L’architetto digitale: dopo 20 anni arriva il Bim manager

Il prossimo anno ricorrerà un anniversario importante per il mondo delle costruzioni, anche se presumibilmente non verrà ricordato: il 16 dicembre 2002, infatti, è stata proposta l’adozione dell’acronimo Bim per qualificare uno dei più rilevanti processi di elaborazione della progettazione e produzione edilizia con gli strumenti digitali.

L’entusiasmo verso questo anniversario, però, deve essere subito stemperato. Difficilmente, infatti, verrà rievocata tale data e questo per almeno due motivi: il primo è che l’espressione Building Information Modeling è stata presentata su di un bollettino autoprodotto diffuso sul web da Jerry Laiserin, analista americano già autore di contributi sul tema del Cad, intitolato The Laiserin Letter.

Non, quindi, una dichiarazione ufficiale da parte di una prestigiosa istituzione, ma una felice intuizione di un singolo che, dopo la pubblicazione in rete del breve testo, ha deciso di invitare a un dibattito pubblico i rappresentanti di Autodesk e Bentley per discutere sull’argomento nell’aprile dell’anno successivo presso il Massachusetts Institute of Technology.

Il secondo motivo è che, di fatto, il Bim ha ben più di vent’anni, poiché già dagli anni Settanta del secolo scorso si comprese che gli strumenti Cad, sviluppati grazie a cospicui investimenti al Mit da parte del ministero della Difesa americano, presentavano elementi di debolezza nel momento in cui dovevano essere impiegati per l’architettura.

Il Computer Aided Design Project, questo il programma di lavoro sul tema del disegno numerico avviato al Mit agli inizi degli anni Sessanta, riscuoteva molto successo per la sua flessibilità operativa, come programma generico di disegno in 2D e 3D, ma risultava di difficile impiego per gli architetti, il cui disegno è normato da una serie di elementi (muri, porte, finestre, scale) che gli strumenti Cad consentono solo dopo complesse operazioni.

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Prospetto del modello Bim della rampa elicoidale del progetto. Elaborazione di Paola Cochelli

Già dai primi studi di Charles Eastman, comparsi appunto a partire dagli anni Settanta, si pensi al Building Description System, l’obiettivo è stato quindi di superare i limiti di un disegno geometrico in cui la computazione non teneva conto del valore aggiunto dato dal contenuto informativo. Al disegno semplificato di unità architettoniche, infatti, Eastman aggiunge l’informazione relativa a ciò che tali geometrie rappresentano: forme specifiche di tipo edilizio, materiali impiegati e relative proprietà, database di costi, ipotizzando un uso diffuso a tutti i protagonisti del processo edilizio.

Nasce, quindi, il principio che ha permesso quella evoluzione fisiologica, con innumerevoli rapporti di ricerca e studi scientifici sviluppati nel tempo, che ha condotto alla definizione di uno standard operativo al quale qualsiasi casa produttrice di software può adeguarsi nella formulazione di primitive grafiche e procedure, così da permettere la condivisione di medesimi contenuti su piattaforme diverse.

Ma le potenzialità del Bim vanno ben oltre l’associazione di una base dati informativa alla rappresentazione digitale di forme. Basti pensare che si modifica sostanzialmente l’approccio dimensionale tipico delle procedure Cad: al semplice disegno bidimensionale cui fa seguito la rappresentazione tridimensionale, con il Bim si lavora fin dall’inizio con un modello 3D, che si configura come il vero fulcro della figurazione, mentre il disegno 2D viene generato a posteriori in maniera automatica dal sistema.

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Ricostruzione Bim del Mercato Coperto di Trieste di Camillo Jona. Elaborazione di Paola Cochelli

Inoltre, altre dimensioni sono tenute in considerazione: dalla gestione dei tempi di progettazione e costruzione (il cosiddetto 4D) e la valutazione economica desunta a partire dal computo automatizzato, determinato dai valori associati in fase di inserimento dei dati (5D). Né viene tralasciato l’aspetto relativo al facility management, che si preoccupa di monitorare lo stato del manufatto dopo la sua costruzione, attraverso un controllo del processo di manutenzione (chiamato 6D). Infine, anche la valutazione energetica e la sostenibilità, argomenti di grande attualità, possono essere tenute in considerazione nel processo Bim, in quella settima dimensione (7D) indicata nel processo operativo.

A queste se ne potrebbero aggiungere altre, come il controllo della sicurezza in cantiere, già da alcuni indicato come 8D, man mano che vengono individuati i protocolli normativi che fissano le regole da adottare.

Nuove figure professionali, inoltre, sono richieste in ambito lavorativo, che possano qualificare in maniera opportuna le esigenze delle nuove attività. Si pensi ai Bim specialist, capaci di gestire la modellazione in fase di input e di interrogazione dei dati; al Bim coordinator, che svolge un’attività di coordinamentodi questi ultimi, in modo da verificare la correttezza dei dati e  l’omogeneità degli stessi; al Bim manager, che deve essere in grado di gestire un intero progetto, nelle sue differenti componenti procedurali e professionalità. Tutte figure che ormai richiedono specifiche certificazioni in modo da garantire precise qualificazioni e competenze nell’atto di proporsi in ambito occupazionale.

Grazie al processo Bim è possibile, quindi, avere una stretta condivisione delle informazioni tra i tanti attori coinvolti nella realizzazione di un manufatto. Lo stesso file, denso della ricchezza di contenuti di cui abbiamo accennato sopra, sarà a disposizione dell’architetto, dell’ingegnere, del committente, del costruttore, e di tutti coloro che sono coinvolti nel processo di produzione dell’architettura. Come nelle intenzioni di Eastman, di cui abbiamo detto, elaborate circa mezzo secolo fa.

di Alberto Sdegno, Direttore del Master in Building Information Modeling presso l’Università di Udine (da YouBuild n.20)

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