Progettare? È un cinema: la modellazione 3D per costruire set

Tra le novità tecnologiche che possono interessare chi si occupa di costruzione dell’architettura, paradossalmente vi è proprio lo sviluppo delle interfacce virtuali. Rappresentazione virtuale ed edificazione effettiva, infatti, sembrano essere strettamente correlate nel processo di progettazione e di realizzazione di un manufatto in cui svolgere funzioni umane, siano esse di vita domestica, di lavoro, di svago.

Tra le attività che un architetto può svolgere c’è anche quella di scenografo cinematografico, vale a dire di colui che progetta e costruisce set che serviranno come ambientazioni per film. In realtà, per la tipologia stessa di lavoro, la costruzione temporanea di allestimenti che verranno utilizzati per singole sequenze di lungometraggi, non verrebbe richiesta una laurea con relativa abilitazione alla professione. Si pensi a Dante Ferretti, vincitore di numerosi premi per le sue scenografie di produzioni filmiche con la regia di Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Martin Scorsese, Brian De Palma, solo per citare alcuni dei registi con i quali ha lavorato, o Franco Zeffirelli che, oltre ad essere stato un regista di fama internazionale, ha curato scenografie sia per spettacoli teatrali che cinematografici.

Lo sviluppo delle tecnologie digitali oggi richiede che un set cinematografico sia progettato e realizzato anche in forma numerica, oltre che analogica. Spesso, infatti, di fianco alle scene reali, costruite sia all’interno di spazi urbani o dentro ambienti architettonici, vengono utilizzate ricostruzioni virtuali che hanno molteplici vantaggi: da un lato permettono un consistente risparmio di materiale e manodopera per la messa in opera del manufatto, che richiede di frequente la predisposizione di un vero e proprio cantiere, dall’altro permette la realizzazione di sequenze particolarmente problematiche che possono prevedere demolizioni e distruzioni di interi quartieri o città, per seguire il plot narrativo previsto dal regista.

Vero è che in passato si faceva largo uso di modelli in scala ridotta, si pensi a Metropolis di Fritz Lang del 1927, a 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick del 1968 o a Blade Runner di Ridley Scott del 1982, in cui gran parte delle architetture o singoli oggetti presenti erano in cartone o legno che, ripresi con sofisticate telecamere con particolari obiettivi, potevano evitare del tutto la costruzione di costosissime scenografie. Film come Il Gladiatore del 2000, sempre di Ridley Scott, in cui il Colosseo romano è riproposto con una puntuale anastilosi digitale, o Avatar del 2009 di James Cameron, girato prevalentemente in una foresta virtualmente ricostruita al computer, ma riproposta nel film con la tecnologia green screen, vale a dire sovrapponendo personaggi in uno spazio reale di colore verde al quale è associata la scena.

Gli effetti speciali, da sempre una tecnica ampiamente utilizzata per la produzione di film, si pensi alle prime esperienze di fine Ottocento condotte da Georges Méliès, inventore di stratagemmi filmici di grande impatto emozionale, possono oggi essere sviluppati con software e hardware specifico, rivolto alla elaborazione sofisticata di personaggi, scenografie, oggetti.

Non a caso anche la Walt Disney Company ha deciso di orientare i film d’animazione nella direzione della modellazione 3D, mettendo da parte le tecniche tradizionali basate sul disegno di singoli fotogrammi da montare con strumenti da ripresa a passo uno per realizzare la sequenza finale. Con le acquisizioni delle due principali società di computergrafica del settore, Pixar e Lucasfilm, da parte della citata grande holding californiana, avvenute rispettivamente nel 2006 e nel 2012, i cartoon sono diventati di fatto uno dei più sofisticati prodotti del mondo digitale, finalizzati alla produzione di film di animazione. Non bisogna dimenticare che il primo lungometraggio di questo tipo è Toy Story, del 1995, diretto da John Lasseter e realizzato proprio dalla Pixar Animation Studios, in cui i giocattoli si muovevano in maniera così disinvolta e spontanea da sembrare umani.

Viene da chiedersi, allora, come sarebbe avvenuta la costruzione di set tradizionali di grandi produzioni cinematografiche del passato se gli scenografiavessero avuto a disposizione le nuove tecnologie di cui oggi possiamo disporre. Un utile esercizio formativo, pertanto, può essere quello di ricostruire per via numerica scene e oggetti reali facendo uso di procedure di modellazione che prevedono l’impiego di primitive grafiche avanzate per la realizzazione virtuale di prototipi.

Pensiamo per esempio a Blade Runner, del quale abbiamo già parlato, che in alcune scene prevede la presenza di avveniristiche automobili volanti, chiamati spinner nel film, che atterrano su grattacieli luminosi, dislocati in una Los Angeles del futuro. In questo caso l’attività non è soltanto legata al tema della realizzazione di un modello virtuale, ma anche alla simulazione degli aspetti cromatici e dei materiali dei singoli oggetti in cui avviene la sequenza. A ciò si aggiunge il dinamismo degli stessi nell’ambiente e il movimento della macchina da ripresa che registra l’intera scena.

Se pensiamo che di frequente tutto avviene grazie all’impiego di un unico software di produzione digitale, solitamente un programma che consente a un tempo di gestire procedure di modellazione e animazione, ci rendiamo conto di come i costi generali di realizzazione cinematografica potrebbero essere notevolmente compressi rispetto al passato, salvo considerare che raramente un unico utente sia in grado di controllare nella sua interezza un intero prodotto, ma le competenze siano talmente diversificate da avere diversi attori: un esperto di modellazione, un operatore nella gestione del colore, un abile addetto alle luci, un tecnico nella gestione del movimento, oltre ad un cineoperatore, sebbene tutti declinati nella forma prevista dalle competenze digitali.

di Alberto Sdegno, Direttore del Master in Building Information Modeling presso l’Università di Udine (da YouBuild n. 26)

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