riporta gli ingredienti, dove è realizzato il prodotto, da dove arrivano le materie prime, cosa succede al prodotto a fine vita o a fine della prima vita, cioè se può essere riutilizzabile, riciclabile, compostabile, quali sono le emissioni di CO2 legate alla sua realizzazione.

Sono informazioni importanti che abbiamo scoperto grazie ad un lavoro realizzato con Giambattista Brizzi, Alice Piovan ed altri all’interno del Technical Advisor Group che abbiamo istituito presso Living Future Europe.

È un lavoro che ottempera alle direttive dell’Unione Europea, che si sta muovendo a tutto campo sul tema dei prodotti in maniera molto convincente e anche veloce; per questo a volte si fatica a seguire i nuovi regolamenti, le iniziative come per esempio la EU Taxonomy, ossia il protocollo di riferimento per definire la sostenibilità delle aziende che stanno sul mercato, di qualsiasi tipo di azienda.

Un obbligo già in vigore che riguarda tutti e per affrontarlo possiamo contare su Declare che può dare informazioni sui prodotti senza ingredienti della “red list” già conformi con la tassonomia dell’Unione Europea.

Decarbonizzazione

«La decarbonizzazione è “the new energy efficency” – ha precisato Battisti -, è tutto ciò che prima era rappresentato dall’efficienza energetica; nelle direttive europee sta diventando la rotta da seguire. Alla fine di questo decennio, non so come ci arriveremo, tutti i nuovi edifici, privati o pubblici, dovranno essere Carbon Neutral, quindi veramente c’è tanto da fare.

Anche l’informazione sulle emissioni di CO2 del prodotto è interessante per la nuova EPBD (Energy Performance of Buildings Directive) perché riguarda l’efficienza energetica e la decarbonizzazione. Il regolamento Reach ne ha fatto già un piccolo accenno; questo regolamento dice che i produttori in Europa devono dichiarare gli ingredienti e se ci sono componenti nocivi e dannosi.

Poi c’è anche l’iniziativa di ChemSec, agenzia svedese, che sostanzialmente si appoggia al regolamento Reach dell’Unione Europea ed ha creato la Sin List. Sin è un acronimo che sta per sobstitute is now, è quindi una lista di ingredienti chimici che molto probabilmente a breve verranno eliminati dall’Unione Europea. I produttori devono cominciare a trovare alternative per sostituire questi ingredienti.

Innovazione

Dietro tutto questo si cela un grande driver per l’innovazione perché le aziende sono portate a cambiare i propri processi produttivi, a trasformarli e trovare qualcosa di nuovo.

Level(s) è il framework dell’Unione Europea per la sostenibilità dell’ambiente nel quale c’è tutta l’azione sulla circolarità, l’economia circolare dell’Unione Europea

e spinge affinché il prodotto sia riutilizzabile, assemblabile, riciclabile, affinché si sappia come è fatto, dove va a finire. Son tutti temi che dobbiamo considerare, per non parlare della biodiversità.

Emanuele Naboni ha mostrato i diagrammi dello Stoccolm Resiliant Center attraverso i quali abbiamo scoperto che il primo problema non è rappresentato dall’emissione di CO2, il gas serra, ma è la perdita di biodiversità. Quindi i prodotti devono avere un impatto positivo sull’ambiente.

Per non parlare dell’Ecolabel e della decisione dell’Unione Europea di chiedere alle aziende di spiegare in maniera coerente, seria e basata su dati scientifici cosa stanno dichiarando dal punto di vista della “sostenibilità”.

È una direttiva nuova e ancora non è chiaro cosa succederà, quali siano i requisiti, intanto la macchina si è messa in moto.

Declare può combinarsi con vari protocolli, sul sito di Living Future Europe è scaricabile una pubblicazione che spiega come Declare è combinabile con le direttive e le iniziative europee e anche con i protocolli di certificazione europei. Declare è già riconosciuto in Leed, in Well e in altri protocolli abbastanza noti».Cal-Guerxo

Regenerative

In questo percorso vi è anche il tema del Regenerative. «Un tema che abbiamo cercato di definire con Emanuele Naboni in un lavoro di quattro anni, all’interno del progetto Restore.

Per un anno, insieme a 160 ricercatori da 40 nazioni europee, abbiamo lavorato per capirci sul termine sostenibilità, che rappresenta il “ridare” all’ambiente ciò che abbiamo preso e, compiendo un ulteriore passo, siamo arrivati al restorative, cioè a recuperare i danni che abbiamo causato all’ambiente.

Ma non basta, regenerative è andare ancora oltre, significa creare le condizioni perché gli ecosistemi si sviluppino in maniera florida e quindi che gli edifici possano avere un impatto positivo dal punto di vista ambientale.

E non si parla solo di energia, ma anche del ciclo dell’acqua, dei materiali, dei prodotti e della salute delle persone; è un concetto molto più allargato che adesso è diventato imprescindibile e può essere riassunto nella traiettoria di un grafico lungo la quale il punto “green” rappresenta il “fare meno male” e il “sustainable” è il punto di bilancio nullo dove compensiamo gli effetti negativi con quelli positivi.

