Metaverso e architettura: è l’ora del meta progettista

Utenti con casco VR in visita virtuale a New York

Nel romanzo Snow Crash, scritto nel 1992 da Neal Stephenson, viene utilizzato per la prima volta il termine Metaverso, associato a uno spazio virtuale dove è possibile fare esperienze condivise con milioni di persone grazie a sistemi di realtà digitale. Esattamente identico a quello che, circa trent’anni dopo, nel 2021, ha proposto Mark Zuckerberg, ideatore di Facebook, per i suoi utenti. Il metaverso consente di poter comunicare non soltanto tramite la nota piattaforma social, ma anche con l’interazione tramite un avatar, clone digitale di un personaggio che non è detto abbia i connotati dell’utente, che si identifica con ognuno e che abiti esclusivamente lo spazio virtuale.

In realtà già nel 2003 la piattaforma Second Life proponeva di costruire mondi virtuali 3D dove incontrare altri utenti che, sempre attraverso una propria controfigura tridimensionale, potevano frequentarsi e svolgere funzioni, seppur esclusivamente in forma digitale. Ma mentre Second Life non poteva proporre un movimento real-time, con sistemi Vr del personaggio sintetico, non essendoci ancora a disposizione protocolli veloci di interscambio informativo 3D e, soprattutto, caschi virtuali in grado di garantire un efficace funzionamento dell’apparato, con l’introduzione di dispositivi ottici ad alta definizione e di fibre ottiche per usufruire della necessaria rapidità grafica richiesta dall’interazione, assieme ad altre non secondarie condizioni, è stato possibile proporre questa nuova modalità di utilizzo della rete.

Il Metaverso del romanzo, come specifica il nome, è la combinazione di meta (dalla Metafisica di Aristotele, oltre la fisica) e verso (forma contratta di universo), vale a dire uno spazio che Stephenson associa a una sfera nera il cui raggio supera i 10 mila chilometri, con una circonferenza di 65.536 chilometri, maggiore di circa il 50% rispetto alla dimensione fisica del nostro pianeta (che è di circa 40 mila chilometri). Il numero corrisponde a quel 216 che chi frequenta il mondo dell’informatica conosce da tempo, per essere ricorrente, sia che si tenga conto della potenza elaborativa dei processori sia della memoria di lavoro o della risoluzione grafica.

Nello spazio del romanzo, come in quello che si sta attuando proprio in questi anni nella rete, è possibile progettare e edificare volumi, architetture, ambienti tali che possano essere esplorabili ovviamente nei limiti offerti dall’assenza della fisicità, come similmente già poteva essere fatto in Second Life. Da questo punto di vista gli strumenti digitali di modellazione offrono già i mezzi per poter interagire con quel mondo virtuale frequentato dagli utenti dei videogame, in cui gli spazi in cui si sviluppano le avventure offrono in alcuni casi grande realismo figurativo, accentuato spesso dall’uso di tessiture di materiali molto verosimili.

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Utente con casco VR e relativo avatar nel Metaverso

Ci potremmo interrogare su quale possa essere allora il possibile utilizzo del Metaverso da parte di un utente progettista. Sicuramente la fruizione a distanza di un modello digitale in scala reale può consentire ai diversi attori del processo costruttivo di vedere e interagire con un progetto nella sua fase ideativa, esplorando assieme lo stesso manufatto in potenza e magari chiedendo all’architetto di modificare geometria, materiali o dettagli dell’opera in tempo reale, così da poter evitare le varianti in corso d’opera, sia di natura qualitativa sia funzionale, che spesso caratterizzano ogni opera nel suo farsi. Dall’altro lato, un architetto può creare il proprio portfolio di progetti, realizzati e non, così da condividere le proprie soluzioni in modo da renderle visitabili e dare corpo alla propria ‘città ideale’ che contempli l’idea generale che sta alla base delle proprie intenzioni architettoniche.

Ma l’opzione che sicuramente incuriosisce di più è quella di visitare mondi reali a distanza, come quelli che già Google Earth mette a disposizione degli utenti che osservano dall’alto interi contesti urbani. New York, Roma, Berlino, Venezia sono oggi usufruibili tramite un semplice e immediato sistema di puntamento, come il mouse o le proprie dita, così da avere una mappa stereometrica della città che stiamo sorvolando. Dotati di casco virtuale e di dispositivi numerici di navigazione, quando una potenza di calcolo necessaria ce lo permetterà, in tempi molto prossimi come sappiamo, sarà possibile visitare a distanza intere città, architetture o magari anche mostre temporanee che rimarranno archiviate per sempre nella memoria di qualche cloud, diventando, queste ultime, esposizioni virtualmente permanenti a fruitori digitali.

In tal modo sarà anche possibile visitare la città di Pompei nella sua configurazione storica, passeggiare sotto le Torri Gemelle newyorchesi del World Trade Center, prima del crollo del 2001, o visitare ambienti reali, ma molto distanti dal luogo in cui ci troviamo. Sarà infine possibile passeggiare sui pianeti che costellano la nostra galassia, molti dei quali sono già ora perlustrabili tramite Google Maps, con una semplice operazione di zooming, come facciamo quando cerchiamo la distanza per raggiungere un luogo specifico.

A breve, pertanto, sarà possibile darsi appuntamento sulla superficie lunare, per simulare con il casco virtuale quella straordinaria esperienza vissuta da Neil Armstrong e Buzz Aldrin nel lontano 1969, dopo il primo allunaggio della storia umana: una passeggiata possibile questa volta, senza spostarci dal nostro ambiente di lavoro o, ancor più comodamente, dal soggiorno della nostra abitazione.

 

di Alberto Sdegno, Direttore del Master in Building Information Modeling presso l’Università di Udine (da YouBuild n. 28)

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