Visita tra i padiglioni della 17° Biennale di Architettura di Venezia

Visita ai Padiglioni della 17° Biennale di Architettura di Venezia. Che segna il ritorno alla normalità. O, forse, alla nuova architettura a misura di una società fluida.

I solai svizzeri stampati in 3D

Che cosa vuol dire sperimentazione in architettura? Come si misura quanto un progetto è frutto di ricerca applicata? Una risposta piuttosto esplicita è visibile nei due progetti Nest e Dfab House, che il duo svizzero (Gramazio Kohler Architects + Gramazio Kohler Research Eth Zurich) presenta alle corderie. Una piattaforma per la ricerca architettonica che esplora design e metodi produttivi computazionali, messa in diretto dialogo con l’applicazione in un edificio che ne interiorizza gli output. Da non perdere le foto dei solai in cemento armato stampati in 3D, dove tecnologia numerica ed estetica digitale si fondono in uno dei componenti più iconici del costruire. (rmb)

Research as Architecture: A laboratory for Houses, Homes and Robots (Fabio Gramazio, Matthias Kohler)

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©Gerardo Semprebon
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©Gerardo Semprebon

Un vestito di storia a Beirut

L’edificio Stone Garden, recentemente completato a Beirut e progettato dalla professionista francolibanese Lina Ghotmeh, mostra come sia possibile vestire un normale edificio residenziale di valori e narrative legate al territorio. Sorta a poca distanza dall’epicentro della terribile esplosione al porto cittadino, avvenuta nel 2020, questa torre cita nei volumi e nella materia l’aspetto delle rovine libanesi (archeologiche, ma anche contemporanee, figlie della guerra), inglobate dalla vegetazione. L’aspetto così caratteristico e peculiare della facciata, rugoso, quasi antico, è frutto di una lunga ricerca sull’utilizzo delle argille che compongono i conci del rivestimento esterno. (rmb)

Stone Garden. Resilient Living. An archaeology of the future (Lina Ghotmeh – Architecture)

 

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©LMF_Fabris
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©Gerardo Semprebon

I processi senegalesi di Tambacounda

Il progetto di un ospedale nella cittadina senegalese di Tambacounda è occasione di raccontare i processi dell’architettura. Attraverso la ricca documentazione di materiali di progetto, la copertura fotografica di Iwan Baan e le testimonianze di Magueye Ba, appaltatore e medico dell’ospedale finanziato dalla Josef and Anni Albers Foundation, si focalizza l’attenzione su tutti gli attori, i finanziatori, i progettisti e gli utenti di un progetto, interrogandosi sulle ricadute che ha sulla comunità che lo accoglie. L’attenzione così spostata dall’edificio in sé, che viene riletto come manifestazione ultima di istanze, obiettivi, ambizioni e necessità delle persone che hanno partecipato alla sua creazione. (rmb)

The Many Lives of Tambacounda Hospital (Manuel Herz Architect)

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©R-M-Balzarotti

In condominio sulla Luna

Come potrebbe avvenire il primo insediamento sul suolo lunare? L’installazione mostra il possibile viaggio, trasporto e costruzione di un villaggio sulla Luna: un agglomerato fatto di elementi modulari, spostabili attraverso razzi vettori. Il plastico di un modulo abitativo ci porta all’interno di un nuovo paesaggio domestico, alla cui vista non possiamo che rievocare gli scenari fantascientifici che hanno sempre popolato i media. Un modello a scala maggiore esibisce la struttura morfologica dell’insediamento, pensata per poter essere ampliata o rimpicciolita a seconda delle necessità. (gs)

Life Beyond Earth di Skidmore, Owings & Merrill e European Space Agency

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©Gerardo Semprebon
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©Gerardo Semprebon
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©LMF Fabris

La Cina in piazza

Ancora la vita rurale viene esposta in questa installazione cinese, sull’onda della scorsa partecipazione nazionale (quest’anno assente) e dell’imponente programma politico di sviluppo della campagna. Questa volta però, il protagonista non è il progetto, bensì la vita negli spazi pubblici e semi-privati di un villaggio. Il grande plastico posato all’altezza dello sguardo ci permette di fluire tra i muri che definiscono le strade, così come all’interno delle corti e degli edifici, rivelando le caratteristiche degli spazi di relazione in un Paese dove il concetto di piazza non fa parte della cultura urbana tradizionale. (gs)