Non siamo ancora lì. Dobbiamo proseguire lungo questa traiettoria. Il settore delle costruzioni è così impattante dal punto di vista ambientale (40% per le emissioni di CO2, e non solo) che dobbiamo fare qualcosa; abbiamo una responsabilità come progettisti, architetti, ingegneri, produttori, sviluppatori.

Tradotto in termini di curva della rigenerazione sugli edifici significa muovere il settore verso uno scenario più rigenerativo. Yvon Chouinard, ceo di Patagonia, sostiene che non dobbiamo iniziare a parlare di sostenibilità fin quando non abbiamo restituito all’ambiente tutto ciò che abbiamo preso.

Per farlo bisogna cambiare paradigma, bisogna capire dal punto di vista concettuale cosa può fare più bene anziché cosa può fare meno male. Noi pensiamo che le aziende siano sempre degli inquinatori perché impattano sull’ambiente per il solo fatto che producono qualcosa.

Per cambiare questo paradigma il Fee si è inventato la Positive Handprint; conosciamo l’impronta negativa di carbonio, cioè la Footprint, con la quale misuriamo il nostro impatto e cerchiamo di ridurlo.

Il Fee si è chiesto: perché con gli stessi strumenti di calcolo non valutiamo anche gli impatti positivi mettendo i due parametri sulla bilancia? Potremmo scoprire che un’azienda può diventare meno negativa o essere nulla dal punto di vista dell’impatto ambientale o addirittura diventare positiva.

È un cambiamento di scenario che dal punto di vista concettuale è rivoluzionario perché, se le aziende e il mercato cominciano a ragionare in questo modo, finisce l’era della sostenibilità triste, frustrante.

Si sovverte lo scenario; l’analisi dei processi si estende a tutto il ciclo di vita dalla culla, ossia dall’estrazione delle materie prime, al cancello, ossia al camion o al bilico che esce dal cancello della fabbrica, sino ad abbracciare tutti gli altri aspetti positivi dell’azienda, per esempio come utilizza l’energia da fonti rinnovabili per il proprio processo produttivo, se in questo processo riesce ad agire positivamente sul ciclo dell’acqua.

Considerare ciò che può creare un impatto positivo; dal monocriterio della salubrità dei prodotti l’attenzione si sposta poco a poco verso il multilivello, il multidsciplinare, riscontrando magari un impatto più rigenerativo.

È un cambiamento interessante ed è l’oggetto della certificazione di economia circolare che si chiama Living Product Challenge, messa a punto da ILFI, che è basata su una serie di imperativi. Il simbolo è la farfalla monarca perché è colorata “in pasta” come si direbbe nel mondo delle piastrelle, il tessuto dell’ala è blu in maniera naturale e perché è un esempio di trasformazione.

Quella trasformazione che si vorrebbe vedere nelle aziende avviate in un percorso più rigenerativo, basato sulla salubrità dei prodotti e sull’analisi del ciclo di vita, in modo da ragionare su un’effettiva rigenerazione e su un impatto ambientale positivo alla fine del percorso.

Aziende che possono fare bene all’ambiente non in senso di green wash o green cleaning, ma effettivamente in maniera positiva, contribuendo a realizzare nel mondo un ambiente migliore. L’etichetta diventa così una specie di passaporto, di carta di identità del prodotto». Delos-NewYork

Idee, proposte, studi, fattibilità

«Dalle idee si può passare ai fatti e porto alcuni esempi nei quali sono stati utilizzati prodotti selezionati. Il primo edificio è il nuovo complesso di Google a Mountain View, progettato da Big in collaborazione con Eterwick.

È un progetto certificato Living Building Challenge e in questo mega complesso molto interessante dal punto di vista architettonico non c’è un solo prodotto della red list.

I progettisti hanno scandagliato il progetto in modo da realizzarlo in maniera completamente salubre. Il secondo progetto al quale voglio fare riferimento è un edificio molto grande, è il nuovo centro di ricerca di Scienza e Ingegneria di Harvard.

Un complesso enorme certificato Living Building Challenge. In questo caso il team di progettazione ha passato in rassegna più di 6000 prodotti. Un lavoro ciclopico, che ha comportato non poche difficoltà nel reperimento delle informazioni.

Il terzo progetto, il primo certificato Living Building Challenge in Spagna, è una casa di civile abitazione all’interno di un villaggio rurale nei Pirenei. Il proprietario, già consulente Living Building Challenge, si è impegnato nella ricerca di materiali locali raggiungendo un ottimo risultato anche in un progetto a scala più ridotta.

Un altro edificio certificato con il Living Building Challenge sempre sotto il petrol dei materiali è quello che ospita gli uffici di Delos e l’International Well building Institute.

È posto all’inizio della High Line di New York City. Infine, voglio portare l’esempio di un complemento d’arredo; una poltrona da ufficio di Humanscale che è leader nella sostenibilità negli arredi per ufficio.

Sono riusciti a eliminare il Pvc che è nella red list e il cromo esavalente dalle cromature. Sono scelte che rendono più complessa la produzione di una poltroncina ma la rendono anche più salubre».

di Carlo Battisti
Presidente Living Future Europe

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.