Il quartiere del Borgo Dora, a Torino, è uno dei luoghi più iconici della città. Collettivamente è riconosciuto per il Balon, un grande mercato delle pulci che, assieme alla zona di Porta Palazzo, costituisce l’area mercantile più grande d’Europa. Ad accentuarne il carattere simbolico contribuisce l’enorme pallone aerostatico, visibile da ogni angolo della città, che si leva la seconda domenica di ogni mese per celebrare l’apertura del Gran Balon, a cui partecipano più di 250 espositori e negozi d’antiquariato della zona.
Questa singolare porzione di città si distingue per il forte carattere popolare, la mixité sociale, culturale e la presenza di un micro commercio diffuso. Un luogo pieno di contraddizioni, in cui la forte immigrazione dell’ultimo ventennio ha generato un positivo spirito cosmopolita parallelo a tensioni e degrado, in cui un processo di gentrificazione già in atto mira a riqualificare alcune aree ma rischia di sfumare quel carattere informale che tanto impreziosisce le vie del Borgo.
In questo contesto si inserisce, in maniera abbastanza silenziosa, una rete di produzione artistica di alto livello, il cui spazio fisico si condensa nel Cortile del Maglio, un’enorme struttura a corte, caratterizzata da una grande piazza semicoperta che un tempo costituiva l’Arsenale Militare. Intorno a questo luogo di incontro si insediano numerose attività produttive legate al mondo dell’arte e della grafica, spinte dal relativamente basso costo degli affitti di spazi destinati a ufficio, morfologicamente caratterizzati da volumi stretti, lunghi e particolarmente alti (circa 9 metri), che ricordano la struttura del lotto gotico medioevale, funzionalmente organizzato come tool-house (casa-bottega).
Da qui la mia filosofia di progetto, quella di ridefinire uno spazio verticale, destinato a studio di grafica pubblicitaria, sviluppato su più piani «trasparenti», in cui da ogni punto sia possibile avere una visione d’insieme, nel quale si condensano funzioni diverse in base alla quota, dove è fondamentale valorizzare l’intensa produzione artistica di chi lo utilizza.
Il cliente, Silvio Cocco, è un grafico che opera nel territorio nazionale e internazionale come collaboratore per grandi aziende come Ferrero e che sviluppa autonomamente un suo percorso artistico che si è tradotto in un’intensa produzione di opere digitali (studi figurativi, del linguaggio, del font) e scultoree. Da questi presupposti emerge la necessità di articolare una nuova architettura che permetta di svolgere lavoro d’ufficio ma che consenta anche di esercitare, come in un vero e proprio laboratorio, la propria attività d’artista.
Si è deciso dunque di mantenere i due piani esistenti, ma di aggiungere un grande soppalco che definisse un nuovo volume con affaccio diretto sulla copertura dell’ex Arsenale militare. Il senso di architettura trasparente, vuota, priva di eccessivi ostacoli visivi, è stato reso grazie all’utilizzo di elementi caratteristici dell’architettura industriale, come i grigliati che definiscono i nuovi piani di calpestio, le travi in acciaio lasciate al grezzo e un alto palo da pompiere che collega l’ultimo livello al foyer d’ingresso, dal quale il titolare dello studio si lancia (letteralmente) per accogliere i nuovi clienti. Un gioco di doppie e triple altezze, in cui l’arretramento dei solai superiori contribuisce ad alleggerire la struttura e a dare ulteriore slancio verticale allo spazio.
A questi elementi si aggiungono accorgimenti raffinati che vogliono riprendere in maniera diretta la psicologia del committente: una rete contorta di cavi in acciaio percorre tutto il fabbricato, sostituendo le balaustre in un groviglio accidentale che vuole essere metafora di un modo di pensare articolato, quasi cervellotico, che si rivede nella sua produzione artistica, capace di analizzare un tema da infinite prospettive e abilissima nel restituirne altrettante rielaborazioni. Un’architettura che parla direttamente alla psicologia umana, utilizzando l’arte come veicolo di connessione.
L’organizzazione delle funzioni riprende la logica della tool-house, tipologia abitativa caratteristica dei borghi medioevali nazionali, ma che è facilmente rintracciabile in contesti urbani internazionali, anche extraeuropei (molti insediamenti informali delle megalopoli indiane, per esempio, sono strutturati nello stesso modo): al piano terra, spazio più vicino alla strada e alla piazza, si è deciso di organizzare un ambiente di contatto con le persone del borgo, diviso in ingresso, laboratorio e spazio espositivo. Il primo piano ospita alcune postazioni informatiche disponibili per collaboratori o eventuali subaffittuari e un bagno di servizio, evidenziato da un volume tinta gialla con grafiche a parete fatte su misura per il cliente, a indicare ironicamente la funzione di servizi maschili/femminili. All’ultimo piano, un piccolo salotto direttamente collegato alla copertura, e la postazione del titolare, posta su un enorme grigliato affiancato da un palo in ferro collegato alle esistenti travi in cemento armato, che consente di tuffarsi fino all’ingresso per accogliere i nuovi clienti. Una soluzione estrema, eccentrica, che si ricollega alla personalità del cliente e alla sua esperienza nel corpo degli Alpini.
In sintesi, il progetto dello Studio Cocco in Borgo Dora è il frutto di un’attenta analisi morfologica e socio-economica del contesto di quartiere nel quale è inserito. Nasce un’architettura eccentrica, in simbiosi con la personalità e la professione del committente, ma anche con il contesto produttivo dell’area, conforme ad una tipologia edilizia (quella della tool-house) con radici storiche profondissime, riscontrabile in più parti d’Italia e del mondo.
di Ernesto Fava (da YouBuild 17)