Rural Nostalgia | Urban Dream di Meng Fanhao

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©Gerardo Semprebon

 

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©Gerardo Semprebon
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©LMF Fabris

La corteccia cilena del conflitto

Sullo sfondo del conflitto tra cileni e mapuche, l’installazione ricostruisce il luogo dove tradizionalmente vengono tenuti i negoziati tra le due comunità. L’incastro dei tronchi, scortecciati, ma non levigati, viene reiterato  enne volte fino a costituire un perimetro, un luogo solenne dove la sospensione di una violenza può essere concordata. La potenza del gesto, in evidente frizione con l’ambiente speculativo della kermesse veneziana, costringe il visitatore a considerare i temi della disparit  e del conflitto sociale. (gs)

Elemental di Alejandro Aravena, Victor Odd , Gonzalo Arteaga, Diego Torres, Juan Cerda

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©LMF Fabris_
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©Gerardo Semprebon

La cultura indigena canadese è arrugginita

A seguito di una collaborazione tra il Weengushk Film Institute, diretto dalla regista, artista ed attivista Shirley Cheechoo, lo studio italiano ElasticoFarm e lo studio locale Kfa Architects and Planners (Isola di Manitoulin, Ontario), sta prendendo forma un progetto di sviluppo mirato a sostenere e proteggere la tradizione indigena. L’allestimento, presente nel Padiglione Italia, esibisce il modello di un progetto per  la creazione dell’ambiente perfetto per sostenere gli obiettivi di espansione dell’istituto  e una scultura-totem realizzata con una putrella, alludendo al  fondamentale ruolo giocato dai simboli delle culture locali. L’uso del ferro arrugginito nell’installazione evoca la violenza che spesso si accompagna ad iniziative che coinvolgono comunità fragili. (gs)

Installazione Nativi di Stefano Pujatti

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©Gerardo Semprebon
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©Gerardo Semprebon

In casa a Tokyo, ma a Venezia

Il Padiglione del Giappone è sicuramente uno dei più interessanti in termini di contenuti e modalità espositive. L’azione del curatore semplice e complessa allo stesso tempo: una casa
tradizionale di Tokyo viene smontata, trasportata ed esposta esibendo le sue membra, la sua storia ed il suo possibile futuro, tracciando una delle possibili traiettorie degli elementi. L’umile costruzione esposta ci permette di esplorare come l’architettura sia il risultato di innumerevoli atti cumulativi che nascono dalle interazioni tra persone, le quali partecipano ad un’idea di abitare; e che il suo sviluppo trascende le intenzioni degli attori che se ne prendono cura o ne fanno uso, dall’ideatore al fruitore. (gs)

Padiglione del Giappone. Co-ownership of Actions: Trajectories of Elements. Curatore: Kozo Kadowaki

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©Gerardo Semprebon
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C’è dell’acqua in Danimarca

«Il mondo è un circuito aperto del quale facciamo parte tutti». Con questa dichiarazione varchiamo la porta dell’installazione forse più ardita dei Giardini: un percorso attraverso i modi di percepire l’acqua. E l’acqua si presenta a noi in alcune delle sue infinite forme: come strato superficiale su un pavimento, come gocciolio ininterrotto, come bevanda ristoratrice, come massa su cui galleggiare o da attraversare; in generale, come elemento che permea e scandisce tanto la nostra vita quanto gli equilibri geopolitici internazionali. (gs)

Padiglione della Danimarca. Connectedness. Curatrice: Marianne Krogh con architetti Lundgaard & Tranberg Architects e Finn Reinbothe, artista

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©Gerardo Semprebon
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©Gerardo Semprebon

