L’architettura italiana recente soffre di eccessivo formalismo. Non più quello dell’iscrizione dell’edificio in un codice totalizzante, ma quello della parcellizzazione dell’immagine iconica a discapito dell’unità dell’insieme. Una singola caratteristica (prevalentemente l’involucro) è assunta come unico indicatore linguistico. Le ragioni per cui si è arrivati a questa condizione sono diverse: rottura dei codici formali ereditati dal passato e loro impiego scevri dalle ideologie che li accompagnavano, rifugio consolatorio nell’istantanea di un’immagine di fronte a un mercato che parcellizza le tecniche, disponibilità dei significanti architettonici a essere colonizzati da significati superficialmente codificati, velocità di una pubblicistica nel costruire identità istantanee rinunciando ad ogni ruolo critico.
Non c’è qui spazio per una disanima dei processi che hanno portato a tale condizione, fatto sta che «the show must go on» e gli edifici sono diventati una delle tante merci di scambio che opera secondo i canoni del marketing sfruttando l’impatto dell’immagine o di un messaggio fittizio applicato.
L’opera di Stefano Pujatti e dello studio ElasticoFarm è, allo stesso tempo, conferma ed eccezione di questa condizione.
Da un lato c’è l’esasperazione individualistica di ogni opera costruita che li allinea a meccanismi di autoaffermazione proposti dal mercato consumista, dall’altro c’è una volontà di frammentazione delle parti di un edificio che offre un commento sulla situazione di perdita dei riferimenti della contemporaneità. Tra affermazione e rottura della forma si instaura un corto circuito che dissemina sempre nuove proposte, non privilegiandone mai una consolidata e ciò è stato interpretato come un filone di ricerca.
Questo modo di operare ha funzionato bene nei lavori di piccola scala, case, cimiteri, ristrutturazioni, tutti tesi alla specificità di singoli contesti. Nella dimensione accresciuta di alcuni lavori recenti, l’amplificazione delle procedure decostruttive ha, tuttavia, raggiunto una condizione caricaturale come nella megastruttura del condominio chiamato Le bâtiment descendant l’escalier, al Lido di Jesolo e nel neoplasticismo delle due Houses of Cards a Torrazza, vicino a Torino.
Con S-Lab, il laboratorio dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Torino, ElasticoFarm ha dovuto confrontarsi con un programma funzionale specifico (laboratori dove sono prodotti macchinari di precisione) e con i limiti di un’edilizia prefabbricata standard, da capannone produttivo. L’impossibilità di sublimare l’architettura nell’estetica li ha portati a fare i conti con una sorta di grado zero dell’edilizia, che accomuna gli oggetti anonimi prodotti industrialmente e fatti di componenti seriali. Il laboratorio è un edificio ibrido, a metà strada tra il produttivo, il terziario e lo scolastico.
Il programma vede uno spazio a luce unica centrale di grande altezza con carro ponte, la sala macchine, contornato da appendici (uffici, laboratori, servizi e locali tecnici), che formano volumi più bassi terrazzati verso l’esterno. L’edificio è stato risolto con una struttura in cemento armato prefabbricato, un telaio a vista di pilastri, travi e copponi, tamponato esternamente con analoghi pannelli, i quali si alternano a campiture vetrate o trattate con superfici traslucenti in policarbonato alveolare.
Ingabbiato in questo domino ortogonale e impossibilitato di attuare le sue solite deformazioni spaziali, Pujatti ha scelto di lavorare sulla gradazione di volumi e, soprattutto, sul rivestimento, trattando i pannelli con diversi colori pastello, sfalsando i corsi verticali, incrociandoli e proiettandoli oltre gli angoli. Elementi che compongono una sorta di domino che smonta percettivamente la scatola edilizia in un pattern che pare non finito, che potrebbe estendersi nel futuro.
Questa instabilità affidata a un unico elemento è, da un lato, coscienza del limite (posso giocare solo sul rivestimento), ma anche un tentativo di sublimarlo (caratterizzo i singoli componenti, le loro relative posizioni). Teso dialetticamente tra evidenza coloristica delle parti e scomposizione dell’insieme il S-Lab segna sicuramente un avanzamento nel lavoro di Elastico oltre il formalismo verso un ripensamento critico delle tipologie e delle tecniche standard.
La tensione tra individualità e anonimato del capannone rimane, tuttavia, in parte irrisolta. L’arlecchino pittoresco della pelle cangiante è un carattere troppo evidente per sé e non per l’involucro nel suo insieme. La natura del contenitore neutrale e lo spazio interno rimangono, infatti, indifferenti al gioco delle facciate. La riduzione dell’individualismo di una parte fa risaltare il grado zero del prefabbricato e una natura parcellizzata delle sue parti a vista che, forse, andrebbero anch’essi coinvolti in un ripensamento globale.
di Pietro Valle, Politecnico di Milano (da YouBuild n.23)
LA SCHEDA
Progetto: Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Torino
Luogo: Torino
Progetto architettonico: ELASTICOFarm (Stefano Pujatti, Alberto Del Maschio, Valeria Brero, Serena Nano, Daniele Almondo, Andrea Rosada, Monica Ierace)
Committente: Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
Progetto strutturale: Arching
Progetto impianti: Projema Engineering
Impresa edile: Ruscalla Renato
Prefabbricati: Alciati
Impianti: Paolin Impianti
Cronologia 2016-2020
Dati dimensionali: Superficie lotto di intervento: 7.500 mq; totale SLP: 1.776 mq
Costo: 1.760.000 €
Info: www.elasticofarm.com
Fotografie di: Anna Positano, Gaia Cambiaggi – Studio Campo