Bim: dalla fotografia al rilievo con un clic

Fin dalla presentazione ufficiale della prima immagine fotografica, avvenuta come sappiamo il 1839, gli architetti sono sempre stati incuriositi da questo straordinario strumento di comunicazione. Non a caso, proprio in quegli anni, soggetto privilegiato di ripresa erano gli edifici, a causa dei tempi lunghi di esposizione richiesti dai primissimi sistemi di registrazione, che prevedevano di mantenere immobile la macchina fotografica per un certo periodo di tempo, in modo che la luce facesse depositare i contenuti visivi della scena sulle lastre precedentemente trattate con prodotti chimici.

Louis Daguerre, al quale si deve l’invenzione di questo procedimento, lavorava nel campo dell’architettura e della scenografia, ma non avrebbe mai immaginato gli sviluppi odierni che consentono di restituire da una serie di fotografie il modello tridimensionale dell’oggetto fotografato. In effetti, l’evoluzione della fotogrammetria, ovvero l’impiego di riprese fotografiche di un contesto per il rilevamento metrico di una scena urbana o naturale, ha oggi permesso di automatizzare il laborioso processo tradizionale di rilevamento, delegando al software tutta la fase di interpolazione degli scatti fotografici, in modo da ottenere il rilievo puntuale di un oggetto a qualsiasi scala, dal particolare all’intero complesso edilizio,sotto forma di modello digitale 3D.

Tale procedimento è chiamato in ambito tecnico-scientifico in vari modi: da Image-Based Modeling (modellazione basata sulle immagini) a Structure from Motion (struttura dal movimento) a seconda della disciplina che lo studia, la computer graphics nel primo caso o la fotogrammetria nel secondo.

Tralasciando gli aspetti algoritmici, è sufficiente essere a conoscenza del fatto che, per essere riconosciute dal sistema, le fotografie devono essere scattate in modo da coprire integralmente per sovrapposizione tutto l’oggetto della ripresa. Ogni immagine, cioè, deve contenere circa il 30% delle informazioni presenti nella successiva, così da consentire la calibrazione automatica dei singoli fotogrammi, attraverso l’identificazione dei punti omologhi presenti negli stessi. In questo modo il programma capta le coordinate bidimensionali dei singoli pixel dell’immagine e le trasforma in punti aventi riferimenti tridimensionali, che possono essere considerati a tutti gli effetti nuvole di punti, al pari di quelle realizzate con costosi sistemi di rilevamento strumentale al laser. Le nuvole di punti possono quindi essere a loro volta ulteriormente manipolate, con sofisticati algoritmi, in modo da unire i punti con entità di tipo mesh, che descrivono la superficie del nostro edificio, dando origine al rilievo stereometrico finale.

I vantaggi di questa operazione sono indubbi: in questo modo, infatti, le operazioni di rilevamento in sito sono ridotte al minimo e non c’è bisogno di procedere con la misurazione diretta (con cordelle metriche, distanziometri o triplometri) e nemmeno con quella strumentale (stazione totale, laser scanner 3D) delegando a una semplice macchina fotografica, in alcuni casi anche solo a uno smartphone (vista la qualità della risoluzione ottica che ormai hanno i nostri cellulari) il campionamento delle immagini richieste.

Tutte le operazioni sono svolte in laboratorio, avendo a disposizione il materiale acquisito, anche se è possibile a differenza che in passato avere un primo controllo proprio in fase di acquisizione se si ha a disposizione di un notebook, data la rapidità con cui può avvenire l’interpolazione delle fotografie da parte del software di trattamento fotogrammetrico. Inoltre, bisogna considerare il fatto che in questo modo il rilievo conterrà una rappresentazione molto accurata del manufatto, fornendo una descrizione fisica dei materiali dell’edificio, che sono estratti proprio dalle fotografie, così da mostrare in maniera esaustiva la completezza delle informazioni: si pensi al degrado di superficie, alle lacerazioni, ai cromatismi, al dettaglio di particolari tecnici e decorativi.

 

Viene così a generarsi il cosiddetto digital twin, vale a dire la clonazione digitale dell’opera analizzata sotto forma di una copia in formato numerico della stessa, che può servire a vari scopi: a estrapolare i prospetti su cui poi intervenire per ricomporre piante e sezioni necessarie alla riprogettazione degli spazi, a creare fotomontaggi digitali per verificare l’impatto ambientale di un nuovo edificio in un contesto storico, a produrre modelli fisici, tramite prototipazione rapida e 3D, per la comprensione di un progetto o per presentare alla committenza un’opera nella sua consistenza materica a scala ridotta.

A ciò si aggiunge la possibilità di utilizzare strumenti aerei di acquisizione fotografica, quali i droni, per consentire un campionamento globale di un contesto, dal momento che ormai questi piccoli oggetti volanti prevedono microdispositivi di registrazioni di immagini ad altissima risoluzione, come appunto avviene nei citati smartphone.

A meno di 200 anni dalla nascita della fotografia, quindi, la procedura di svelamento dell’immagine su lastre metalliche, che tanto incantava coloro che assistevano a tale fenomeno, si è trasformata in un processo di apparizione non meno sorprendente rispetto al precedente: che invece di mostrare una singola riproduzione bidimensionale di una scena, produce agli occhi dell’attento osservatore, un modello 3D, che è l’esatta riproduzione in formato digitale del nostro manufatto.

 

di Alberto Sdegno, Direttore del Master in Building Information Modeling presso l’Università di Udine (da YouBuild n. 23)

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