La società in cui viviamo è riuscita a imporre un modello di consumo/spreco che richiede la sostituzione degli oggetti d’uso con un ritmo crescente. Questo paradigma ha interessato prima il vestiario attraverso il lancio di mode che presentavano con cadenza semestrale modelli diversi per spingere alla sostituzione di oggetti che un tempo venivano utilizzati fino alla completa consunzione.
Lentamente questa modalità d’uso si è diffusa anche a beni originariamente più durevoli sino a interessare gli edifici: le finiture interne, i mobili e alla fine le intere costruzioni sono pensate con cicli di vita ridotti che ne promuovono la sostituzione anche quando non ve ne sia
necessariamente il bisogno, magari attraverso la leva degli incentivi fiscali e/o economici.
In sostanza pare quasi che sia stata dichiarata guerra all’invecchiamento degli oggetti cercando di eliminarli e rinnovarli prima che da antiquati si trasformino in antichi. Trovo questa trasformazione semantica particolarmente interessante per il modo in cui accade.
Senza cercare di sottrarre il mestiere ai colleghi che si occupano di restauro (e che quindi sul tema sono certamente più esperti) o appoggiarmi a riferimenti normativi che portano a proteggere le costruzioni di una certa età, ho provato a fare una riflessione sull’invecchiamento degli oggetti e, in particolare, degli edifici.
L’invecchiamento dei materiali
La prima considerazione è legata ai materiali utilizzati nelle costruzioni. Un tempo l’uso delle velature in calce sui muri, dei coppi sui tetti e del legno per realizzare infissi, tetti e strutture orizzontali, portava a un invecchiamento continuo e costante dei materiali che riuscivano ad accogliere la patina del tempo trasformandosi lentamente in soggetti di “mezza età” per diventare quindi “antichi” a tutti gli effetti.
Tale costatazione non è possibile per i materiali plastici con cui erano fatti i mobili degli anni ‘70 o le pitture sgargianti di plasticone o in calcio silicato che quando sbiadiscono diventano immediatamente e irrimediabilmente “vecchie” richiedendo corposi interventi di manutenzione.
Credo che ci siano materiali e soluzioni di progetto che assorbono meglio lo scorrere del tempo: un tetto a falde favorisce generalmente il lento invecchiamento di un edificio permettendogli di diventare “anziano”, mentre i tetti piani portano più facilmente a una richiesta continua di manutenzione per impedirne l’invecchiamento.
Tornando alla vernice sgargiante, liscia e continua di un mobile o di una porta trattata con colori all’anilina oppure realizzata con una plastica di colore omogeneo e uniforme, è evidente che ogni minimo graffio, crepa, ammaccatura o variazione di colore, per l’inevitabile invecchiamento del polimero, verrà percepito come inaccettabile immagine dell’invecchiamento, mentre una porta in legno verniciata con adeguato impregnante tenderà ad invecchiare assorbendo imperfezioni e mutazioni prodotte dal tempo.
Ovviamente quanto appena scritto rappresenta una grossolana semplificazione di un problema articolato e complesso che andrebbe approfondito, ma certamente esistono materiali e soluzioni di progetto che rendono possibile un migliore e più accettabile invecchiamento degli edifici richiedendo una manutenzione più semplice e limitata.
Invecchiamento degli edifici in legno
Se è vero che il legno tende a invecchiare in maniera generalmente più gradevole rispetto ad altri materiali, alcune parti dell’edificio tendono a degradare più rapidamente, specialmente nel caso di costruzioni a tetto piano che non forniscono protezione delle facciate dalla radiazione solare e dal dilavamento dell’acqua meteorica.
L’uso del tetto piano è oggi molto in voga negli edifici in legno, mentre nel passato tutte le costruzioni in legno erano dotate di tetti a falde con conseguente adeguata protezione delle facciate. La soluzione attuale produce, il più delle volte, una trasformazione dei paramenti esterni che “si macchiano” perché alcune parti della facciata in legno (quelle più esposte e dilavate) invecchiano più rapidamente di quelle protette.
È così a una prima immagine della facciata con finitura omogenea, segue un periodo con grande differenza cromatica per tornare in seguito, ma con lassi ti tempo anche molto variabili, a una (certa) omogeneità. Come si vede la scelta dei materiali non può prescindere dalla soluzione morfologica!
Proprio a questo riguardo alcuni mesi fa con un collega del Politecnico e un’azienda che si occupa di costruzioni in legno abbiamo iniziato una riflessione comune per immaginare come limitare o “accompagnare” l’invecchiamento degli edifici in legno. Ci siamo detti: “perchè non immaginare finiture differenziate che permettano alle facciate, diversamente orientate ed esposte, di invecchiare dignitosamente?