Cartoline dal Belgio

Torniamo su un tema caro a buona parte della tradizione italiana (della cultura) di progetto: il rapporto tra città  e architettura, questa volta tra fisicità  e virtualità. La parte centrale dell’esposizione mostra 45 modelli in scala 1:25 di altrettanti recenti realizzazioni, frutto delle politiche di pianificazione e procedure d’appalto introdotte recentemente in Belgio. Le parti laterali ospitano 45 cartoline raffiguranti capricci, o paesaggi inventati, che rappresentino l’habitat della loro opera. La disposizione dei modelli simula l’ambiente urbano frutto della recente negoziazione, lasciando il visitatore in sospeso tra esperienza reale ed allegoria evocata. (gs)

Padiglione del Belgio. Composite Presence. Curatore: Bovenbouw Architectuur

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©LMF Fabris
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©Gerardo Semprebon
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Il telaio di legno made in Usa

Gli Stati Uniti tornano su uno dei fondamentali «largamente trascurato dal dibattito architettonico contemporaneo» dell’architettura locale: il telaio ligneo. La messa in scena della carpenteria diventa occasione di ripercorrere un pezzo importante dell’ideologia americana: quel sogno di realizzazione alla portata di tutti offerto dal Paese delle Libertà. L’esposizione si articola in due parti: una retrospettiva sul ruolo del telaio nell’architettura statunitense, affiancata da due serie fotografiche commissionate per l’occasione. Ed una riproduzione al vero di una porzione di telaio. Sviluppato su un’altezza di tre livelli, la struttura si antepone all’ingresso del padiglione, diventando filtro ed esperienza spaziale che porta il visitatore ad un nuovo panorama dei Giardini della Biennale. (gs)

Padiglione degli Stati Uniti d’America. American Framing. Curatori: Paul Andersen e Paul Preissner

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La Polonia ha stoffa

La campagna, in tutte le sue dimensioni, culturali, sociali, politiche, estetiche, è portata al centro di un raffinato ragionamento che pone la ruralità in una dimensione in divenire e ne traccia alcune possibili visioni che spaziano dall’utopico, al futuribile, all’apocalittico. Le pareti del padiglione sono vestite con un drappo che rappresenta un panorama generico della campagna polacca, riconoscibile nei suoi elementi caratteristici ma non identificabile come luogo reale. Al centro sono esposti sei progetti per la campagna che sollevano domande sul ruolo che può  giocare l’ambito agricolo nella società contemporanea. (gs)

Padiglione della Polonia. Trouble in Paradise. Curatori: Prolog+1: Mirabella Jurczenko, BartoszKowal, Wojciech Mazan, Bartłomiej Poteralski, Rafał Śliwa, Robert Witczak

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© Gerardo Semprebon
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Una crisi per 12 in Ungheria

Dodici edifici che stanno attraversando un momento di crisi, due dei quali demoliti nei mesi scorsi, offrono l’occasione a dodici studi di architettura per ripensare l’eredità del moderno nella contemporaneità. L’allestimento lavora sulla simmetria del padiglione presentando i dodici edifici allo stesso modo sia in un’ala che nell’altra. Una stanza raccoglie i documenti d’archivio, che narrano la vita dei dodici, dalla genesi alle successive evoluzioni. L’altra stanza espone dodici manifesti architettonici che indicano una possibile vita futura. (gs)

Padiglione dell’Ungheria. Othernity. Curatore: Dániel Kovács

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©Gerardo Semprebon
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L’Austria piattaformizzata

L’allestimento tratta un nuovo fenomeno sociale: il platform urbanism, ovvero la progressiva piattaformizzazione delle nostre esistenze che, oltre a scandire le nuove quotidianità, generano ripercussioni anche sullo spazio urbano. Il percorso include quindi sette tappe che approfondiscono altrettanti aspetti della fiorente era digitale, illustrando nuove barriere, spesso immateriali, nuove espansioni, come iniziative geopolitiche, nuovi equilibri sociali, che in realtà spesso celano forti asimmetrie. Usciremo dal padiglione con un’idea delle possibili pieghe che la deriva digitale può portare, misurandole con le esperienze che ciascuno di noi ha vissuto durante la crisi sanitaria. (gs)

Padiglione dell’Austria. Platform Austria. Curatori: Peter M rtenb ck e Helge Mooshammer

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©Gerardo Semprebon
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di Luca M.F. Fabris, Riccardo M. Balzarotti e Gerardo Semprebon, Politecnico di Milano (da YouBuild n. 20)

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